Guida in stato di ebbrezza: per il sequestro del veicolo è competente il giudice penale o amministrativo? Cassazione, sez. IV, 28 novembre 2011, n.44027

 

GUIDA IN STATO DI EBBREZZA: PER IL SEQUESTRO DEL VEICOLO È COMPETENTE IL GIUDICE PENALE O AMMINISTRATIVO?

Cassazione, sez. IV, 28 novembre 2011, n.44027

 

1. La novella normativa non ha abrogato l’istituto del sequestro prodromico alla confisca, ma ha solo modificato la sua qualificazione giuridica. Il sequestro ante legge n. 120/2010 venne legittimamente disposto secondo le regole all’epoca vigenti (tempus regit actum); la misura, quindi, rimane valida, imponendosi al giudice solo di valutare ora se l’atto compiuto sia conforme anche ai requisiti sostanziali, di natura amministrativa, allo stato richiesti.

2. Deve ritenersi che anche in tale delineata situazione debba trovare applicazione il principio della perpetuatio iurisdictionis, sicché, per i procedimenti già iniziati sotto il vigore della pregressa legge (nella specie, il sequestro, eseguito il 10 luglio 2010, fu convalidato con decreto del 16 luglio 2010) spetta al giudice penale (senza investire l’autorità amministrativa) delibare a tali fini la fattispecie, tenuto conto, peraltro, anche del generale principio della competenza del giudice penale ad infliggere anche le sanzioni amministrative conseguenti alla commissione di un reato, come pacificamente avviene per la sospensione o revoca della patente di guida.

3. Ed egli è in grado e deve valutare – dunque anche in sede cautelare nella procedura di riesame – la legittimità o meno, nella sua connotazione amministrativa, dell’operato sequestro, sotto il profilo amministrativo, cioè, in sostanza, la guida in stato di ebbrezza oltre i limiti indicati dall’art. 186, comma 2, lett. e); trattasi di accertamento che coincide, quindi, del tutto con la verifica, precedentemente operata, della sussistenza o meno del fumus commissi delicti che costituiva presupposto anche del provvedimento di cui all’art. 321, comma 2, c.p.p..

 

 

Cassazione, sez. IV, 28 novembre 2011, n.44027

(Pres. Marzano – Rel. Romis)

 

Ritenuto in fatto

Il G.I.P. presso il Tribunale di Trani rigettava l’istanza con la quale M.G. , indagato per il reato di cui all’art. 186, 2 comma, lett. c), C. d. S., aveva chiesto la restituzione di un’autovettura di sua proprietà ed a lui sequestrata. Proponeva appello il M. – sostenendo la tesi del difetto di giurisdizione del giudice penale a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 120 del 2010 che, avendo trasformato la confisca da sanzione penale accessoria in sanzione amministrativa accessoria, avrebbe fatto venir meno la competenza del giudice penale con conseguente annullamento del sequestro preventivo finalizzato alla confisca – ed il Tribunale del riesame di Trani, con provvedimento in data 15 febbraio 2011, rigettava il gravame; osservava il Tribunale che le prospettazioni difensive apparivano inconferenti, posto che nella concreta fattispecie il sequestro “non era stato emesso ai sensi dell’art. 321, secondo comma, c.p.p., dunque in funzione della successiva confisca, ma ai sensi dell’art. 321, primo comma, c.p.p., dunque sulla base di esigenze cautelari specificamente indicate”.

Ricorre per cassazione il M. – con atto sottoscritto personalmente – reiterando la tesi già sottoposta al vaglio del Tribunale del riesame, ancora una volta evocando a sostegno del proprio assunto le nuove disposizioni introdotte dalla legge n. 120 del 2010 in materia di sequestro e confisca, ed evocando una decisione di questa stessa Sezione (2 novembre 2010) secondo cui, alla luce della novella citata, il sequestro ai fini della confisca deve essere operato esclusivamente dall’autorità amministrativa.

Considerato in diritto

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate. In primo luogo mette conto sottolineare – quale considerazione assorbente e tranciante che renderebbe superfluo soffermarsi ulteriormente su quanto argomentato dal ricorrente – che, come puntualmente osservato dal Tribunale con l’impugnato provvedimento, le argomentazioni del M. risultano del tutto inafferenti al caso in esame: esse infatti riguardano l’ipotesi del sequestro preventivo finalizzato alla confisca – oggetto delle modifiche introdotte con la legge n. 120 del 2010 – vale dire il sequestro quale previsto dal secondo comma dell’art. 321 c.p.p.; nella concreta fattispecie si tratta invece di sequestro preventivo disposto ai sensi del primo comma dell’art. 321 c.p.p. che continua ad essere pienamente applicabile anche dopo la citata e recente novella, non essendo ravvisabili preclusioni di sorta anche in ordine al reato contestato al M. (nonché a quelli di rifiuto di sottoporsi all’accertamento strumentale e guida sotto l’influenza di sostanze psicotrope).

Ciò posto, giova peraltro evidenziare che la tesi del ricorrente – circa l’asserito difetto di giurisdizione del giudice penale in relazione al sequestro della sua auto, disposto (appunto, dal giudice penale) prima dell’entrata in vigore della legge n. 120 del 2010 – risulta manifestamente infondata anche in relazione all’ipotesi di sequestro di cui al secondo comma dell’art. 321 del codice di rito. Come già altre volte ritenuto da questa Suprema Corte, deve ritenersi che, quanto alla confisca, si sia ora in presenza di una sanzione amministrativa accessoria (“ex plurimis”: Sez. 4, n. 40523 del 04/11/2010; Sez. 4, n. Sez. 4, n. 170 del 24/11/2010) e non di una pena accessoria come in precedenza ritenuto dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 23428 del 25 febbraio 2010 [in materia era pure intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 196 del 26 maggio 2010, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), limitatamente alle parole “ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2”].

La ennesima legge di riforma del Codice della Strada non ha dettato alcuna disciplina transitoria in relazione ai sequestri disposti ed eseguiti, come nel caso di specie, sotto il vigore della precedente disciplina; ha, per un verso, rafforzato le sanzioni penali tipiche per l’illecito in questione (arresto ed ammenda, confermando la natura penale dell’illecito), ma, per altro verso, ha riqualificato come amministrativa la sola natura della confisca. Non si tratta, quindi, di una “depenalizzazione” dell’illecito, ma della depenalizzazione solo della sanzione accessoria, tanto evocando i principi stabiliti dall’art. 2 c.p., comma 4, e dalla legge n. 689 del 1981. Tale situazione che con la legge di riforma si è venuta a delineare è diversa da quella tipica disciplinata dalla legge, come interpretata dalla sentenza delle Sezioni Unite del 16 marzo 1994, n. 7394: non si è trasformato un illecito penale in illecito amministrativo, ma si è trasformata in amministrativa solo una sanzione accessoria, precedentemente penale, non iscrivibile al novero all’apparato sanzionatorio tipico dell’art. 17 c.p.. In siffatto contesto deve ritenersi applicabile, per il principio del favor rei, la nuova disciplina di tale sanzione accessoria, essendo il trattamento amministrativo (anziché penale), per definizione, più favorevole per l’imputato.

Quanto al sequestro, in particolare (per quel che nel caso In esame rileva), salvo il profilo riconducibile all’art. 321 c.p.p., comma 1, esso, come richiamato dalle norme incriminatrici (artt. 186,187 C.d.S.), appare espressamente disciplinato solo come sequestro amministrativo. Tanto induce a ritenere, in particolare, il disposto in proposito dell’art. 186, comma 2, lett. c), e art. 187, comma 1: “ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’art. 224 ter”. Tale dettato individua i soggetti legittimati a disporre il sequestro (l’agente o l’organo accertatore della violazione), i successivi adempimenti (la trasmissione del verbale al prefetto territorialmente competente), la opposizione al provvedimento di sequestro (che è quella di cui all’ari 205 del codice della strada).

Trattasi di procedura, nei casi disciplinati dagli artt. 186 e 187 del codice della strada, che scaturisce, come detto, dall’espresso rinvio all’art. 224 ter, stesso codice, effettuato da tali norme incriminatrici. Da ciò deriva altresì che (salva l’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 321 c.p.p., come prima precisato) il sequestro a fini di confisca, nelle ipotesi di cui agli artt. 186 e 187 C.d.S., non può più essere disposto dal giudice penale, ma deve essere operato esclusivamente dall’autorità amministrativa. Quanto ai sequestri disposti sotto il vigore della precedente normativa e tuttora sub iudice, in mancanza di disposizioni transitorie, v’è da considerare che essi furono legittimamente imposti secondo le regole sostanziali e procedimentali all’epoca vigenti; la loro perdurante legittimità, però, non può più essere delibata alla stregua di quei presupposti, ed in particolare alla stregua del disposto dell’art. 321 c.p.p., comma 2, dovendosi invece verificare la sussistenza o meno dei presupposti che legittimano ora la confisca amministrativa.

La novella normativa, difatti, come s’è detto, non ha abrogato l’istituto del sequestro prodromico alla confisca, ma ha solo modificato la sua qualificazione giuridica. Il sequestro ante legge n. 120/2010 venne legittimamente disposto secondo le regole all’epoca vigenti (tempus regit actum); la misura, quindi, rimane valida, imponendosi al giudice solo di valutare ora se l’atto compiuto sia conforme anche ai requisiti sostanziali, di natura amministrativa, allo stato richiesti. Deve dunque ritenersi che anche in tale delineata situazione debba trovare applicazione il principio della perpetuatio iurisdictionis, sicché, per i procedimenti già iniziati sotto il vigore della pregressa legge (nella specie, il sequestro, eseguito il 10 luglio 2010, fu convalidato con decreto del 16 luglio 2010) spetta al giudice penale (senza investire l’autorità amministrativa) delibare a tali fini la fattispecie, tenuto conto, peraltro, anche del generale principio della competenza del giudice penale ad infliggere anche le sanzioni amministrative conseguenti alla commissione di un reato, come pacificamente avviene per la sospensione o revoca della patente di guida.

Ed egli è in grado e deve valutare – dunque anche in sede cautelare nella procedura di riesame – la legittimità o meno, nella sua connotazione amministrativa, dell’operato sequestro, sotto il profilo amministrativo, cioè, in sostanza, la guida in stato di ebbrezza oltre i limiti indicati dall’art. 186, comma 2, lett. e); trattasi di accertamento che coincide, quindi, del tutto con la verifica, precedentemente operata, della sussistenza o meno del fumus commissi delicti che costituiva presupposto anche del provvedimento di cui all’art. 321, comma 2, c.p.p..

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende

 

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