Omissione atti d’ufficio. La denuncia del cittadino non obbliga l’Ordine professionale ad attivarsi Cassazione, sez. VI Penale, 19 ottobre 2011, 4 gennaio 2012, n. 79

OMISSIONE ATTI D’UFFICIO. LA DENUNCIA DEL CITTADINO NON OBBLIGA L’ORDINE PROFESSIONALE AD ATTIVARSI

Cassazione, sez. VI Penale, 19 ottobre 2011, 4 gennaio 2012, n. 79

 

Non ogni richiesta di atto che il privato sollecita alla P.A. ha idoneità ad attivare, in tesi, il meccanismo per l’operatività della previsione delittuosa di cui al secondo comma dell’art. 328 cod. pen., con la conseguenza che restano al di fuori della tutela penale quelle richieste che, per mero capriccio o irragionevole puntigliosità, sollecitano alla P.A. un’attività che è dalla stessa ritenuta ragionevolmente superflua e non doverosa.

 

 

Cassazione, sez. VI Penale, 19 ottobre 2011, 4 gennaio 2012, n. 79

(Pres. Agrò – Rel. Lanza)

 

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

G..T. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso il decreto di archiviazione del G.I.P. presso il Tribunale di Aosta, in data 15-16 novembre 2010 (con il quale è stata disposta l’archiviazione del procedimento penale concernente il reato di omissione di atti d’ufficio continuata ex artt. 81 cpv.-328 c.p. a seguito di denuncia presentata dal T. nei confronti del Dr. A..C. , Presidente dell’Ordine dei Medici della (omissis)), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

Nella denuncia presentata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Aosta, assumeva il denunciante che il Dr. C. non avrebbe mai disposto nulla in relazione ai plurimi esposti da lui presentati all’Ordine dei Medici nei confronti del Dr. Ca.Ma. , e riguardanti la pretesa violazione di norme deontologiche, commessa da tale sanitario, né avrebbe mai risposto per indicare le ragioni del ritardo.

Il G.I.P. con il decreto in questione ha concluso dichiarando l’Inammissibilità dell’opposizione e l’archiviazione del procedimento, sostenendo che il reato ipotizzato non è in astratto configurabile.

Ad avviso del G.I.P. l’obbligo di provvedere e l’obbligo di rispondere per esporre le ragioni del ritardo all’evidenza non sussistono, considerato: a) che si tratta di una richiesta sorretta da un interesse di mero fatto qual è quella indirizzata al presidente di un ordine professionale e volta all’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di un iscritto; b) che, comunque, in presenza di siffatta richiesta, il Presidente dell’ordine non è tenuto ad avviare un procedimento disciplinare, né é tenuto a darne conto al privato; c) che le ulteriori investigazioni indicate nell’atto di opposizione (confronto tra le parti, perizia cardiologica e assunzione di informazioni volte ad accertare la denunciata imperizia del medico) non hanno alcuna incidenza concreta sul tema della decisione in quanto inidonei a condurre ad un giudizio di configurabilità del reato denunciato, onde la inammissibilità dell’opposizione (si cita in proposito: Cass. sez. 1, n. 23687/20 10, Cass. sez. 5, n. 11524/2007).

Con un primo motivo di impugnazione il T. deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 410 comma 2 c.p.p., in relazione all’art. 111 Cost. – 409 comma 6 e 127 comma 5 c.p.p., per abnormità dei provvedimento di archiviazione, emesso de plano senza l’instaurazione del legittimo contraddittorio. nonché vizio di motivazione in relazione all’inconfigurabilità in astratto del reato contestato, con riferimento, altresì, agli artt. 357 – 358 c.p..

In particolare il ricorso lamenta:

a) che l’Ordine non abbia svolto la dovuta istruttoria, volta ad acclarare la fondatezza di quanto denunciato dal Sig. T. , e neppure abbia risposto in alcun modo alle reiterate missive, al fine di esporre le ragioni del ritardo nel provvedere, ovvero comunque per spiegare le ragioni del diniego all’assunzione di qualsivoglia provvedimento nei confronti del suddetto sanitario;

b) che le motivazioni del decreto impugnato risultano infondate ed altresì, lesive del legittimo contraddittorio processuale, che avrebbe dovuto svolgersi nell’ambito di regolare udienza camerale, ex art. 127 c.p.p..

c) che, infatti, se l’archiviazione può essere decretata solo quanto ricorra il duplice presupposto dell’inammissibilità dell’opposizione e dell’infondatezza della notitia criminis (art. 410 co.), deve procedersi con il rito camerale ogni qualvolta faccia difetto anche una soltanto delle due prescritte condizioni, dato che l’art. 410 cod. proc. pen. non fa che ribadire quanto già stabilito dall’art. 409 comma 2 cod. proc. pen.;

d) che nella specie il G.I.P. avrebbe confuso i due piani e di fatto avrebbe fondato il suo decreto esclusivamente sulla pretesa inammissibilità dell’opposizione, in quanto il T. sarebbe, a suo dire, portatore di un interesse di mero fatto e come tale non legittimato, neppure ad ottenere una risposta dall’Ordine, nulla argomentando invece quanto alla pretesa infondatezza della notitia criminis, solo labialmente affermata.

Con un secondo morivo si lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli art. 408 e 410 c.p.p. in relazione agli artt. 111 Cost., per erroneità ed incompletezza della valutazione di superfluità delle indagini suppletive, indicate dalla p.o. nel suo atto di opposizione (non avendo il G.I.P. per nulla valutato le ulteriori prove documentali che erano state allegate all’atto di opposizione), nonché si prospetta mancanza e/o illogicità manifesta della motivazione, quanto alla affermata superfluità dei temi di indagine suppletiva indicati nell’opposizione, in quanto la motivazione si sarebbe risolta in mera formula di stile e limitata all’esame di alcuni soltanto dei temi probatori dedotti.

Entrambi i motivi sono infondati e vanno rigettati per le ragioni di seguito indicate, qui subito osservando come il G.I.P., contrariamente all’assunto del ricorrente, non si è limitato ad affermare l’inammissibilità per difetto di interesse del ricorrente, ma ha comunque ampiamente e correttamente argomentato anche sulla infondatezza della notizia di reato in termini che per la loro correttezza e logicità non sono censurabili in sede di giudice di legittimità.

Tanto premesso, in primo luogo, ed in relazione all’assunto del Procuratore generale, che ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso, non rivestendo il ricorrente la qualità di “parte lesa”, va rilevato che il delitto di omissione di atti di ufficio, di cui all’art. 328, comma secondo, cod. pen., integra un delitto plurioffensivo, in quanto la sua realizzazione lede, oltre l’interesse pubblico al buon andamento ed alla trasparenza della P.A., anche il concorrente interesse del privato danneggiato dall’omissione o dal ritardo dell’atto amministrativo dovuto.

Ne consegue che il soggetto privato può teoricamente assumere la posizione di persona offesa dal reato ed è pertanto legittimato a proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione formulata dal P.M. (Cass. pen. sez. 2, 17345/2011 Rv. 250077 Massime precedenti Conformi: N. 1817 del 1995 Rv. 202818, N. 3806 del 1997 Rv. 210306, N. 4316 del 1998 Rv. 211123, N. 5376 del 2003 Rv. 223937).

Tuttavia siffatta generica asserzione – correlata allo schema dogmatico dell’art. 328 cod. pen. – va chiarita nel senso che il dovere di risposta presuppone che sia incardinato un procedimento amministrativo e perciò, se questo, come nella specie, non è stato ancora avviato, non v’è alcun obbligo di risposta (cfr. in termini: Cass. pen. sez. 6, U.P. 4 ottobre 2001, in ricorso Giordano e altri).

Si vuole in altri termini significare che non ogni richiesta di atto che il privato sollecita alla P.A. ha idoneità – come si pretende nella specie – ad attivare, in tesi, il meccanismo per l’operatività della previsione delittuosa di cui al secondo comma dell’art. 328 cod. pen., con la conseguenza che restano al di fuori della tutela penale quelle richieste che, per mero capriccio o irragionevole puntigliosità, sollecitano alla P.A. un’attività che è dalla stessa ritenuta ragionevolmente superflua e non doverosa (cfr. sul punto: Cass. Pen. sezione 6, U.P. 6 ottobre 1998, in ricorso Concu).

In secondo luogo, va rammentato che questa stessa sezione, con recente sentenza 24088/2011, decidendo su altro ricorso del T.R. , contro il decreto di archiviazione 5 maggio 2010 del GIP Tribunale di Trieste, ha annullato senza rinvio tale provvedimento, il quale aveva archiviato un procedimento per abuso di ufficio a carico di terze persone, dopo aver dichiarato inammissibile l’opposizione del T. alla richiesta di tale archiviazione, sul presupposto che il ricorrente, in quanto portatore di un mero interesse legittimo, non rivestiva la qualità di persona offesa del reato di abuso di ufficio.

Quel ricorso del T. è stato ritenuto fondato, in quanto, per giurisprudenza costante e condivisibile, il danno di cui all’art. 323 c.p. può investire non solo diritti soggettivi perfetti, ma anche situazioni giuridiche soggettive di diversa natura (tra cui appunto l’interesse legittimo) che sollecitano la P.A. ad un’attività per quanto doverosa, ma che siano state prospettate senza che il richiedente fosse “parte del procedimento”.

In tal modo il G.I.P. di Trieste, in quel ricorso, non poteva dichiarare inammissibile l’opposizione del ricorrente, escludendolo dal contraddicono, riguardante la richiesta di archiviazione, in quanto egli aveva scambiato nella specie un problema di sussistenza e di effettività della lesione della situazione soggettiva vantata (riguardante il merito dell’accusa) con un problema di legittimazione delle parti.

Dal raffronto comparativo delle due realtà, è evidente che nell’odierno ricorso ben diversa è la posizione del T..

In altri termini, nella condotta del Presidente del consiglio dell’ordine dei medici non è realizzato l’indebito rifiuto di un atto dell’ufficio, in quanto, non essendo il ricorrente “parte del procedimento amministrativo”, a lui non era dovuta alcuna spiegazione ex art. 328 cod. pen., con la conclusione che nella specie il rifiuto non configura alcun illecito sanzionabile così come correttamente ritenuto dal G.I.P..

Invero il confronto testuale tra le due norme in questione evidenzia che nello schema dogmatico dell’art. 328 cod. pen., nella previsione del secondo comma, l’interessato (“richiesta di chi vi abbia interesse”) è parte dell’elemento costitutivo dell’illecito, mentre nello schema dell’art. 323 cod. pen., in punto di abuso d’ufficio, l’interessato ha invece una funzione del tutto eventuale e non necessaria ai fini della sussistenza dell’illecito.

In altri termini, nella condotta del Presidente del consiglio dell’ordine dei medici non è realizzato l’indebito rifiuto di un atto dell’ufficio, in quanto, non essendo il ricorrente “parte del procedimento amministrativo”, a lui non era dovuta alcuna spiegazione ex art. 328 cod. pen., con la conclusione che nella specie il rifiuto non configura alcun illecito sanzionabile, cosi come correttamente ritenuto dal G.I.P..

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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