Lo stravolgimento delle condizioni di vita dopo il sinistro stradale è danno esistenziale non è una duplicazione del danno biologico Cassazione, sez. III, 9 marzo 2012, n. 3718

 

LO STRAVOLGIMENTO DELLE CONDIZIONI DI VITA DOPO IL SINISTRO STRADALE È DANNO ESISTENZIALE NON È UNA DUPLICAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO

Cassazione, sez. III, 9 marzo 2012, n. 3718

 

Il pregiudizio cui la corte d’appello ha fatto riferimento, con motivazione del tutto congrua, non costituisce inoltre duplicazione di altra voce di danno, attesa la peculiarità insita nella sua descrizione; ed era inoltre stato introdotto nel thema decidendum, com’è reso evidente dall’affermazione che l’attrice ne aveva “fornito la prova”.

 La circostanza che il “danno esistenziale” (che appunto non esiste come autonoma categoria di danno ma che costituisce sintagma ampiamente invalso nella prassi giudiziaria) sia stato domandato solo in sede di conclusioni è, allora, assolutamente irrilevante; quel che rileva è che a quel tipo di pregiudizio fosse stato fatto riferimento in un contesto nel quale era stato richiesto il risarcimento del danno non patrimoniale, evidentemente senza limitazioni connesse solo ad alcune e non ad altre conseguenze pregiudizievoli derivatene.

 

 

Cassazione, sez. III, 9 marzo 2012, n. 3718

(Pres. Trifone – Rel. Amatucci)

 

Svolgimento del processo

1. La ventiquattrenne D..B. agì giudizialmente per il risarcimento dei danni patiti in un incidente stradale verificatosi il (omissis).

 Con sentenza n. 993 del 2003 il tribunale di Forlì condannò i convenuti I.J. e G..I. , rispettivamente conducente e proprietario dell’autoveicolo investitore e Winterthur s.p.a., assicuratrice del mezzo, al risarcimento dei danni, sulla cui liquidata entità la corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1031 dell’8.9.2009, si pronunciò come segue:

 – ridusse l’entità del risarcimento per la componente biologica del danno non patrimoniale da invalidità permanente (del 39%, per lesioni che di cui né la sentenza né le parti indicano la natura), da circa Euro 123.000 a circa Euro 96.000, in applicazione delle tabelle bolognesi;

 – ridusse da circa Euro 8.000 a circa Euro 6.000 il risarcimento per l’invalidità temporanea totale;

 – ridusse conseguentemente la somma riconosciuta per danno morale da circa Euro 62.000 a circa Euro 51.000, corrispondente alla metà della somma liquidata per il danno biologico;

 – escluse il danno patrimoniale da permanente specifica (Euro 20.000) per avere l’Inail già liquidato la somma di circa Euro 188.000;

 – confermò la somma di Euro 25.000 per “danno esistenziale”, derivato dalla perdita di relazioni connesse al vecchio ambiente di lavoro in ragione del nuovo lavoro di bidella in una scuola cui la B. s’era dovuta determinare;

 – dispose che gli interessi sulle somme complessivamente liquidate in relazione all’epoca del sinistro dovessero calcolarsi sugli importi progressivamente rivalutati, detratto l’acconto di circa Euro 25.000 corrisposto dall’assicuratrice il 23.2.1999, in definitiva riducendo l’entità complessiva del risarcimento da Euro 214.247 ad Euro 154.751,21 e condannando la B. al pagamento delle spese del grado, liquidate in circa Euro 13.000.

 2. – Ricorre per cassazione D..B. , affidandosi a sei motivi (gli ultimi tre dei quali recano tutti, erroneamente, il numero 4).

 Resiste con controricorso Unipol s.p.a., incorporante di Aurora s.p.a. (nuova denominazione di Winterthur) che propone anche ricorso incidentale, basato su cinque motivi illustrati anche da memoria, cui resiste con controricorso la ricorrente principale.

Motivi della decisione

I ricorsi sono riuniti perché proposti avverso la stessa sentenza.

 Il ricorso di D..B. .

 1.- Il primo motivo, col quale è dedotta violazione dell’art. 331 c.p.c., è inammissibile:

 – nella parte in cui si imputa alla corte d’appello di non aver “verificato” che, a seguito dell’appello di Winterthur il contraddittorio fosse integro, perché non si afferma che non lo fosse, sicché la censura è prospettata in via ipotetica, dipendendo la violazione dell’art. 331 c.p.c. non dalla mancata verifica ma dalla mancata integrazione (che la controricorrente afferma, con puntuali riferimenti, ritualmente avvenuta);

 – nella parte in cui si afferma che non era stata disposta la notifica dell’appello incidentale della stessa attuale ricorrente B. a I.J. e G..I. perché, non essendo contestato (così il ricorso a pagina 6, ultimo capoverso) che (al di là delle sua espressione letterale) la sentenza della corte d’appello concernesse anche la condanna degli appellati contumaci (i due I. , tali definiti in epigrafe della sentenza impugnata), difetta l’interesse alla censura da parte della ricorrente, alla quale non è derivato alcun pregiudizio dalla mancata partecipazione al giudizio di appello degli I. (cfr., sul punto, le osservazioni svolte da Cass., n. 2461/2009), condannati anche loro al risarcimento, come sopra chiarito, e portatori di un interesse opposto a quello dell’attuale ricorrente, il cui interesse alla cassazione della sentenza in non altro consiste, in parte qua, che nella possibilità che, in un rinnovato giudizio, non sia ridotta l’entità del risarcimento; ma si tratta di un interesse giuridicamente irrilevante e, comunque, non dipendente dalla predicata nullità della sentenza (cfr., sul punto, Cass., n. 7718/2011).

 2.- Col secondo motivo la sentenza è infondatamente censurata per insufficiente e contraddittoria motivazione sui criteri di calcolo adottati per il risarcimento del danno biologico, che la corte d’appello ha affermato immotivatamente liquidato dal tribunale (per non aver chiarito “in alcun modo i criteri a cui si era attenuto nel calcolo”: pagina 8 della sentenza impugnata), rideterminandolo in base alle tabelle in uso presso la stessa corte d’appello. Che il tribunale avesse applicato le tabelle in uso presso il proprio ufficio costituisce apodittica affermazione della ricorrente (al secondo capoverso di pagina 8 del ricorso), inidonea a scalfire l’adeguatezza della motivazione della sentenza d’appello, sicché non si pone il problema di stabilire se, adottata da un tribunale una tabella propria, legittimamente la corte d’appello possa adottarne una diversa, anch’essa propria. Problema cui dovrebbe peraltro darsi risposta affermativa in relazione alla necessità che le liquidazioni siano il più possibile uniformi (come di recente stabilito da questa Corte con sentenza n. 12408/2011, in riferimento peraltro al caso che sia dedotta violazione di legge per la mancata adozione, da parte di qualunque giudice, delle tabelle milanesi, la mancata applicazione delle quali sia stata dedotta in appello).

 3.- Col terzo motivo è denunciato ogni possibile tipo di vizio della motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 cod. civ., nonché dell’art. 32 Cost., per avere la corte d’appello liquidato il danno sulla base delle tabelle dell’epoca del sinistro, anziché di quelle dell’epoca della liquidazione (o, quantomeno, delle tabelle del 2003, vigenti all’epoca della sentenza di primo grado), sia in relazione alla componente biologica che a quella morale.

 Il motivo è inammissibile per l’assorbente ragione che la ricorrente non sostiene che la rivalutazione dell’importo (rivalutazione riconosciuta dal 1997 e che, ovviamente, non lo sarebbe stata se fossero state applicate le tabelle dell’epoca della liquidazione, di dodici anni successive e già espresse in valori monetari attuali), sommata all’importo liquidato in relazione all’epoca del sinistro, offra un risultato inferiore a quello che si sarebbe avuto se fossero state direttamente applicate tabelle adottate successivamente.

 Non è dato dunque di cogliere l’interesse alla censura, inoltre inammissibilmente prospettata in modo perplesso laddove la sentenza è censurata per non aver applicato le A tabelle del 2009 o, quantomeno, quelle del 2003, che si affermano vigenti all’epoca della sentenza di primo grado: non è infatti chiarito se si assuma che sarebbe stato giuridicamente corretto liquidare il danno in base alle tabelle adottate all’epoca della sentenza di primo grado; ovvero se si sostenga che, secundum legem, il giudice d’appello avrebbe dovuto comunque applicare le tabelle vigenti all’epoca della propria sentenza (benché fosse stata investita, con l’appello principale della società assicuratrice, della questione relativa alla mancata indicazione dei criteri adottati da parte del tribunale e, con l’appello incidentale della B. , solo di quella concernente l’inadeguatezza del risarcimento per omessa considerazione dell’aggravamento dei postumi permanenti (così la sentenza impugnata, a pagina 7).

 4.- Col quarto motivo è dedotta contraddittoria motivazione sulla valutazione del danno morale e sulla soccombenza sul punto della parte appellata (B. ).

 Vero essendo che la riduzione dell’importo liquidato per danno morale è dipesa dalla diminuzione di quello biologico in applicazione della stessa frazione (1/2), la circostanza che la corte d’appello abbia detto fondato il motivo col quale l’assicurazione ne prospettava la determinabilità nel 30% del biologico è del tutto ininfluente nell’economia della decisione, volta che l’importo liquidato è stato comunque diminuito (come richiesto dall’appellante società) e che va escluso che la diversa ragione per cui lo è stato abbia inciso sulla decisione della corte d’appello in ordine alla regolazione delle spese del secondo grado.

 5.- Col quinto motivo (indicato anch’esso col numero 4 a pagina 15 del ricorso) è denunciata insufficienza della motivazione sulla esclusione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica in relazione a quanto già riconosciuto dall’Inail, non avendo la corte di merito tenuto conto della possibilità che il giudice di prime cure avesse liquidato il danno cosiddetto “differenziale”.

 La manifesta infondatezza della censura è correlata al rilievo che la somma riconosciuta dall’Inail è di circa nove volte superiore e che non è detto in ricorso che il giudice di prime cure avesse liquidato il danno differenziale.

 6.- Col sesto motivo (anch’esso recante il numero 4 a pagina 16 del ricorso) sono denunciate violazione di legge (art. 145 d. lgs. 7.9.2005, n. 209 e 91 c.p.c.) ed omessa motivazione per avere la corte d’appello ritenuto che le spese legali extragiudiziali non potessero essere liquidate perché “non necessarie né giustificate” (così la sentenza impugnata, a pagina 15).

 Quali esse fossero, per quale ammontare, in relazione a quali attività la ricorrente non specifica in ricorso, sicché il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

 Il ricorso incidentale di Unipol s.p.a. (ex Aurora, già Winterthur).

 7.- Col primo motivo è denunciato vizio di omessa pronuncia in relazione alla domanda di Winterthur di restituzione delle somme versate in eccesso, in esecuzione della sentenza di primo grado, rispetto alla liquidazione effettuata dalla corte d’appello.

 Si sostiene che erano state pagati Euro 25.882,84 il 23.2.1999 ed Euro 342.724,65 il 24.2.2004 (data di notificazione dell’atto di appello alla B. ) e che del secondo versamento era stata domandata la restituzione alla prima occasione processualmente utile, all’udienza del 22.6.2004.

 7.1.- Premesso che l’importo liquidato dalla Corte d’appello è già al netto della somma di 25.822,84 versata da Winterthur nel 1999 (com’è chiaramente detto a pagina 13 della sentenza impugnata) e che dunque la censura concerne la mancata considerazione del versamento di Euro 342.724,65 il 24.2.2004, essa è fondata, non essendosi la corte d’appello pronunciata sulla domanda di restituzione.

 Privo di fondamento è l’assunto della B. secondo la quale, essendo notifica dell’atto d’appello e versamento coevi (24.2.2004), la domanda di restituzione avrebbe dovuto formularsi con lo stesso atto d’appello.

 È infatti del tutto evidente che un atto d’appello è redatto prima della consegna per la notifica e che, comunque, essendo pagamento e notifica avvenuti lo stesso giorno non è in alcun modo dimostrato che il primo sia anteriore alla seconda.

 8.- Col secondo motivo è dedotta violazione dell’art. 184, quarto e quinto comma, c.p.c., per essere stato riconosciuto il danno esistenziale benché la domanda fosse stata tardivamente proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni.

 Col terzo è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi la corte territoriale pronunciata sull’eccezione (dell’assicuratrice) di inammissibilità della domanda di risarcimento del danno “esistenziale” siccome per la prima volta inammissibilmente proposta in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado.

 Col quarto la sentenza è censurata per essere stato detto danno riconosciuto con motivazione limitata al rilievo che esso lo era stato “correttamente dal primo giudice tenuto conto delle conseguenze derivate dal sinistro”.

 Col quinto è denunciata “violazione dell’obbligo del giudice di decidere secondo diritto ai sensi dell’art. 113 c.p.c., laddove ha riconosciuto come ammissibile il risarcimento del c.d. danno esistenziale e morale in favore di D.D. , quale conseguenza del sinistro oggetto di causa, pur trattandosi di categorie di danno di per sé inesistenti e comunque duplicazioni del c.d. danno biologico”, secondo quanto statuito da Cass. sez un., n. 26972/2008, di un anno precedente alla sentenza della corte d’appello.

 9.- I quattro motivi possono essere congiuntamente esaminati per la connessione tra le questioni che pongono.

 La Corte felsinea ha rilevato: “Il danno esistenziale è stato correttamente liquidato dal primo giudice. L’attrice, invero, ha fornito la prova che a seguito del sinistro, le sue abitudini di vita sono state sconvolte; infatti la stessa ha dovuto mutare il suo consueto lavoro, con un lavoro di bidella in una scuola, con tutte le conseguenze sul piano della diversità dell’occupazione e della perdita di relazione con un ambiente lavorativo frequentato per anni; quindi tale fatto ha inciso sulla di lei psiche, pesantemente, sotto il profilo esistenziale” (seconda parte di pag. 10 della sentenza impugnata).

 È dunque chiaro quale sia il pregiudizio indennizzato, costituente conseguenza non patrimoniale di un fatto costituente reato, sicché non sussistono le limitazioni fissate dalle sentenze di questa sezione nn. 8827 e 8828 del 2003, nonché dalle sezioni unite con le sentenze nn. 26972 e ss. dell’11.3.2008. Con le quali s’è appunto chiarito che la valenza costituzionale del diritto inciso costituisce presupposto di risarcibilità del danno non patrimoniale solo quando la legge ordinaria non la contempli essa stessa. E non è questo il caso se, come nella specie, il fatto costituisca reato ed il risarcimento del danno non patrimoniale sia dunque direttamente previsto dagli artt. 2059 c.c., e 185 c.p.c..

 Il pregiudizio cui la corte d’appello ha fatto riferimento, con motivazione del tutto congrua, non costituisce inoltre duplicazione di altra voce di danno, attesa la peculiarità insita nella sua descrizione; ed era inoltre stato introdotto nel thema decidendum, com’è reso evidente dall’affermazione che l’attrice ne aveva “fornito la prova”.

 La circostanza che il “danno esistenziale” (che appunto non esiste come autonoma categoria di danno ma che costituisce sintagma ampiamente invalso nella prassi giudiziaria) sia stato domandato solo in sede di conclusioni è, allora, assolutamente irrilevante; quel che rileva è che a quel tipo di pregiudizio fosse stato fatto riferimento in un contesto nel quale era stato richiesto il risarcimento del danno non patrimoniale, evidentemente senza limitazioni connesse solo ad alcune e non ad altre conseguenze pregiudizievoli derivatene.

 Le censure sono pertanto infondate.

 Conclusioni.

 10.- Va in definitiva accolto esclusivamente il primo motivo del ricorso incidentale, rigettate tutte le altre censure, nonché il ricorso principale.

 Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, alla cassazione della sentenza può conseguire la decisione della causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con la condanna di Donatella B. a restituire ad Unipol (ex Aurora, già Winterthur) quanto ricevuto in eccesso rispetto alla complessiva liquidazione del danno effettuata con la sentenza d’appello, (computati rivalutazione ed interessi come stabilito nella stessa sentenza), oltre agli interessi legali sulla somma da restituire a decorrere dal 24.2.2004.

 Resta ferma ogni altra statuizione della sentenza d’appello, inclusa quella sulle spese.

 Considerato che la cassazione della sentenza è effettuata esclusivamente in relazione ad un’omissione della stessa corte d’appello non imputabile alla parte – e sussistendo per ogni ulteriore aspetto soccombenza reciproca – si ravvisano giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

LA CORTE DI CASSAZIONE

pronunciando sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale, accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e rigetta gli altri, cassa in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, ferme le ulteriori statuizioni della sentenza d’appello, condanna D..B. a restituire ad Unipol Gruppo Finanziario s.p.a. quanto ricevuto in eccesso da Winterthur Assicurazioni s.p.a. rispetto alle somme riconosciute dalla sentenza di secondo grado, con gli interessi legali a decorrere dal 24.2.2004; compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

 

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