La tutela dei lavoratori contro il licenziamento illegittimo (M. Mondello)

 

LA TUTELA DEI LAVORATORI CONTRO IL LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO

Michele Mondello

 

La l. 20 maggio 1970, n. 300 – Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento – più comunemente conosciuto come lo Statuto dei lavoratori riconosce ai lavoratori una serie di diritti e prerogative e rappresenta una tappa fondamentale verso la conquista dei diritti fondamentali dei lavoratori dipendenti.

Le tensioni politiche e sociali che si registravano in Italia nel periodo dell’approvazione dello Statuto hanno fortemente condizionato il contenuto delle norme che lo compongono. In quel periodo il clima di forte mobilitazione e di richiesta di cambiamento è sfociata nell’emanazione di un testo normativo che per la prima volta introduceva nell’ordinamento lavoristico italiano norme di composizione dei conflitti derivanti dall’esercizio di poteri datoriali spesso in pregiudizio della classe subalterna dei lavoratori.

Le tensioni iniziate nella primavera del 1968 raggiunsero il culmine nell’autunno dell’anno successivo, quando venne istituita una Commissione governativa per l’elaborazione dello “statuto dei lavoratori” il cui testo è stato promulgato nel 1970.

 

Lo statuto si compone di 41 articoli suddivisi in sei Titoli.

L’art. 18 è contenuto nel Titolo II dedicato alla libertà sindacale. La norma che disciplina la reintegrazione sul posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo si applica alle aziende che hanno più di quindici dipendenti e riguarda il licenziamento discriminatorio, ingiustificato o senza comunicazione dei motivi.

Al ricorrere di queste ipotesi, il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Il lavoratore ha, però, facoltà di chiedere in sostituzione alla reintegrazione un’indennità pari a quindici mensilità, oltre al risarcimento dei danni.

Nel corso degli anni questa norma di tutela dei lavoratori è stata intesa come un limite alla libertà di iniziativa economica e da più parti considerata anacronistica e responsabile d’introdurre nell’ordinamento giuridico italiano un’eccessiva rigidità del mercato del lavoro.

L’attuale governo, attraverso il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha proposto di abrogare l’art. 18, poiché questa norma creerebbe una disuguaglianza tra differenti categorie di lavoratori. Difatti, l’art. 18 si applica ai datori di lavoro, che nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.

In secondo luogo la norma rappresenterebbe un disincentivo agli investimenti provenienti dall’estero, oltre ad essere nell’operatività pratica scarsamente utilizzata dai lavoratori che preferiscono il risarcimento alla reintegrazione.

Infine, la norma è stata nel corso degli anni erosa nella sua consistenza pratica dalla progressiva introduzione di norme istitutive di tipologie flessibili di lavoro, con la conseguenza che il divieto di licenziamento è stato nella prassi contrattuale aggirato dalle imprese attraverso l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato.

 

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