Chi paga se il sindaco sbaglia a emettere un’ordinanza di chiusura rivolta ad un pub? Cassazione, sez. III, 22 marzo 2012, n. 4547

 

CHI PAGA SE IL SINDACO SBAGLIA A EMETTERE UN’ORDINANZA DI CHIUSURA RIVOLTA AD UN PUB?

Cassazione, sez. III, 22 marzo 2012, n. 4547

 

L’adozione del provvedimento, dichiaratamente volto a tutelare l’ordine e la tranquillità pubblica e non a prevenire o eliminare “gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini”, non fu adottato dal sindaco quale ufficiale del governo ma come organo dell’ente territoriale, al di là dell’improprio riferimento all’art. 38 della l. n. 142 del 1990, che non può essere in sé riguardato come sufficiente a trasferire in capo ad altra amministrazione (quella dello Stato) la responsabilità per un provvedimento adottato dal sindaco in virtù dei poteri a lui direttamente conferiti dalla legge n. 287 del 1991, nell’ambito di competenze sue proprie e non già dello Stato

 

 

Cassazione, sez. III, 22 marzo 2012, n. 4547

(Pres. Massera – Rel. Amatucci)

 

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza n. 35 del 28.7.1994 il sindaco di Alzano Lombardo ordinò a C..C. , titolare di un esercizio di somministrazione di cibi e bevande (birreria-paninoteca), la chiusura anticipata dell’esercizio alle ore 24, anziché alle ore 2 della notte, con effetto immediato ed a tempo indeterminato, “per motivi di ordine e tranquillità pubblica”, in considerazione dei numerosi reclami (cui avevano fatto seguito anche diffide) pervenuti a causa del disturbo alle persone arrecato dal perdurare di schiamazzi notturni.

A seguito dell’annullamento dell’atto da parte del TAR di Brescia, nel 1997, per non essere stato previsto un limite temporale (di quindici giorni) all’efficacia del provvedimento, la C. convenne in giudizio il Ministero dell’Interno, innanzi al Tribunale di Brescia, per il risarcimento del danno, prospettandone la responsabilità per avere il sindaco provveduto come Ufficiale del Governo.

Il Ministero resistette.

Con sentenza n. 463/04 il Tribunale accolse la domanda, condannando il Ministero al pagamento di Euro 115.000, per i minori introiti derivati all’attrice per un triennio.

2.- La decisione è stata riformata dalla Corte d’appello di Brescia che, con sentenza n. 986 dell’11.11.2009, in accoglimento dell’appello del Ministero, ha dichiarato il suo “difetto di legittimazione passiva” in quanto la domanda avrebbe dovuto proporsi nei confronti del Comune.

3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione la C. affidandosi a due motivi.

L’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva.

 

Motivi della decisione

 

1.- Sono dedotte, con entrambi i motivi, falsa applicazione dell’art. 38, secondo comma, della legge 8.6.1990, n. 142 e vizio di motivazione (nonché errore sul fatto, peraltro non rientrante tra i possibili motivi del ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c.) nel sostanziale assunto che, tra l’altro travisando il senso della sentenza del TAR, la corte d’appello ha erroneamente ritenuto che l’ordinanza emessa dal sindaco anche ai sensi della disposizione citata “sia da considerarsi riferibile ad un generico potere di ordinanza del Sindaco e non riconducibile alla sua qualifica di ufficiale del governo, traendone supporto (erroneamente) dalla motivazione resa dal TAR Broscia che correttamente svolge il suo ragionamento in senso opposto”.

2.- Quali siano state le considerazioni del TAR la ricorrente non dice.

Il provvedimento del sindaco è stato assunto – come riportato a pag. 7 della sentenza impugnata – “visti gli artt. 8 e 9 della legge 25.8.1991, n. 287; visto l’art. 38 della legge 8.6.1990, n. 142”; dunque ai sensi di disposizioni concernenti, le prime due, l’insediamento e le attività dei pubblici esercizi e, la terza, le attribuzioni del sindaco quale ufficiale del governo nei servizi di competenza statale, come tale abilitato ad adottare “con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano 1 ‘incolumità dei cittadini”.

È dunque evidente che l’adozione del provvedimento, dichiaratamente volto a tutelare l’ordine e la tranquillità pubblica e non a prevenire o eliminare “gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini”, non fu adottato dal sindaco quale ufficiale del governo ma come organo dell’ente territoriale, al di là dell’improprio riferimento all’art. 38 della l. n. 142 del 1990, che non può essere in sé riguardato come sufficiente a trasferire in capo ad altra amministrazione (quella dello Stato) la responsabilità per un provvedimento adottato dal sindaco in virtù dei poteri a lui direttamente conferiti dalla legge n. 287 del 1991, nell’ambito di competenze sue proprie e non già dello Stato.

3.- Il ricorso è respinto.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese.

 

P.Q.M.

 

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

 

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