Atti persecutori. La condotta dello stalker deve concretamente produrre conseguenze psicologiche? Cassazione, sez. V, 14 aprile 2012, n. 14391

 

ATTI PERSECUTORI. LA CONDOTTA DELLO STALKER DEVE CONCRETAMENTE PRODURRE CONSEGUENZE PSICOLOGICHE?

Cassazione, sez. V, 14 aprile 2012, n. 14391

 

E certamente vero che il reato di cui all’articolo 612 bis c.p. è reato di evento e di danno; è altrettanto vero che, com’è ovvio, l’evento deve essere conseguenza della condotta dell’agente.

Tutto ciò premesso, però, non deve confondersi un fatto con la sua prova. La prova di un evento psichico, qual è il turbamento dell’equilibrio mentale di una persona, non può che essere ancorata alla ricerca di fatti sintomatici del turbamento stesso, atteso che non può diversamente scandagliarsi “il foro interno” della persona offesa. Assumono allora importanza tanto le dichiarazioni della predetta persona offesa, quanto le sue condotte, conseguenti e successive all’operato dell’agente, quanto – infine – la condotta stessa di quest’ultimo, che ovviamente va valutata, tanto in astratto (dunque sotto il profilo della sua idoneità a causare l’evento), quanto in concreto, vale a dire con riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui essa si è manifestata.

 

 

Cassazione, sez. V, 14 aprile 2012, n. 14391

(Pres. Oldi – Rel. Fumo)

 

Ritenuto in fatto

Il tribunale del riesame di Milano, con il provvedimento di cui in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto da S.A. , avverso l’ordinanza del gip di Como del 7/9/2011, con la quale era stata, a sua volta, rigettata l’istanza di revoca degli arresti domiciliari.

Sincero è sottoposto ad indagini con riferimento al delitto di cui all’articolo 612 bis c.p. in danno di M.P. e T.M. .

Ricorre per cassazione il difensore e deduce:

1) violazione dell’articolo 612 bis cp. Premesso che il cosiddetto stalking è reato di danno e di evento e non di pericolo e di mera condotta, è evidente che trattasi di evento psicologico, come dottrina e giurisprudenza affermano. Gli eventi possibili, previsti dalla legge, sono essenzialmente tre: a) la determinazione nella vittima di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, b) un fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto, o di persona comunque legata da relazione affettiva alla vittima, c) la costrizione del soggetto passivo ad alterare le proprie abitudini di vita.

Orbene, il primo evento, per quanto stabilito da dottrina e giurisprudenza, deve concretizzarsi in uno stato di stress, quantificabile e misurabile in base ad un criterio diagnostico omogeneo. Si tratta di una conseguenza di non facile accertamento, che per di più, deve essere, com’è ovvio, in rapporto causale con la condotta dell’agente, quale deve appunto determinare disagio psichico nella vittima, disagio che comporti la rottura dell’equilibrio emotivo e la destabilizzazione della sua serenità. Dunque: la sussistenza di tale evento non può essere affermata semplicemente sulla base delle allegazioni della persona offesa, né l’evento può essere accertato unicamente sulla base della rilevanza e significatività della condotta ascritta all’agente, altrimenti non saremmo più in presenza di un reato di evento, ma di un reato di mera condotta. In altre parole, non è ammissibile, con riferimento al reato in questione, una sorta di autodiagnosi da parte della pretesa vittima, anche perché neanche può essere trascurata l’ipotesi in cui la vittima stessa sia – di per sé e a prescindere dalla condotta dell’agente – un soggetto portatore di una patologia ansiosa, depressiva o di altra natura. Nel caso in esame, la M. ha riferito, tra l’altro, del suo timore di essere seguita dall’indagato, ma non risulta che tale condotta sia mai stata tenuta dal S. ; per altro verso, si deve osservare che i turbamenti psichici denunciati da questa persona sono sprovvisti di qualsiasi documentazione sanitaria di supporto; né può farsi riferimento, come pure fa il tribunale del riesame, alla precedente ordinanza emessa a carico dell’indagato; si tratta di un provvedimento che non può assurgere a parametro di giudizio. S. , peraltro, con un’operazione logica inaccettabile, viene ritenuto responsabile di tutto ciò che è accaduto alla coppia M. -T. , come ad esempio il lancio di ossa o uova nel loro giardino. Tali specifici episodi sono elencati nel capo di imputazione, nonostante che il collegio cautelare, nell’ordinanza impugnata, sostenga il contrario.

Quanto all’eventuale cambiamento di abitudini di vita, è pacifico che ciò deve avvenire in base alla costrizione che l’agente esercita sulla vittima; deve cioè, anche in questo caso, essere ricostruibile e ben individuabile il nesso causale. La vittima deve essere posta di fronte all’alternativa di cambiare le proprie abitudini di vita, oppure di subire il danno che la condotta dello stalker gli apporta: in sintesi, deve veder ridotta la sua libertà di autodeterminazione. Il cambiamento delle abitudini di vita, peraltro, deve essere significativo (cambio di abitazione, perdita del lavoro ecc. e tutte le altre ipotesi che la casistica ha enucleato); è di tutta evidenza, infatti, che il cambio di abitudini di scarsa importanza non può aver rilievo. Nel caso in esame, anche a voler dare credito alle affermazioni delle persone offese, non vi è stato lo stravolgimento del loro abitudini di vita. Il preteso locus delicti è rappresentato dalle rispettive abitazioni e dalle zone condominiali che le dividono. Stranamente, però, terze persone (i condomini, i casigliani) sembrano non aver udito nulla e nulla sembrano sapere. S. abita pacificamente nel suo appartamento e non può certo scomparire. La M. sostiene, che, a seguito della condotta dell’indagato, ella non vuole più andare da sola al box dove è custodita la sua auto, ma pretende di essere accompagnata dal marito, perché immagina che l’indagato possa molestarla; si tratta, però, come è evidente, di una mera ipotesi, nata nella mente della pretesa persona offesa.

2) carenza, contraddittorietà, illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale. Il tribunale del riesame concentra la sua analisi sulla mera idoneità della condotta dell’indagato, ma non verifica la sussistenza del nesso eziologico tra tale condotta e le pretese conseguenze sulle persone offese. E evidente che è necessario che il turbamento psichico si verifichi in concreto, non bastando che esso possa semplicemente verificarsi. Il collegio cautelare, diversamente ragionando, finisce per considerare ti delitto di cui all’articolo 612 bis cp, come un reato di pericolo e non di danno, atteso che esso sembra prendere in considerazione solo la condotta e non l’eventuale sua conseguenza. Né è consentito costruire il nesso causale semplicemente con riferimento alle precedenti vicende giudiziarie.

3) travisamento della prova con conseguente contraddittorietà e incompletezza della motivazione. L’intero impianto accusarono si fonda sulle dichiarazioni delle pretese persone offese. Come la giurisprudenza ha più volte evidenziato, in una situazione di tal genere, è necessaria un’approfondita indagine sulla credibilità di chi si dichiara offeso da un reato; tale indagine può giungere fino all’eventuale ricerca degli elementi esterni di riscontro. Di tutto ciò il giudice deve dare atto in motivazione, cosa che il tribunale del riesame, nel caso di scrutinio, non ha fatto. Si legge nel provvedimento impugnato che le dichiarazioni delle persone offese avrebbero carattere di precisione, reiterazione e coerenza. Viceversa, è da osservare come le accuse siano del tutto generiche, in quanto al S. vengono, il più delle volte, attribuite frasi composte di un paio di parole, nonché alcuni gesti elementari. Quanto alla contestualizzazione della condotta addebitata al ricorrente, non va dimenticato che le persone offese sono vicini di casa del S. e, dunque, ne conoscono le abitudini e gli orari di lavoro, di talché per loro è certamente agevole “collocare” nel tempo le condotte che addebitano al ricorrente. Sotto altro aspetto, va ricordato come, più volte, nelle querele proposte dalla coppia si legge che S. avrebbe urlato insulti all’indirizzo di M. e T. , ma, stranamente, i vicini di casa nulla sembrano aver udito; né si comprende perché non siano state raccolte le loro dichiarazioni. La verità è che le persone offese si riscontrano vicendevolmente e che, solo in tal senso, le loro dichiarazioni appaiono corroborate. Peraltro, tale riscontro vicendevole non sempre è presente, atteso che vi sono episodi che avrebbero visto danneggiata la moglie, ma in assenza del marito.

Il tribunale del riesame, poi, travisa completamente il senso delle indagini difensive condotte a suo tempo. Ad esempio, con riferimento alle dichiarazioni di G.M. (relative al preteso lancio di un osso rosicchiato nel giardino delle persone offese); invero, il tribunale, per superare l’affermazione proveniente dal G. , in base alla quale S. sarebbe rimasto con lui fino alle 17.00, afferma che evidentemente la M. si è sbagliata nell’indicare nelle 16.00 il momento in cui avrebbe udito il rumore dell’auto dell’indagato allontanarsi da casa e avrebbe quindi trovato nel suo giardino l’osso rosicchiato. Al proposito, è da ribadire che erra il collegio cautelare nel ritenere che la condotta del lancio dell’osso e di uova nel giardino delle persone offese non faccia parte del capo di incolpazione provvisorio. Non si comprende, quindi, perché l’evidente falsità delle dichiarazioni della M. non abbiano fatto dubitare il tribunale del riesame della credibilità di questa dichiarante.

Quanto alle dichiarazioni di D.C. , il quale ha affermato che S. era solito giungere al lavoro sempre intorno alle le 6.30, il collegio cautelare “reagisce” semplicemente escludendo gli episodi del (omissis) e del (omissis), osservando peraltro che il 29 era domenica e che quindi S. non poteva trovarsi al lavoro (al proposito è facile obiettare che, essendo domenica, e anche improbabile che l’indagato fosse sveglio all’alba).

Quanto alle dichiarazioni di B.M. , titolare di un panificio, il quale ha affermato che S. , intorno alle le 6.15, era solito passare nel suo negozio, il tribunale del riesame, ancora una volta, esclude che si siano verificati i fatti nelle date sopraindicate.

Non si capisce – dunque – per qual motivo, ancora una volta, i giudici cautelari non dubitino della credibilità delle persone offese.

Infine, quanto alle dichiarazioni di S.V. , padre dell’indagato, il quale ha affermato di aver trascorso un periodo in casa col figlio e ha escluso che in tale circostanza l’indagato possa essersi avvicinato alla finestra per fare gesti osceni nei confronti delle vittime, il tribunale del riesame replica in maniera del tutto illogica, sostenendo che è ben possibile che S.A. sia sfuggito alla sorveglianza del genitore. Così argomentando, i giudici cautelari non tengono conto del fatto che, come provato documentalmente attraverso le fotografie prodotte dalla difesa, l’appartamento dell’indagato è talmente piccolo che non è possibile che al genitore sia sfuggita una azione del figlio tenuta all’interno del predetto appartamento. E proprio a proposito delle fotografie, è da rilevare come il tribunale del riesame, illogicamente e contraddittoriamente, assuma che esse non hanno importanza alcuna, laddove la corretta contestualizzazione spaziale è uno degli elementi

valutati per affermare la credibilità di M. e T. . Anche sotto questo aspetto, si evidenzia – pertanto – la contraddittorietà e l’incompletezza della motivazione.

A tutto ciò va aggiunto che, in genere, lo stalker è un individuo che si pone “a caccia della preda”, la pedina, la perseguita, tenta di incontrarla in luoghi appartati. Nel caso di specie, viceversa, tutto si sarebbe verificato nel comprensorio nel quale si trovano le abitazioni dell’indagato e delle pretese vittime. Anche per questo, le persone offese non sono credibili. Va comunque considerato che il contatto visivo tra S. , da un lato, M. e T. , dall’altro, è inevitabile e che l’indagato non può essere colpevolizzato solo per questo.

Infine, le querele dei giorni 6 luglio e 17 luglio 2011 appaiono del tutto generiche, tanto che l’autorità procedente prende in considerazione solo parte del contenuto delle stesse; ciò tuttavia mette in evidenza, ancora una volta, da un lato, la scarsa credibilità delle persone offese, dall’altro, la mancanza di pericolosità del S. .

Considerato in diritto

La prima censura è infondata.

E certamente vero che il reato di cui all’articolo 612 bis c.p. è reato di evento e di danno; è altrettanto vero che, com’è ovvio, l’evento deve essere conseguenza della condotta dell’agente.

Tutto ciò premesso, però, non deve confondersi un fatto con la sua prova, come sembra fare, viceversa, il ricorrente. La prova di un evento psichico, qual è il turbamento dell’equilibrio mentale di una persona, non può che essere ancorata alla ricerca di fatti sintomatici del turbamento stesso, atteso che non può diversamente scandagliarsi “il foro interno” della persona offesa. Assumono allora importanza tanto le dichiarazioni della predetta persona offesa, quanto le sue condotte, conseguenti e successive all’operato dell’agente, quanto – infine – la condotta stessa di quest’ultimo, che ovviamente va valutata, tanto in astratto (dunque sotto il profilo della sua idoneità a causare l’evento), quanto in concreto, vale a dire con riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui essa si è manifestata.

Come correttamente osserva il ricorrente, le conseguenze della condotta ascritta allo stalker, per quanto previsto dal legislatore, consistono (alternativamente, ma, eventualmente, anche cumulativamente) nel grave e perdurante stato di ansia e paura cagionato nella persona offesa, nel timore di danni a sé smessa o a persona vicina, nel cambiamento delle proprie abitudini di vita, quale conseguenza della condotta dell’agente, vale a dire quale “reazione difensiva” a tale condotta.

Certamente, tale ultima conseguenza è quella che è accettabile con maggiore facilità e sicurezza, in quanto essa si manifesta nel mondo esterno e si concretizza, in ultima analisi, a sua volta, in una condotta.

Se Tizio, che era solito tenere il comportamento A, cambia abitudini e – dopo una certa data e dopo che l’agente lo ha reiteratamente minacciato e/o molestato – tiene il comportamento B, al giudicante, che debba verificare la sussistenza degli estremi del reato di atti persecutori, compete accertare se tale mutamento sia conseguenza della condotta dell’agente. Nel fare ciò, da un lato, non potrà fare a meno di considerare le dichiarazioni della persona offesa, dall’altro, logicamente, dovrà valutare se la “nuova condotta” possa in qualche maniera essere idonea a neutralizzare, a scongiurare, ad evitare quei comportamenti molesti e minacciosi addebitati all’agente.

Nel caso in esame, poiché la M. ha sostenuto di temere di essere minacciata e insultata dal S. , così come, a suo dire, era accaduto in passato (e come è comprovato da una sentenza di condanna), non è illogico che la stessa abbia deciso, da quel momento in poi, in costanza dei predetti comportamenti da parte dell’indagato, di essere accompagnata dal marito nei suoi spostamenti all’interno del comprensorio, essendo evidente il “rischio” di incontrare l’indagato.

Proprio tale concreta condotta tenuta dalla donna viene assunta dai giudici cautelari come indice del turbamento psichico subito ad opera dell’agire del S. . Poiché le azioni umane, solitamente, se poste in essere da persona compos sui, mirano ad una finalità, è certamente corretto il procedimento logico che, sulla base della individuazione di tale finalità, risale alle ragioni del comportamento e dunque alle sue cause.

Tale è, con ogni evidenza, l’iter del ragionamento sviluppato dal tribunale del riesame, iter facilmente intelligibile attraverso una diligente lettura del provvedimento impugnato.

Naturalmente, il predetto ragionamento, in tanto può essere accettato, in quanto sia stata ritenuta la attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, questione che il ricorrente affronta con il suo terzo motivo e che sarà di seguito esaminata.

La seconda censura è manifestamente infondata e, dunque, inammissibile.

Invero, nei limiti sopra individuati, il tribunale del riesame ha implicitamente, ma con chiarezza, affermato la sussistenza del nesso causale tra le condotte del S. e il mutamento – psicologico e comportamentale – nella sfera di pertinenza delle persone offese. Non è poi esatto dire che la sussistenza del nesso causale sia stata dedotta unicamente dal fatto che esista una precedente vicenda giudiziaria; tale precedente vicenda è semplicemente utilizzata quale canone interpretativo della successiva condotta dell’indagato, al quale viene di fatto addebitata una reiterazione nel comportamento persecutorio in danno dei coniugi T. .

Manifestamente infondata e, in gran parte, anche articolata in fatto è la terza censura.

Quanto alla complessiva credibilità delle persone offese, il ricorrente sembra ignorare che esiste un consolidato orientamento giurisprudenziale, in base al quale è ben possibile la valutazione frazionata delle dichiarazioni di un teste o di un imputato. Il fatto che, con riferimento a taluni specifici episodi, la parola della M. non abbia trovato riscontro o addirittura sembri essere smentita da quanto dichiarato da persone esaminate con la procedura delle indagini difensive, per il tribunale del riesame, non intacca il nucleo essenziale della ricostruzione dei fatti operata dalle persone offese.

Se è pur vero che l’episodio relativo al lancio di un osso e di un uovo nel giardino dei coniugi T. non può dirsi sufficientemente provato, è anche da rilevare che, come si legge nel provvedimento impugnato, la M. ebbe a riferire di aver udito il rumore del motore di una autovettura che si allontanava, dopo aver notato nel suo giardino la presenza dei predetti oggetti. Ella ha poi attribuito la disponibilità dell’autovettura al S. ed è di tutta evidenza che, seppure ciò non è stato provato, da un lato, sembra scalfito un solo episodio della complessiva condotta addebitata all’Indagato, dall’altro, non può ritenersi compromessa la credibilità della dichiarante che, in effetti, più che un fatto, ha riferito una sua deduzione. Quanto alle dichiarazioni di B. e D. , il tribunale del riesame, prendendone atto, esclude che l’episodio del 15/6/2011 possa essere accaduto. A ben vedere, però, non esclude che possa essere accaduto quello del 29/5 dello stesso anno, poiché, essendo domenica, certamente S. non era al lavoro. E tutto ciò, se da un lato, per le ragioni sopra enunciate, non può valere ad intaccare la credibilità della M. , ridimensiona le dichiarazioni di B. e D. , quantomeno con riferimento a uno dei due episodi.

Quanto al fatto che la ricostruzione dell’accaduto, come operato dalle persone offese, sarebbe scarsamente credibile, perché poco dettagliata, in quanto al S. sarebbe stata attribuita la pronuncia di frasi brevi e articolate in poche parole, è di tutta evidenza che la brevità di un’espressione insultante non è – di per sé – un fatto anomalo. La comune esperienza insegna, anzi, che, in genere, chi intenda insultare altre persone non si lanci in complicate disquisizioni, articolando frasi costruite su principali, subordinate, periodi ipotetici e quanto altro, ma si limiti a pronunciare, appunto, insulti, condensati in una o poche parole ingiuriose. In altri termini, sarebbero stati molto meno credibili i querelanti se avessero assunto che S. , con un lungo giro di parole, avesse tentato di dimostrare la loro indegnità, la loro appartenenza a categorie spregevoli, la loro scarsa moralità ecc. Paradossale infine è l’argomentazione in base alla quale, poiché l’indagato ha ospitato per un certo periodo di tempo il padre nella sua abitazione, lo stesso, in detto periodo, non avrebbe potuto mai avvicinarsi alla finestra per fare gesti osceni o minacciosi nei confronti della M. , quasi che una persona potesse sorvegliare ininterrottamente, 24 ore su 24, un’altra persona con la quale condivide un’abitazione. Priva di qualsiasi pregio, inoltre, è l’annotazione in base alla quale non tutti i fatti esposti in querela sono stati trasfusi nel provvisorio capo di incolpazione, atteso che spetta unicamente, in prima battuta, al PM il compito di selezionare gli episodi giuridicamente significativi e di trasfonderli in una formula accusatoria. Se mai, il fatto che le persone offese abbiano riferito anche circostanze, ritenute, allo stato, penalmente irrilevanti, potrebbe addirittura stare a provare – e contrario – la completezza, la spontaneità, la sincerità del loro narrato.

Conclusivamente, il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato le spese del grado.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

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