Manca il certificato di abitabilità: possibile la riduzione del prezzo pattuito? Cassazione, sez. II, 26 aprile 2012, n. 6521

 

MANCA IL CERTIFICATO DI ABITABILITÀ: POSSIBILE LA RIDUZIONE DEL PREZZO PATTUITO?

Cassazione, sez. II, 26 aprile 2012, n. 6521

 

I vizi relativi all’abitabilità parziale di un immobile giustificano la riduzione, ai sensi dell’art. 1492 c.c., del prezzo originariamente pattuito, qualora gli stessi siano riferibili a norme urbanistiche ed impiantistiche e  vengano prontamente rilevati e segnalati al promittente alienante dal promissario acquirente.

 

 

Cassazione, sez. II, 26 aprile 2012, n. 6521

(Pres. Schettino – Rel. Nuzzo)

 

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 4,7.2003 B.E. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Genova, C.M.G. e B.A. esponendo di aver stipulato, in data 15.4.1993, un contratto preliminare con cui si era obbligato ad acquistare un immobile con annesso terreno, sito in Comune di Lerma, di proprietà dei convenuti.

Lamentava che, al momento della stipulazione del contratto definitivo, erano emerse varie difformità riguardanti, fra l’altro, il difetto di abitabilità di alcune parti dell’immobile. Chiedeva, pertanto, sentenza costitutiva di trasferimento dei beni, ex art. 2932 c.c., ad un prezzo ridotto rispetto a quello pattuito nonché il risarcimento dei danni subiti per il ritardo nell’esecuzione del preliminare.

Con sentenza 20.9.2006 il Tribunale, in composizione monocratica, espletata C.T.U., disponeva il trasferimento in favore dell’attore, della proprietà dell’immobile oggetto del contratto preliminare, per il prezzo di Euro 281.500,00 (così ridotto rispetto quello pattuito, pari ad Euro 294.000,00), detratta la caparra di Euro 90.000,00; respingeva le altre domande di accertamento dei vizi e risarcimento dei danni e condannava i convenuti al pagamento delle spese di lite.

Avverso tale sentenza il B. proponeva appello cui resistevano i coniugi C. – B. che, in via incidentale, chiedevano dichiararsi il loro diritto di recedere dal preliminare, trattenendo la caparra versata dal Be. , avendo questi, senza giustificato motivo, rifiutato di stipulare il contratto definitivo.

Con sentenza depositata il 30.9.2009, la Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza di primo grado,riduceva il prezzo di vendita ad Euro 257.980,00, condannando i C. -B. al rilascio dell’immobile in favore del B. , subordinatamente al pagamento del prezzo, nonché alla rifusione delle spese di C.T.P.;

respingeva l’appello incidentale dei C. B. e compensava fra le parti, nella misura di un terzo, le spese del grado con condanna degli appellati al pagamento dei restanti due terzi.

Tale decisione è impugnata dai C. – B. con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da successiva memoria.

Resiste con controricorso il Be. , avanzando, altresì, ricorso incidentale sulla base di cinque motivi.

Motivi della decisione

I ricorrenti principali deducono:

1) omessa pronuncia sull’eccezione di tardività della denuncia di vizi e difetti dell’immobile non menzionati nell’atto di citazione, con violazione dell’art. 112 c.p.c.;

2) omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; i giudici di appello non avevano indicato il criterio posto a fondamento del rigetto della eccezione di tardività delle domande di cui al primo motivo e, contraddittoriamente, aveva dichiarato inammissibile una delle domande di controparte, relativa al cosiddetto danno fiscale,perché non compiutamente formulata nel primo grado del giudizio, accogliendo, invece, la domanda di riduzione del prezzo per vizi e difformità mai dedotti;

3) vizio di ultrapetizione, ex art. 112 c.p.c., laddove la Corte d’appello aveva deciso su una voce di danno, quale il risarcimento dei danni per mancato utilizzo dell’immobile promesso in vendita,senza che sul punto controparte avesse formulatole in primo grado né in appello, alcuna richiesta;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 2, L. R. Piemonte 6.8.1998 n. 21, anche in relazione agli artt. 1370, 1365, 1440 e 1538 c.c.;

la Corte di Appello aveva erroneamente condiviso le conclusioni del C.T.U., in ordine al difetto del certificato di abitabilità della “taverna” e del ” cucinotto”, siti nel piano seminterrato e non destinati alla permanenza continuativa delle persone, non tenendo conto che si trattava di “locali accessori o a servizio dell’abitazione”, per i quali la legge cit. non richiedeva alcun ulteriore certificato di abitabilità rispetto a quello originario riguardante l’intero edifico, comprensivo di detti locali sia pure indicati come “cantina” e “ripostiglio”; tanto valeva anche per la “veranda”, trattandosi di locale accessorio, esulante dalla disciplina relativa ai locali sottotetto di cui a detta legge regionale; 5)violazione e falsa applicazione dell’art. 1489 c.c., anche in relazione all’art. 2058 c.c. ed all’art. 1385 c.c.; l’integrale corresponsione, da parte dei ricorrenti, della somme dovute per oblazione ed oneri di concessione per la definizione del condono edilizio, precludeva la contestazione relativa alla “abitabilità” del piano seminterrato e, conseguentemente,la possibilità di riduzione del prezzo di compravendita dell’immobile in questione, giustificabile solo in caso di persistenza del potere repressivo della P.A.(adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di demolizione).

Con ricorso incidentale i controricorrenti lamentano: a)violazione degli artt. 1218, 1223, 1362, 1372, 1490 c.c. e 112 c.p.c., nonché insufficiente motivazione; laddove la Corte d’Appello(a pag. 9 della sentenza impugnata) aveva escluso che la veranda costituisse un volume coperto e che dovesse essere munita dell’abitabilità, recependo il giudizio del C.T.U. secondo cui tale locale “è passibile di chiusura mediante infissi scorrevoli,non di completa sigillatura…”;

b) violazione degli artt. 1218 – 1223 – 1362 – 1372 – 1490 c.c. – 112 c.p.c. nonché insufficiente motivazione; la Corte territoriale aveva aderito all’illogica motivazione del C.T.U. che aveva ritenuto non necessario riempire la piscina tutti gli anni, essendo la stessa munita di impianto autodepurante con possibilità, quindi, del solo “abbocco”, non tenendo conto che il clima rigido nella stagione invernale imponeva lo svuotamento della piscina nella stagione stessa, al fine di evitare la formazione di ghiaccio e danni alla struttura;

c) violazione degli artt. 1218, 1223, 1362, 1372, 1490 c.c. 112 c.p.c.; omessa motivazione, per avere i giudici di merito omesso di valutare le infiltrazioni dal terrazzo nella sottostante veranda con danni alle relative murature, come verificati, in corso di causa, dal C.T.P. e descritti nel verbale allegato alla C.T.U. del 20.9.04;

d) violazione degli artt. 1218, 1223, 1362, 1372, 1490 c.c. e 112 c.p.c.; omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento dei costi sostenuti per l’attività professionale espletata dal Notaio Armando Salati (esame documenti, corrispondenza ecc.) in vista della stipula del contratto definitivo;

e) violazione degli artt. 1218, 1223, 1362, 1372, 1490 c.c. e 112 c.p.c. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento al mancato riconoscimento degli oneri fiscali di registrazione del contratto preliminare e del danno verificatosi per la liquidazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della imposta relativa alla sentenza del Tribunale con cui era stato disposto il trasferimento dell’immobile.

Il ricorso principale è infondato e, come tale, va rigettato.

Le prime tre censure vanno esaminate congiuntamente stante la loro connessione con riferimento al comune presupposto della omessa denuncia in citazione di determinati vizi delle opere, omissione che avrebbe comportato il vizio di ultrapetizione e di omessa, contraddittoria motivazione.

Al riguardo è sufficiente osservare che i coniugi C. B. concludevano in primo grado, chiedendo, fra l’altro, una riduzione del prezzo di vendita degli immobili “in dipendenza dei vizi e difformità dichiarati e accertati” ed il risarcimento per “i danni emersi ed emergendi”; correttamente, quindi, il Giudice di appello ha ridotto detto prezzo, ai sensi dell’art. 1492 c.c., sulla base di quanto accertato mediante C.T.U. e tenuto conto della garanzia, ex art. 1490 c.c., prestata dai promittenti venditori, col contratto preliminare di vendita in ordine al rispetto delle norme urbanistiche ed impiantistiche ed alla abitabilità dell’immobile oggetto del contratto, “in ogni sua parte”.

La Corte di merito ha ritenuto, peraltro, le risultanze peritali “sorrette da congrua e puntuale motivazione” quanto al minor valore dell’immobile per i vizi riscontrati; sul punto le doglianze dei ricorrenti vanno disattese essendo del tutto generiche e fondate su una diversa valutazione in fatto,esulante dal sindacato di legittimità. Anche quanto alle censure di cui al motivo sub 4) la Corte territoriale ha fatto riferimento alle conclusioni del C.T.U. ed alla motivazione della sentenza di primo grado; non specificatamente contestata, evidenziando che i promettenti venditori avevano garantito la abitabilità dell’immobile in ogni sua parte, compresi, quindi, i locali siti nel piano seminterrato.

Del tutto in conferente è poi il richiamo alla legge Piemonte n. 21/1998, riguardante il “recupero dei sottotetti”, per giustificare il difetto di abitabilità del cucinotto e della taverna siti al piano seminterrato.

Il motivo sub 5) si fonda su un apprezzamento di parte, superato dall’accertato minor valore dell’immobile per i vizi ed i difetti riscontrati, al di là della richiesta di condono edilizio.

Del pari infondato è il ricorso incidentale in quanto, sotto il profilo apparente del vizio di violazione di legge e di motivazione, le censure sub a) b) e c) implicano, in realtà, un diverso apprezzamento di circostanze di fatto già esaminate con adeguata motivazione nella sentenza impugnata. In relazione poi ai motivi sub d) ed e), il giudice di appello ha dato conto della novità della domanda riguardante il riconoscimento del c.d. danno fiscale ed ha escluso, con adeguata motivazione non attinta dalla relativa censura, la sussistenza dell’asserito danno da ritardo nella stipula del contratto definitivo, posto che il promissario acquirente aveva agito in giudizio non per ottenere la risoluzione di preliminare ma per ottenerne l’esecuzione.

Alla stregua di quanto osservato vanno respinti entrambi i ricorsi. Ricorrono giusti motivi, considerata la reciproca soccombenza delle parti, per compensare integralmente fra di loro le spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta entrambi i ricorsi. Spese compensate.

 

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