Patologia comportamentale: l’accertamento con perizia nell’udienza preliminare evita il dibattimento Cassazione, sez. V, 18 maggio 2012, n. 19140

 

PATOLOGIA COMPORTAMENTALE: L’ACCERTAMENTO CON PERIZIA NELL’UDIENZA PRELIMINARE EVITA IL DIBATTIMENTO

Cassazione, sez. V, 18 maggio 2012, n. 19140

 

La regola di giudizio sottesa alla formulazione del comma 3 dell’art. 425 c.p.p. è quella per cui il giudice dell’udienza preliminare deve emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti o contraddittori ed è qualificata dall’ultima parte del suddetto comma, che impone un simile esito allorché detti elementi siano «comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio», cioè in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione (Cass., sez. IV, 31 gennaio 2008, n. 13163; Sez. IV, 6 ottobre 2009, n.43483), per cui solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto – e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato – può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere (Cass., sez. V, 15 maggio 2009, n. 22864).

In tale ambito, il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere non può pertanto che essere riferito alla prognosi sull’eventuale accertamento di responsabilità alla stregua dei risultati provvisoriamente offerti dagli atti di indagine, nonché dalle prove irripetibili o assunte in sede di incidente probatorio (Cass., sez. V, 3 febbraio 2010, n. 10811), non essendo consentito un sindacato di merito nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti, ma solo un controllo della giustificazione adottata dal giudice nel valutarli

 

 

Cassazione, sez. V, 18 maggio 2012, n. 19140

(Pres. Ferrua – Rel.Palla)

 

Fatto e diritto

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torre Annunziata ricorre avverso la sentenza, emessa ai sensi del comma 3 dell’art.425 c.p.p. dal locale g.u.p. in data 8.3.11, con la quale è stato dichiarato non doversi procedere, per insussistenza dei fatti, nei confronti di A.V., vigile urbano in servizio presso il Comando di Polizia Municipale del Comune di (OMISSIS) , e di C.F., medico di famiglia convenzionato con il S.S.N., in ordine ai reati loro in concorso ascritti di falso ideologico e truffa aggravata con riferimento alle certificazioni attestanti che l’A. era affetto da «depressione ansioso reattiva».

Deduce il p.m. ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, carenza e manifesta illogicità della motivazione, fondandosi il provvedimento del g.u.p. sulla acritica condivisione della perizia disposta in sede di udienza preliminare, secondo cui, alle luce delle conclusioni cui era pervenuto il perito, doveva ritenersi «la più che probabile esistenza di una patologia comportamentale patita dall’imputato A. nel periodo indicato in contestazione». Tali conclusioni peritali erano invece profondamente discutibili, non apparendo giustificabile come il perito avesse potuto diagnosticare attualmente, con ragionevole margine di attendibilità, che nel 2008 l’A. fosse affetto da una depressione ansioso-reattiva, costituendo tale patologia uno stato morboso non già legato ad intimi processi psicologici, ma prodotto dalla sussistenza di un fattore stressante esterno e temporaneo la cui cessazione aveva determinato la risoluzione del «disturbo dell’adattamento» nell’arco di sei mesi.

Muovendo dalla vantazione della personalità dell’A. – prosegue il p.m. ricorrente -, ritenuto «scarsamente tollerante alle frustrazioni e/o a eventi psicostressanti e con tendenza alla rimuginazione» il perito aveva ritenuto ‘probabile’ che la presenza di un fattore esterno (ossia le problematiche lavorative) potesse aver determinato l’insorgenza del contestato disturbo dell’adattamento, ma dal piano puramente probabilistico il perito si era inopinatamente spostato su quello della certezza, laddove il ‘dato documentale’ citato dal perito nel suo approdo valutativo era rappresentato dai certificati medici del C. , di cui si contestava la falsità e che in quanto tali non potevano costituire di per sé valido fondamento argomentativo; dall’esame anamnestico che non sembrava aver offerto spunti di rilievo; dal colloquio psichiatrico, che era apparso tutt’altro che decisivo, avendo evidenziato un soggetto ben orientato nel tempo e nello spazio, collaborativo, con eloquio fluente e tono dell’umore nella norma; dagli esiti del questionario MMPI-2, somministrato dall’ausiliario del perito, che erano riconducibili ad un qualsiasi dipendente pubblico (emergendo la figura di un soggetto ottimista, a proprio agio con se stesso, discretamente equilibrato e non angosciato dall’idea di un possibile cambiamento), sì da non poter costituire un solido fondamento della valutazione espressa dal perito in termini di certezza in ordine al disturbo depressivo. Ben più coerente si presentava invece, secondo il ricorrente, l’elaborato del consulente del p.m., il quale si era limitato ad evidenziare le patenti incongruenze riscontrate nel protocollo terapeutico apparentemente seguito dal C., cioè la mancanza di prescrizioni farmacologiche, di trattamenti coadiuvanti e di un diario clinico, oltre alla estemporaneità della guarigione, che tuttavia erano stati ignorati dal g.u.p. il quale aveva abbondantemente trasceso i limiti della sua cognizione, essendo chiamato a pronunciarsi non già sulla colpevolezza o sulla innocenza dei due imputati – atteso che la sede naturale di definizione del merito della res iudicanda è solo il dibattimento, ma sulla opportunità che un dibattimento si svolgesse.

Con memoria pervenuta il 23.3.12 alla cancelleria di questa sezione, A.V.  ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. Osserva la Corte che il ricorso non è fondato.

La regola di giudizio sottesa alla formulazione del comma 3 dell’art. 425 c.p.p. è quella per cui il giudice dell’udienza preliminare deve emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti o contraddittori ed è qualificata dall’ultima parte del suddetto comma, che impone un simile esito allorché detti elementi siano «comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio», cioè in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione (Cass., sez. IV, 31 gennaio 2008, n. 13163; Sez. IV, 6 ottobre 2009, n.43483), per cui solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto – e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato – può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere (Cass., sez. V, 15 maggio 2009, n. 22864).

In tale ambito, il controllo del giudice di legittimità sulla motivazione della sentenza di non luogo a procedere non può pertanto che essere riferito alla prognosi sull’eventuale accertamento di responsabilità alla stregua dei risultati provvisoriamente offerti dagli atti di indagine, nonché dalle prove irripetibili o assunte in sede di incidente probatorio (Cass., sez. V, 3 febbraio 2010, n. 10811), non essendo consentito un sindacato di merito nella valutazione d’insieme degli elementi acquisiti, ma solo un controllo della giustificazione adottata dal giudice nel valutarli (Cass., sez. V, 18 marzo 2010, n. 15364).

Orbene, nella specie nessun vizio di motivazione è rinvenibile nella sentenza impugnata, avendo il g.u.p. dato conto, con motivazione puntuale che si sottrae a censure rilevabili in questa sede, della insufficienza, contraddittorietà e comunque della inidoneità degli elementi di conoscenza e valutazione acquisiti, a sostenere l’accusa in giudizio, con riferimento alle imputazioni concernenti i fatti intervenuti nel periodo compreso tra il gennaio e l’aprile del 2008, allorché l’A. , in forza alla Polizia locale di (OMISSIS) , si assentava continuativamente dal lavoro per causa di malattia, attestata dal dr. C.  con la diagnosi certificata di sindrome da ‘depressione ansiosa reattiva’, che lo rendeva inabile alla professione svolta.

Nel pervenire ad un simile giudizio, il g.u.p. ha doverosamente evidenziato quelli che sono stati i risultati dell’elaborato del perito medico prof. Cr. , all’uopo nominato dallo stesso giudice, sottolineando il maggior pregio di tale elaborato – anche alla luce delle specificazioni rese in udienza -, frutto di più completa e dettagliata valutazione avendo il perito avuto l’opportunità di visitare l’A. e di sottoporlo a test psicologici di comprovata validità, rispetto alle conclusioni formulate dal consulente del p.m. sulla scorta del mero dato documentale e rese inoltre in chiave non di certezza, bensì di possibilità.

Il prof. Cr. aveva così confermato la più che probabile esistenza di una patologia comportamentale patita dall’A. nel periodo in contestazione e la concreta possibilità di regressione del disturbo, anche in tempi rapidi, una volta allontanato il fattore di stress, ritenendo di conseguenza – e per quanto possibile rilevare ora per allora – coerente il decorso della patologia attribuita all’A. , rimarcando – ha sottolineato al riguardo il g.u.p. – l’assenza agli atti di elementi comprovanti la guarigione come repentina ed improvvisa, frutto invece di progressivi miglioramenti medio tempore significativi, pur dovendosi registrare l’anomalia relativa all’improvviso rientro in servizio dell’A. in data 24.4.08, supportato da un certificato di avvenuta guarigione rilasciato dal Dott. C. , in sospetta concomitanza con un provvedimento di revoca temporanea di assegnazione dell’arma di servizio, emesso in danno dell’A., per motivi cautelari il 23.4.08.

Tuttavia – ha non certo illogicamente concluso il g.u.p. – non potendosi, in assenza di ulteriori elementi di conferma (ed avendo anzi le indagini, susseguenti alla segnalazione proveniente dal Comando di Polizia locale di (OMISSIS) , portato, tra l’altro, alla acquisizione della completa documentazione medica relativa all’A. ed all’escussione a s.i.t. dei medici che avevano sottoposto a visita fiscale l’imputato, i quali avevano sostanzialmente confermato la diagnosi iniziale del medico curante), ritenere che le condotte attribuite ai due imputati si ponessero oltre la rilevata ‘anomalia’, il corredo probatorio era del tutto insufficiente a sussumere, anche all’esito del vaglio dibattimentale, le rilevate condotte nell’alveo delle violazioni penali ipotizzate.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

 

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