Inammissibilità del ricorso sprovvisto di reclamo e relative problematiche costituzionali del nuovo strumento deflattivo (F.G. Postiglione)

 

INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO SPROVVISTO DI RECLAMO E RELATIVE PROBLEMATICHE COSTITUZIONALI DEL NUOVO STRUMENTO DEFLATTIVO

Fabrizia Gaia Postiglione

 

 

Dal 1 aprile 2012, l’ art. 17 bis del D. Lgs. n. 546/92 (inserito dall’art. 39, comma 9 del D.L. n. 98 del 6 luglio 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011) prevede l’obbligo del reclamo per le controversie in materia tributaria.

Gli atti soggetti alla predetta procedura sono quelli di cui all`articolo 19 del D. Lgs. 546/1992 (esclusi gli atti di recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili in esecuzione di una decisione della Commissione Europea) emessi dall`Agenzia delle Entrate per cui il valore della lite sia minore o uguale a € 20.000,00 notificati a partire dal 1° aprile 2012.

Questa fase amministrativa, pur precedendo la fase contenziosa vera e propria, rischia di trasformarsi in un vero e proprio giudizio il quale però presenterebbe alcuni profili di incostituzionalità.

Il nuovo istituto impone al contribuente, a pena di inammissibilità  di un eventuale ricorso futuro, di formulare o una proposta di mediazione ( con relativa rideterminazione della somma contestata) o di annullamento.

L’Agenzia delle Entrate ha fornito dei chiarimenti attraverso la Circolare 9/E del 16 marzo 2012 richiamando alcune sentenze della Corte Costituzionale (sentenze n. 93 del 26 luglio 1979 e n. 15 del 18 gennaio 1991)che ribadiscono le motivazioni che hanno spinto il legislatore a utilizzare questo nuovo strumento deflattivo.

Nel caso di specie si fa riferimento alle ipotesi secondo cui “la previsione normativa della possibilità, per l’Agenzia delle Entrate, di esaminare preventivamente le doglianze che il contribuente intende proporre innanzi al Giudice tributario risponde ad esigenze riconosciute come costituzionalmente rilevanti. In proposito si ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il legislatore può ritenere opportuno, nell’interesse dello stesso ricorrente, che la fase giudiziaria sia preceduta da un esame della potenziale controversia in sede amministrativa, oltre che allo scopo di realizzare la giustizia nell’ambito della pubblica Amministrazione, anche per evitare lunghe e dispendiose procedure giudiziarie, che potrebbero compromettere la funzionalità del servizio”.

A differenza degli altri istituti fino ad oggi utilizzati (conciliazione, autotutela e concordato), il reclamo dovrà essere presentato dinanzi a Funzionari diversi rispetto a quelli che hanno emesso l’atto impositivo e dovrà essere identico al ricorso che eventualmente si proporrà in una fase successiva.

La predetta sentenza della Corte Costituzionale richiama le “esigenze riconosciute come costituzionalmente rilevanti” ma queste potrebbero in realtà determinare nel caso di specie, al contrario, una evidente incostituzionalità del reclamo stesso a discapito del contribuente.

Analizzando infatti la grave sanzione disposta al comma 2 del Dlgs che lo istituisce (il quale nello specifico stabilisce che “ la presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso. L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio.”) emerge chiaramente la posizione di svantaggio del contribuente il quale è obbligato a esperire la procedura di reclamo definendo, di conseguenza, la strategia difensiva in una fase anteriore al contenzioso vero e proprio.

Si potrebbe quindi ravvisare una violazione delle norme costituzionali (Artt. 3, 24 e 113 Cost) che garantiscono l’uguaglianza dinanzi alla legge e la relativa tutela dei diritti.

È opportuno sottolineare che il reclamo si istaura in una fase in cui l’accertamento è ancora da valutare e, di conseguenza, la sanzione dell’inammissibilità appare non solo sproporzionata ma soprattutto non consona al grado di giudizio .

 

 

 

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