Il garage è più piccolo di quello comprato: cumulabile l’azione di riduzione con quella di risarcimento danni? Cassazione, sez. II, 17 maggio 2012, n. 7760

 

IL GARAGE È PIÙ PICCOLO DI QUELLO COMPRATO: CUMULABILE L’AZIONE DI RIDUZIONE CON QUELLA DI RISARCIMENTO DANNI?

Cassazione, sez. II, 17 maggio 2012, n. 7760

 

Non vi è dubbio che l’azione di risarcimento danni proposta, ai sensi dell’art. 1494 cod. civ., dall’acquirente non si identifica né con le azioni di garanzia di cui all’art. 1492 cod. civ., né con l’azione di esatto adempimento. Ed invero, mentre la garanzia per evizione opera anche in mancanza della colpa del venditore, onde eliminare, nel contratto, lo squilibrio tra le attribuzioni patrimoniali determinato dall’inadempimento del venditore, l’azione di risarcimento danni, che presuppone di per sé la colpa di quest’ultimo, consistente nell’omissione della diligenza necessaria a scongiurare l’eventuale presenza di vizi nella cosa, può estendersi a tutti i danni subiti dall’acquirente; non solo, quindi, a quelli relativi alle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa, o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene. Da ciò consegue, fra l’altro, che essa azione si rende ammissibile in alternativa, ovvero cumulativamente, con le azioni di adempimento in via specifica del contratto, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto medesimo.

 

 

Cassazione, sez. II, 17 maggio 2012, n. 7760

(Pres. Schettino – Rel. Scalisi)

 

Svolgimento del processo

N..M. , con atto di citazione del 1 dicembre 1989, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma la sig.ra S.M. , chiedendo che, dichiarata l’occupazione abusiva da parte di quest’ultima, di un posto auto e di una soffitta nel comprensorio condominiale pal. (omissis) , venisse ordinato alla stessa S. il rilascio dei predetti immobili, oltre al pagamento di un’indennità per l’occupazione e il risarcimento dei danni nella misura da provarsi nel corso del giudizio. A sostegno di questa domanda esponeva che la S. , invece del posto auto e della soffitta n. 11 da lui alla stessa compravenduti, occupava il posto n. 12 e la soffitta n. 12 dello stesso comprensorio.

La questione veniva decisa con sentenza parziale che stabiliva che la signora S. doveva occupare la sua effettiva area di parcheggio, la n. 11, quale si ricavava dal rogito notarile del 25 gennaio 1988, ma riconosceva anche ingresso alla domanda subordinata di riduzione del prezzo in quanto il posto auto effettivamente compravenduto risultava in effetti di più modesto valore.

La causa veniva rimessa in ruolo per l’espletamento della CTU estimativa.

Espletata la CTU, il Tribunale di Roma,con sentenza n. 3423 del 2004, accoglieva la domanda di riduzione del prezzo e condannava il M. a corrispondere la somma di Euro 15.000,00, oltre interessi di legge dalla domanda condannava la convenuta a corrispondere all’attore la somma di Euro 186,00 annua, quale compenso per l’occupazione e l’uso dell’area di sosta senza titolo, a decorrere dall’atto di citazione fino all’effettivo rilascio, condannava il M. a corrispondere dalla stessa data alla S. la somma di Euro 63,00 annua quale compenso per l’utilizzo di una soffitta più piccola di quella alla quale aveva diritto e ciò fino al rientro nel giusto possesso.

Avverso tale sentenza interponeva appello il M. , chiedendo la riforma della sentenza di primo grado, resisteva la S. , formulando anche appello incidentale in ordine al rigetto sulla domanda sul risarcimento del danno ex art. 1494 cod. civ..

La Corte di Appello di Roma con sentenza n. 4123 del 2009 accoglieva parzialmente l’appello principale e (riformando la sentenza di primo grado, dichiarava che sulla somma dovuta a titolo di riduzione di prezzo pari ad Euro 15.000,00 erano dovuti gli interessi dalla data di deposito della sentenza di primo grado. Confermava l’obbligo del M. di corrispondere alla S. la somma di Euro 63 annui per la soffitta e di Euro 186,00 per il posto auto a partire dalla data dell’immissione in possesso dell’immobile e sino alla domanda del rilascio, oltre gli interessi. Respingeva l’appello incidentale. A sostegno di questa decisione la Corte romana osservava che: a) ove il giudice rivaluti all’attualità la somma dovuta, non possono essere richiesti, sulla somma rivalutata, a decorrere dalla mora, gli interessi moratori essendo questi da considerarsi compresi in detta liquidazione, b) va respinto l’appello in ordine alle somme dovute per il garage e la soffitta di superficie minore utilizzata, essendosi formato il giudicato sulla sentenza parziale, considerato che non è stata proposta tempestiva riserva di appello, c) la domanda della S. rientra nell’ipotesi di garanzia per i vizi cc. dd. redibitori che consente all’acquirente di chiedere il risarcimento del danno sotto forma di una proporzionale riduzione del prezzo corrispondente al maggior valore che la cosa avrebbe avuto. Epperò l’appello della S. in ordine al rigetto della domanda di ulteriore risarcimento del danno ex art. 1494 cc. non poteva essere accolto, considerato che il danno subito era già coperto, oltre che dalla restituzione di parte del prezzo pagato, anche dalle somme liquidate nella sentenza parziale a titolo di differenza di valore.

La cassazione della sentenza n. 4123 del 2009 della Corte di Appello di Roma è stata chiesta da S.M. con atto di ricorso affidato a tre motivi, M.N. ha resistito con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale affidato ad un motivo.

Motivi della decisione

A. – Ricorso principale.

1. – Con il primo motivo, S.M. lamenta ex art. 360 n. 3 e 5 cpc, la violazione o erronea applicazione di norme di diritto in relazione agli art. 1492 e 1494 cod. civ. e omessa o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio. Avrebbe errato la Corte romana, secondo la ricorrente nell’aver respinto l’appello incidentale e per due ragioni diverse seppure connesse:

A) intanto la Corte romana avrebbe commesso un macroscopico errore di fatto (inversione di soggetti) che ha inficiato sul piano logico la motivazione della sentenza. Chiarisce la ricorrente che mentre nel dispositivo si legge (…….) conferma l’obbligo del M. di corrispondere alla S. la somma di Euro 63 annui per la soffitta e di Euro 186 per il posto auto a partire (……), nel corso della motivazione si afferma “Va, tuttavia, respinto l’appello

incidentale della S. in ordine al rigetto della domanda di ulteriore risarcimento del danno ex art. 1494 cod. civ. in quanto il danno subito dall’appellata è coperto, oltre che dalla restituzione di parte del prezzo pagato adeguato ai valori attuali, dalle somme liquidate nella sentenza parziale del 2001 a titolo di differenza di valore a partire dalla data dell’immissione in possesso dell’immobile e sino alla richiesta di rilascio (……). Eppure, nella sentenza di primo grado al n. 4 del dispositivo, è la S. ad essere condannata a corrispondere all’attore la somma di Euro 186 annui e non viceversa. Tale errore ritiene la ricorrente ha inficiato sul piano logico la motivazione e non sarebbe un semplice errore materiale ma una confusione sulle obbligazioni in capo ai soggetti interessati. L’errore, per altro, è riconducibile, secondo la ricorrente, all’affermazione della Corte territoriale secondo cui “Va, invece, respinto l’appello sul punto due, essendosi formato il giudicato sulla sentenza parziale n. 35506 del 2001 avverso la quale non è stata proposta tempestiva riserva di appello, che stabiliva che per il garage e la soffitta di superficie minore utilizzata andava accreditato alla convenuta S. un importo rispettivamente pari a L. 360.000 (pari ad Euro. 186,00) e a L. 122.000 annue (pari ad Euro 63) già attualizzate. Va quindi confermato l’obbligo del M. di corrispondere alla S. tali somme, oltre interessi a partire dalla data della immissione in possesso dell’immobile e sino alla domanda di rilascio”. Altro, invece, era stato statuito dal Tribunale in prima istanza.

B) Avrebbe errato la Corte romana, secondo la ricorrente, anche per aver escluso ogni istanza di risarcimento danni assimilando sotto un’unica nozione di danno la riduzione del prezzo prevista dall’art. 1492 cod. civ. al danno previsto dall’art. 1494 cod. civ.. A ben vedere, secondo la ricorrente, la Corte romana avrebbe riconosciuto implicitamente il diritto della S. al risarcimento del danno, in ciò correggendo sempre, implicitamente la sentenza di primo grado, ma ha confuso il concetto di danno di cui all’art. 1494 1 e 2 comma con la quantificazione della riduzione del prezzo ed, essendo, quest’ultima già dichiarata, ha misconosciuto gli altri danni oggetto dell’appello incidentale. Insomma, la Corte di Appello avrebbe tralasciato, secondo la ricorrente,di considerare i diversi profili di danno e, nell’ipotesi, il danno dovuto alla mancata o parziale utilizzazione della cosa o il lucro cessante per la mancata rivendita del bene, e così, omettendo un’adeguata motivazione in ordine al rigetto dell’appello incidentale.

1.1. – Il motivo è fondato e merita di essere accolto per le ragioni di cui si dirà.

1.1.a).) Intanto, non vi è dubbio – come, per altro, confermato dalla stesso resistente – che la Corte romana nel motivare la propria decisione abbia commesso un errore di fatto. A ben vedere la Corte di merito ha pronunziato una condanna del M. a corrispondere alla S. tanto la somma di Euro 63.00 annui per l’uso della soffitta, quanto la somma di Euro 186 annuo per l’uso del posto auto.

Epperò, la sentenza di primo grado (si trattava di una sentenza parziale passata in giudicato aveva condannato il M. a corrispondere alla S. la somma di Euro 63 e la S. a corrispondere al M. Euro 186,00.

Ma, a ben vedere, l’errore in cui è incorsa la Corte romana non integra gli estremi di un semplice errore materiale o di fatto, ma rende oscura, o, comunque, contraddittoria, anche altra parte della motivazione relativa al risarcimento danno chiesto dalla S. . La sentenza non chiarisce – e avrebbe dovuto essere chiara sul punto – se il danno subito dalla S. , e riconosciuto dal Tribunale prima e dalla stessa Corte romana dopo, era coperto, oltre che dalla restituzione di parte del prezzo pagato dalla sola somma di Euro 63 annui, che il M. avrebbe dovuto corrispondere alla, S. , anche dalla somma di Euro 186,00 che, secondo la Corte romana, sembra erroneamente, sempre il M. avrebbe dovuto corrispondere alla S. e non invece la S. al M. .

1.1.b). – La motivazione della sentenza impugnata in ordine al danno subito dalla S. , è, per certi aspetti, contraddittoria ma, comunque, poco chiara tale da ingenerare dubbi. A ben vedere la Corte romana afferma che non può essere accolta la domanda di ulteriore risarcimento del danno ex art. 1494 cod. civ. perché il danno subito dall’appellata è coperto dalla restituzione di parte del prezzo e dalle somme liquidate nella sentenza parziale. La Corte, però, non ha specificato – e lo avrebbe dovuto fare – se le somme indicate si riferivano sia alla riduzione del prezzo indicato nell’art. 1494 cod. civ. sia al risarcimento danni di cui all’art. 1494 cod. civ., o se, invece, infondata era la domanda di risarcimento danni ai sensi dell’art. 1494 cod. civ. e le somme di cui si dice erano destinate ad equilibrare il rapporto contrattuale in ragione dell’art. 1492 cod. civ..

1.1.c).= Non vi è dubbio – come già è stato detto da questa Corte in altra occasione – che l’azione di risarcimento danni proposta, ai sensi dell’art. 1494 cod. civ., dall’acquirente non si identifica né con le azioni di garanzia di cui all’art. 1492 cod. civ., né con l’azione di esatto adempimento. Ed invero, mentre la garanzia per evizione opera anche in mancanza della colpa del venditore, onde eliminare, nel contratto, lo squilibrio tra le attribuzioni patrimoniali determinato dall’inadempimento del venditore, l’azione di risarcimento danni, che presuppone di per sé la colpa di quest’ultimo, consistente nell’omissione della diligenza necessaria a scongiurare l’eventuale presenza di vizi nella cosa, può estendersi a tutti i danni subiti dall’acquirente; non solo, quindi, a quelli relativi alle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi accertati, ma anche a quelli inerenti alla mancata o parziale utilizzazione della cosa, o al lucro cessante per la mancata rivendita del bene. Da ciò consegue, fra l’altro, che essa azione si rende ammissibile in alternativa, ovvero cumulativamente, con le azioni di adempimento in via specifica del contratto, di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto medesimo.

2. – Con il secondo motivo la ricorrente lamenta ex art. 360 n. 3 cpc. La violazione e/o erronea applicazione di legge. Avrebbe, ancora, errato la Corte romana, secondo la ricorrente, nell’aver ritenuto che non possono essere richiesti sulla somma rivalutata, a decorrere dalla mora, gli interessi moratori, essendo questi da considerarsi compresi in detta liquidazione, perché il Tribunale aveva disposto la riduzione dei prezzo secondo equità e, pertanto, il richiamo all’art. 1226 cod. civ. consentiva al giudicante di determinare la riduzione del prezzo, anche mantenendo separati la rivalutazione monetaria dagli interessi che secondo l’art. 1224 cc. sono dovuti dalla messa in mora, insomma, la Corte di appello di Roma non avrebbe tenuto conto che il principio della giurisprudenza da essa richiamato non avrebbe dovuto essere applicato ai giudizi pronunciati secondo equità, in quanto il giudizio equitativo per sua natura si svolge ed inquadra un assetto patrimoniale generale secondo criteri complessivi individuati dal Giudice di merito.

2.1. – Il motivo non è fondato e non può essere accolto perche la Corte romana ha correttamente chiarito che l’azione di cui all’art. 1492 cod. civ., avendo la finalità di assicurare l’equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore (……..), configura un debito di valuta avendo ab origine una somma di denaro, con la conseguenza che, ove il giudice rivaluti all’attualità la somma dovuta, non possono essere richiesti sulla somma rivalutata a decorrere dalla mora gli interessi moratori. La Corte romana,pertanto, ha adeguatamente, nonostante la sinteticità delle affermazioni, chiarito che la somma stabilita per il risarcimento del danno (la somma dovuta) era stata rivalutata. La considerazione, poi che la determinazione del danno sia stata effettuata ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1226 cc. non esclude che la rivalutazione abbia una sua precisa identità, rilevanza,e, soprattutto, autonomia. La rivalutazione che è stata effettuata atteneva ad una somma determinata, indicativa del danno risarcibile. Tale somma veniva dunque rivalutata avuto riguardo al tempo della liquidazione. Insomma, il richiamo all’art. 1226 cod. civ. consente al Giudice di determinare il danno in via equitativa ma non consente allo stesso di non applicare i principi che governano il riconoscimento degli interessi moratori e la rivalutazione di un debito di valuta. Ove così non fosse, la svalutazione monetaria rappresenterebbe una sorta di ulteriore titolo autonomo di danni da risarcire unitamente agli interessi moratori che di per sé sono diretti a colmare un’intervenuta svalutazione monetaria intercorsa tra il tempo in cui l’adempimento avrebbe dovuto essere effettuato e quello in cui è stato realmente effettuato.

3.- Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta ex art. 360 n. 3 cpc. la violazione del principio di soccombenza. Avrebbe errato la Corte romana, secondo la ricorrente, anche per non aver preso in considerazione il punto dell’appello incidentale relativo alla compensazione delle spese di lite del primo grado comprese quelle del CTU.

3.1. – Il motivo è inammissibile per mancanza di chiarezza perché, la ricorrente, mentre denunzia una violazione di legge (ex art. 360 n. 3) nell’illustrare tale motivo lamenta un’omissione di motivazione.

Inammissibile anche perché – come emerge dalla lettura integrale del ricorso non appare che il regolamento delle spese giudiziali espresso dal Tribunale abbia formato oggetto di una specifica censura in appello considerato che, a tal fine, non è sufficiente la semplice richiesta di una condanna dell’altra parte alle spese del doppio grado di giudizio.

B. – Ricorso incidentale.

1. – Con l’unico motivo affidato al ricorso incidentale, M.N. lamenta omessa o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 cpc. In effetti, sostiene il ricorrente, la Corte territoriale nel motivare la propria decisione è incorsa in quello che potrebbe essere reputato un mero errore materiale. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, un corretto ed integrale esame della sentenza evidenzia chiaramente che si è trattato di un mero errore se non proprio di un rifuso. La Corte romana aveva ben chiara conoscenza tanto della questione sottoposta al suo vaglio, quanto della diversità delle obbligazioni poste a carico delle due parti che in ordine alle indennità da corrispondersi reciprocamente.

1.1. – Considerato che tale motivo integra gli estremi di una critica a quanto sostenuto dal ricorrente con il ricorso principale e in merito alla stessa questione, tale motivo rimane assorbito dal ricorso principale.

In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso principale, e rigettati il secondo e il terzo, dichiarato assorbito il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata e il processo rinviato ad altra sezione della Corte di appello di Roma che provvederà anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, rigetta il secondo e il terzo motivo, dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia il processo ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, la quale provvederà al regolamento delle spese anche per il presente giudizio di cassazione.

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here