Se il coniuge è anaffettivo e poco incline agli affetti il matrimonio è annullabile Cassazione, sez. I, 31 maggio 2012, n. 8772 (F.G.Postiglione)

 

SE IL CONIUGE È ANAFFETTIVO E POCO INCLINE AGLI AFFETTI IL MATRIMONIO È ANNULLABILE

Cassazione, sez. I, 31 maggio 2012, n. 8772

Fabrizia Gaia Postiglione

 

 

Con sentenza n. 8772 del 31 maggio 2012 la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito l’annullamento del vincolo matrimoniale poichè il marito manifestava una grave anaffettività ed era poco incline agli affetti.

L’uomo, noto professionista, aveva richiesto la cessazione del vincolo dinanzi al Tribunale Ecclesiastico poichè, essendo consapevole del suo problema psicologico, soffriva della totale incapacità di provare sentimenti nei confronti della moglie.

La donna però si opponeva alla  decisione della Corte d’Appello e presentava ricorso in Cassazione ma, in questa sede, veniva ribadito l’orientamento dei Giudici di merito e rotali.

Come si evince dalla motivazione, gli Ermellini hanno infatti stabilito che ” il Giudice a quo, diversamente da quanto afferma la ricorrente, fornisce una motivazione adeguata e non illogica sulla incapacità psichica dell’uomo, come emergente dalla sentenza ecclesiastica: un disturbo della personalità caratterizzato tra l’altro da rigidezza, intolleranza, difficoltà di espressione degli affetti, a nulla rilevando l’elevato livello culturale e l’attività professionale del soggetto; il disturbo predetto, si presta infatti ad incidere negativamente sulla sfera volitiva e sui processi psico affettivi, rendendolo inidoneo a realizzare un rapporto di comunione e condivisione con il coniuge”.

In virtù di quanto sopra esposto, i Giudici di Piazza Cavour hanno ravvisato una incapacità del marito nel proseguire il vincolo matrimoniale e, di conseguenza, la richiesta di annullamento è fondata poichè  si equipara  “la incapacitas psichica assumendi onera matrimonii alla incapacità di intendere e di volere di cui all’art. 120 c.c., in contrasto con l’ordine pubblico italiano e determinando una violazione dell’art. 797 n. 7 c.p.c. (nella formulazione soppressa, ma ancora operante, in relazione alla delibazione di sentenze ecclesiastiche).”

 

 

Cassazione, sez. I, 31 maggio 2012, n. 8772

(Pres. Plenteda – Rel. Dogliotti)

 

 

Svolgimento del processo

Con citazione, notificata il 22 luglio 2009, C.S. conveniva C.E. davanti alla Corte di Appello di

Roma, per sentir dichiarare l’efficacia nel nostro ordinamento di sentenza del Tribunale

Ecclesiastico del Lazio, dichiarativa della nullità del matrimonio contratto tra le parti.

Costituitosi il contraddittorio, la C. chiedeva rigettarsi la domanda e proponeva riconvenzionale per la corresponsione di assegno a suo favore e per il figlio minore.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza 14/10 – 10/11/2010, dichiarava efficace la sentenza ecclesiastica nonché l’inammissibilità della riconvenzionale.

Ricorre per Cassazione la C. Resiste, con controricorso il C.

La ricorrente ha depositato memoria per l’udienza.

Motivi della decisione

Va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per contrasto con l’art. 360 bis c.p.c.: pur

contrastando, come si vedrà, alcuni dei motivi proposti con orientamenti consolidati di questa Corte, la ricorrente ne sollecita una diversa considerazione.

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, per essere stata equiparata la incapacitas psichica assumendi onera matrimonii alla incapacità di intendere e di volere di cui all’art. 120 c.c., in contrasto con l’ordine pubblico italiano e determinando una violazione dell’art. 797 n. 7 c.p.c. (nella formulazione soppressa, ma ancora operante, in relazione alla delibazione di sentenze ecclesiastiche).

Va precisato che, per giurisprudenza costante, la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale per incapacità di un coniuge di assumere gli oneri derivanti dal matrimonio per cause di natura psichica, non si pone in contrasto con l’ordine pubblico italiano (tra le altre, Cass. N. 10796 del 2006).

Il Giudice a quo, diversamente da quanto afferma la ricorrente, fornisce una motivazione adeguata e non illogica sulla incapacità psichica del C., come emergente dalla sentenza ecclesiastica: un disturbo della personalità caratterizzato tra l’altro rigidezza, intolleranza, difficoltà di espressione degli affetti, a nulla rilevando l’elevato livello culturale e l’attività professionale del soggetto. Il disturbo predetto – continua il giudice a quo – incideva negativamente sulla sfera volitiva e sui processi psico affettivi, rendendolo inidoneo a realizzare un rapporto di comunione e condivisione con il coniuge.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione della legge n. 218 del 1995 art. 64 lett. G), in quanto contraria all’ordine pubblico con riferimento ai principi di affidamento e buona fede.

Giurisprudenza costante precisa che non può venire in considerazione la tutela della buona fede e dell’affidamento, essendo le situazioni di vizio psichico, assunte dal giudice ecclesiastico, analoghe alle ipotesi di incapacità naturale contemplata dall’art. 120 c.c.; nell’ambito del sistema italiano di invalidità matrimoniale, non si dà rilevanza alcuna (differentemente dalla materia contrattuale) alla buona o mala fede dello sposo, essendo preminente, in tal caso, l’esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da incapacità (tra le altre, Cass. N. 16051 del 2009).

La ricorrente propone per la prima volta censura sul notevole tempo trascorso dalla celebrazione del matrimonio: trattandosi palesemente di questione nuova non può essere esaminata in questa sede.

Con il terzo motivo la ricorrente propone violazione di legge, con riferimento ai termini a comparire ex art. 166 c.p.c.

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Il giudice a quo fornisce una duplice motivazione: tardività della domanda e insussistenza di

pericolo di pregiudizio che giustificherebbe i provvedimenti provvisori richiesti. La censura

riguarda esclusivamente la “tardività” ma non affronta l’insussistenza del pregiudizio.

Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 1.500,00 per onorari ed € 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here