I tagli alle auto di servizio tra esigenza di contenimento della spesa e tutela dell’autonomia di regioni ed enti locali (D. Immordino)

 

I TAGLI ALLE AUTO DI SERVIZIO TRA ESIGENZA DI CONTENIMENTO DELLA SPESA E TUTELA DELL’AUTONOMIA DI REGIONI ED ENTI LOCALI

L’obiettivo è condivisibile ma la legge statale non può imporre vincoli puntuali a specifiche voci di spesa di regioni ed enti locali

Corte costituzionale, 6 giugno 2012, n. 144

Dario Immordino

 

 

Le norme sul taglio dei costi delle autovetture di servizio sono rivolte esclusivamente allo Stato e agli enti nazionali e non “obbligano”  le regioni e gli enti territoriali.

La sentenza n. 144/2012 della Corte costituzionale interviene sulla complessa e delicata tematica del bilanciamento tra autonomia finanziaria di regioni ed enti locali, da un lato, e, dall’altro, esigenze di contenimento e  razionalizzazione della spesa di tutti gli enti istituzionali.

La vicenda questa volta riguarda la disciplina attraverso la quale la legge impone rigidi vincoli alle spese concernenti le cd autoblu.

In particolare l’articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111,  prevede che «La cilindrata delle auto di servizio non può superare i 1600 cc.» (comma 1); che «le auto ad oggi in servizio possono essere utilizzate solo fino alla loro dismissione o rottamazione e non possono essere sostituite» (comma 3); che «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, sono disposti modalità e limiti di utilizzo delle autovetture di servizio al fine di ridurne numero e costo» (comma 4).

La disciplina viene impugnata dalla Regione Liguria per violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo, quarto e sesto comma, e 118 della Costituzione.

Il responso della Corte è chiaro ed in linea con la consolidata giurisprudenza in materia: il legislatore statale può legittimamente prescrivere agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorché si traducano in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti stessi), ma solo con disciplina di principio e modalità di coordinamento finanziario. Di conseguenza  norme dettagliate, come quelle che prescrivono un limite di cilindrata delle auto di servizio e regole di dismissione e rottamazione delle auto preesistenti all’emanazione della norma,  non possono essere imposte ad enti dotati di autonomia costituzionale.

E non importa se si tratta di norme dirette a conformare l’attività amministrativa ai principi di buona amministrazione ed efficienza – indefettibili anche per gli enti territoriali – mediante il contenimento di voci di spesa suscettibili di ridimensionamento qualitativo e quantitativo alla luce del momento di particolare congiuntura economica. Perché il principio del contenimento della spesa pubblica va contemperato con quello autonomistico, e di conseguenza lo Stato deve conseguire gli obiettivi di contenimento e razionalizzazione della spesa adoperando gli strumenti consentiti in un ordinamento cd multilevel.

In altri termini se l’obiettivo è condivisibile gli strumenti adottati per il suo conseguimento non sono legittimi.

In diverse pronunce, infatti, la Corte aveva già ribadito che il perseguimento “degli obiettivi complessivi di finanza pubblica, connessi anche ai vincoli europei” legittima  l’esercizio da parte dello stato di penetranti poteri di indirizzo, di conformazione, di monitoraggio, controllo e vigilanza dei sistemi finanziari regionali e locali, e anche di poteri sanzionatori. Ma la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa», e  non deve  incidere sulle scelte autonome di regioni ed enti locali. Su queste basi sono state dichiarate illegittime le disposizioni statali che stabilivano vincoli puntuali a specifiche voci di spesa quali quelle per viaggi aerei o acquisti di beni e servizi,  oppure individuavano gli specifici strumenti attraverso i quali le regioni e gli enti locali erano chiamate a conseguire i risparmi prescritti (ad esempio attraverso l’uso della posta elettronica in luogo della corrispondenza cartacea).

Di conseguenza, per evitare che gli eccessi di spesa o di indebitamento di qualche ente possano pregiudicare l’equilibrio della finanza pubblica il legislatore statale, nell’esercizio del potere di coordinamento, può imporre vincoli alle politiche di bilancio di regioni ed enti locali, ma  deve esercitare i suoi poteri “in modo consono all’esistenza di sfere di autonomia costituzionalmente garantite”, lasciando a regioni ed enti locali la possibilità di individuare le misure necessarie a conseguire i risparmi di spesa. In altri termini la legge statale può imporre alle autonomie territoriali quanto risparmiare, ma non come farlo. A meno che non si tratti di porre un freno a macrovoci di spesa, di consistenza “non trascurabile”, che costituiscono frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico, come ad esempio la spesa  per il personale e quella per consumi intermedi.

Così lo stato, ad esempio, può imporre vincoli alla spesa corrente (cioè ai costi di funzionamento) o a quella per il personale, ma non può stabilire limiti puntuali a specifiche voci di spesa come quelle per viaggi aerei, per assunzioni a tempo indeterminato, per studi e incarichi di consulenza, missioni all’estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni; può imporre un tetto alla spesa per consumi intermedi (cioè il valore complessivo di beni e servizi), ma non può stabilire il prezzo dei singoli acquisti di beni e servizi di regioni o enti locali, oppure imporre la riduzione della cilindrata media delle autovetture di servizio, o l’uso della posta elettronica in luogo della corrispondenza cartacea e dei servizi VoIP in luogo delle ordinarie comunicazioni telefoniche (sent. 417/2005 e 297/2009).

Su queste basi la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. , ma di fatto accoglie le istanze sottese al ricorso della Regione Liguria che aveva impugnato le norme. La questione è infondata perché le norme non si applicano a regioni ed enti locali, e quindi non violano la loro autonomia finanziaria.

 

 

Corte costituzionale, 6 giugno 2012, n. 144

 

OMISSIS

Considerato in diritto

1. — Con ricorso notificato il 14 settembre 2011 e depositato il 21 settembre 2011, la Regione Liguria ha impugnato in via principale varie disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, fra le quali l’articolo 2, commi 1, 3 e 4, oggetto del presente giudizio.

In particolare, l’articolo in considerazione prevede che «La cilindrata delle auto di servizio non può superare i 1600 cc.» (comma 1); che «le auto ad oggi in servizio possono essere utilizzate solo fino alla loro dismissione o rottamazione e non possono essere sostituite» (comma 3); che «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, sono disposti modalità e limiti di utilizzo delle autovetture di servizio al fine di ridurne numero e costo» (comma 4).

Secondo la ricorrente, il contesto nel quale è inserito l’art. 2, commi 1, 3 e 4, del decreto-legge n. 98 del 2011 e la mancanza di una disposizione che ne precisi l’ambito di applicazione – e conseguentemente limiti l’efficacia vincolante a carico della Regione – potrebbero far ritenere che l’articolo citato valga esclusivamente per lo Stato e per gli enti nazionali. La Regione deduce tuttavia l’incertezza di una tale interpretazione costituzionalmente orientata, poiché le eccezioni all’ambito di applicazione delle disposizioni in esame non comprendono, all’art. 2, comma 2, le Regioni e gli enti locali. Viene in proposito ricordato il principio ermeneutico secondo cui l’interpretazione dell’eccezione ad una regola generale deve essere restrittiva.

Se intesi come riferiti alla Regione e agli enti da essa dipendenti, i commi richiamati sarebbero costituzionalmente illegittimi sotto diversi profili.

Detta opzione ermeneutica determinerebbe in primo luogo il contrasto delle norme impugnate con l’art. 117, quarto comma, della Costituzione per invasione della materia residuale dell’organizzazione regionale.

Ulteriori censure vengono formulate in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto le norme impugnate non avrebbero carattere di principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, materia di competenza legislativa concorrente. Essi porrebbero limiti puntuali ad una singola e minuta voce di spesa, senza lasciare alla Regione alcuno spazio normativo di adeguamento.

Viene altresì evocato il contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e con l’art. 97 Cost. sotto il profilo del buon andamento, sia in relazione alla dubbia economicità che all’assenza di funzionalità del limite con riguardo a taluni servizi pubblici delle Regioni e degli enti locali, che possono richiedere mezzi di potenza superiore.

Se applicabili alle Regioni, le norme contrasterebbero anche con l’art. 118 Cost., violando la loro potestà amministrativa.

L’art. 2, comma 4, infine, sarebbe in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., poiché affiderebbe ad un atto statale di natura regolamentare la disciplina afferente a materia di competenza concorrente delle Regioni.

In subordine, viene invocato anche il principio di leale collaborazione per il mancato coinvolgimento delle Regioni nella disciplina della materia.

1.2. — L’Avvocatura dello Stato ha dapprima sostenuto l’infondatezza del ricorso poiché il contesto e la collocazione dei tre commi impugnati escluderebbero la loro applicazione alle Regioni e agli enti locali.

Tale assunto interpretativo trovava conferma – secondo l’Avvocatura – nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 agosto 2011 (Utilizzo delle autovetture di servizio e di rappresentanza da parte delle pubbliche amministrazioni), emanato ai sensi dell’impugnato comma 4.

L’art. 1, comma 2, del citato d.P.C.m. statuiva infatti che «Le disposizioni del presente decreto si applicano alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le Autorità indipendenti, ed esclusi gli Organi costituzionali e, salvo quanto previsto dall’articolo 5», (meri obblighi informativi), «le Regioni e gli enti locali».

1.3. — È successivamente intervenuta l’ordinanza del 10 novembre 2011 del Tribunale amministrativo regionale (TAR) per il Lazio, il quale – a seguito di un ricorso sollevato dalle associazioni dei consumatori – ha emesso un provvedimento cautelare, intimando al Presidente del Consiglio di provvedere al riesame della questione dell’applicabilità alle Regioni ed agli enti locali del d.P.C.m. 3 agosto 2011.

In esecuzione dell’ordinanza, e specificando la finalità di autotutela della modifica, il Presidente del Consiglio ha adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2012. Quest’ultimo ha corretto il precedente decreto, includendo nel suo ambito di applicazione anche le Regioni e gli enti locali.

1.4. — La novella regolamentare ha indotto l’Avvocatura dello Stato ad una rivalutazione delle questioni sollevate, eccependo l’infondatezza del ricorso con motivazioni basate su un’interpretazione opposta a quella sostenuta precedentemente.

Il limite all’acquisto di autovetture di cilindrata superiore a 1600 cc. dovrebbe intendersi, secondo l’Avvocatura dello Stato, come riaffermazione del principio di buona amministrazione nell’ottica del contenimento della spesa pubblica.

L’intervento sarebbe diretto, secondo la difesa dello Stato, a conformare l’attività amministrativa ai principi di buona amministrazione ed efficienza – indefettibili anche per gli enti territoriali – mediante il contenimento di voci di spesa suscettibili di ridimensionamento qualitativo e quantitativo alla luce del momento di particolare congiuntura economica.

Il limite massimo di 1600 cc. sarebbe ragionevole, perché sufficiente per consentire l’acquisto di autovetture funzionali ai diversi compiti pubblici. Il limite suddetto integrerebbe, del resto, un principio di coordinamento della finanza pubblica nel quadro dell’azione di risanamento spettante allo Stato ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Parimenti, a giudizio dell’Avvocatura, non sarebbe lesivo delle competenze regionali in materia di organizzazione amministrativa il generale dovere di adeguamento perché il regolamento, nel determinare le modalità di utilizzo delle vetture da parte del personale, atterrebbe anche alla disciplina del pubblico impiego, riconducibile alla materia dell’ordinamento civile di competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

2. — Riservate a separate pronunce le decisioni sull’impugnazione delle altre norme contenute nel decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, vengono in esame in questa sede le questioni di costituzionalità relative all’art. 2, commi 1, 3 e 4.

Esse non sono fondate.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis sentenze n. 417 del 2005, n. 36 del 2004 e n. 376 del 2003), il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorché si traducano in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti stessi), ma solo con disciplina di principio e modalità di coordinamento finanziario. Dalla collocazione delle disposizioni e dal significato lessicale dei termini utilizzati nei commi impugnati si ricava in modo univoco che i relativi precetti sono rivolti esclusivamente allo Stato e agli enti nazionali.

Non presentando alcun riferimento alle autonomie territoriali, le norme impugnate intervengono su una singola voce di spesa con un precetto rigido e puntuale, inibitore di qualsiasi margine di discrezionalità per i destinatari. L’art. 2, comma 1, stabilisce un limite di cilindrata delle auto di servizio, integrato dal successivo comma 2 con alcune deroghe calibrate su organi e soggetti, non aventi alcuna attinenza con le autonomie territoriali. Il comma 3 stabilisce altresì regole di dismissione e rottamazione delle auto preesistenti all’emanazione della norma, senza alcun riferimento alle autonomie stesse. L’ambito applicativo dell’art. 2, commi 1 e 3, del decreto-legge n. 98 del 2011 non può dunque essere esteso all’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni, come delineato nell’art. 117 Cost., poiché dette norme non rivestono natura di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

Conseguentemente, una esegesi letterale e sistematica dell’art. 2, comma 4, non consente di ricavarne l’attribuzione al Presidente del Consiglio di un potere regolamentare nei confronti delle autonomie territoriali, perché non sussiste, nel caso in esame, una potestà legislativa esclusiva dello Stato, presupposto indefettibile per l’esercizio di detto potere (art. 117, sesto comma, Cost.).

È bene ricordare in proposito il costante orientamento di questa Corte, secondo cui solo la sussistenza di un ambito materiale di competenza esclusiva consente allo Stato l’emanazione di atti regolamentari precettivi anche nei confronti delle autonomie territoriali (sentenza n. 200 del 2009).

La corretta lettura della norma nei termini esposti aveva ispirato le modalità di redazione dell’originario regolamento attuativo del comma 4, poi disattese dal d.P.C.m. del 12 gennaio 2012, il quale non è tuttavia in grado di orientare la qualificazione e la interpretazione delle norme impugnate, nonché la loro cogenza nei confronti delle Regioni e degli enti locali, in modo non conforme al dettato dell’art. 117 Cost.

Le norme impugnate non hanno dunque alcun effetto precettivo nei confronti delle Regioni e degli enti locali e, per questo motivo, il ricorso della Regione Liguria deve essere respinto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservate a separate pronunce le altre questioni di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata nei sensi di cui in motivazione la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione Liguria nei confronti dell’articolo 2, commi 1, 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, in riferimento agli articoli 3, 97, 117, terzo, quarto e sesto comma, e 118 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2012.

 

 

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