Pari Opportunità (L.Spampinato)

 

PARI OPPORTUNITÀ

Lucia Spampinato

 

 

L’oggetto della relazione assegnatami presenta notevoli aspetti di problematicità.

Ancora oggi, in molti campi del lavoro, e la professione forense non ne è purtroppo esclusa, dobbiamo constatare che le regole del gioco si fondano ancora su paradigmi prevalentemente maschili, nonostante quasi tutte le categorie professionali stiano sempre più incrementando il numero delle donne al loro interno (si pensi alle Forze Armate, tradizionale baluardo della professionalità maschile).

Come si spezzano gli stereotipi che in taluni casi confinano le donne ai margini della professione?

Le differenze “di genere” hanno da sempre caratterizzato il ruolo della donna nel mondo del lavoro, e in particolar modo ciò è accaduto nei confronti della donna avvocato: la nostra figura professionale, al femminile, alle origini è stata osteggiata, perché tradizionalmente si riteneva fosse prerogativa esclusiva degli uomini.

Oggi, però, la professione si tinge sempre più di rosa: le donne avvocato sono 105.683 (il 46%) su un totale di 229.745 di iscritti agli albi, mentre le praticanti hanno raggiunto una percentuale del 59 % 

La raggiunta parità numerica, tuttavia, non corrisponde ad una parità “sostanziale”.

Bisogna affermare, infatti, che non tutti i tentativi di combattere gli stereotipi si sono rivelati efficaci, ed ancor oggi, seppur viene riconosciuta e mai negata, la parità di preparazione e di impegno delle donne avvocato,non sussiste una effettiva parità di condizioni rispetto ai colleghi uomini nello svolgimento della professione.

Le donne, invero, possono contare su un reddito che è circa la metà di quello prodotto dai loro colleghi (secondo i dati del 2011 il reddito medio prodotto dalle donne avvocato è stato poco superiore a 28 mila euro, contro i quasi 70 mila degli uomini); sono ritenute idonee per lo più per le controversie inerenti alle persone (e quindi considerate di minor valore), che per quelle relative agli affari (chiaramente di più alto profilo e con prospettive di guadagno più elevate) .

Questi aspetti sono esito delle ricerche effettuate dagli stessi ordini professionali e dal Cnf, e gli ultimi dati, provengono da una ricerca del Censis, compiuta in collaborazione con l’Aiga e la Commissione Pari Opportunità del CNF, basata sulla raccolta di circa 400 questionari in varie parti di Italia.

Qual è la fotografia dell’attuale inserimento delle donne nella professione forense?

La maggior parte delle donne intervistate (il 78,6 %) non ha più di 44 anni (il 27,4%  ha dai 27 ai 34 anni – il 31,3%  ha dai 35 ai 39 anni, il 22,9% dai 40 ai 44 anni) , quindi le donne avvocato sono in prevalenza giovani.

Si tratta per la maggior parte di donne sposate o conviventi (il 67,3 %) e una buona parte di donne nubili (il 27,7%).

Quasi la metà delle donne intervistate non ha figli (il 47,2%), il 26,4% ne ha uno solo, il 22% ne ha 2, e solo il 4,2 % oltre 2 figli, e l’età media in cui è arrivato il primo figlio si concentra nella fascia tra i 30 e i 34 anni.

Molte delle intervistate dichiarano di avere scelto la professione di avvocato per “passione” (il 49,6%), e non per una scelta di opportunità, per più della metà di esse (il 59,7 %) si trattava del desiderio di sempre, e per altre (il 25,3 %) la scelta di una professione con spiccati caratteri di autonomia.

Sotto il profilo delle materie per cui vengono ricercate le donne avvocato al primo posto la materia della famiglia e dei minori (68,5 %), e poi a seguire la proprietà e la locazione, i condomini, l’infortunistica, i contratti, o le esecuzioni, mentre un numero esiguo si occupa di materia societaria o bancaria, ovvero di procedimenti in cui è parte la Pubblica Amministrazione.

Per quanto attiene ai profili reddituali, il reddito delle professioniste è inferiore rispetto a quello dei colleghi uomini – a parità di lavoro – e la capacità di guadagno è nettamente differente: come accennato, nel 2011 le donne avvocato potevano vantare un reddito medio di poco superiore a € 28.000,00 euro, contro i quasi € 70.000,00 dei colleghi uomini.

Ulteriore difficoltà per le donne è la possibilità di diventare titolari di studio, per come emerge dalle ridotte realtà nel panorama complessivo di studi legali “a conduzione femminile”, nonché nelle ridotte possibilità di accedere a ruoli funzionali, come consulenti dei giudici (a titolo esemplificativo, in materia di esecuzioni immobiliari, il numero di professioniste delegate per le vendite è di  percentuale risibile nel panorama siciliano).

Al di là dei dati statistici, il quadro che emerge ritrae giovani donne,che non superano i 44 anni di età, per lo più sposate o nubili, con un solo figlio, o senza, che hanno scelto la professione forense per passione, che lavorano quanto i colleghi uomini della stessa età, ma ricavano redditi molto inferiori, e che raramente conseguono la titolarità in proprio di uno studio legale(per difficoltà organizzative, logistiche, che costituiscono un indubbio disincentivo).

La capacità reddituale delle donne avvocato è inferiore di circa 1/3 rispetto a quella dei colleghi uomini, circostanza questa che ha notevoli influssi sia sul piano fiscale, come pure su quello previdenziale, per cui sono auspicabili interventi mirati a sostegno del reddito.

Occorrerebbero, infatti, delle politiche fiscali eque, che riconoscano le diverse articolazioni del percorso professionale femminile (durante una gravidanza a rischio, o nei primi anni di età dei figli, o all’inizio dell’attività professionale), e che, anche con riferimento agli studi di settore, prevedano quindi un regime di accertamento fiscale appropriato.

E ciò, a parità di condizioni, può valere anche per un collega uomo, che presenti problemi analoghi durante una malattia, o nell’assolvimento dei suoi obblighi paterni (congedi parentali).

La condizione di ruolo troppo spesso marginale rivestito dalla donna avvocato esige un cambiamento della cultura professionale e sociale.

Oggi non ci si può dimenticare che le donne avvocato costituiscono circa il 50% degli iscritti agli Albi, e la gran parte di esse sono giovani; con percentuali che superano la soglia del 59% con riguardo alle praticanti donne: esse possono dirsi rappresentate e tutelate?

Quali risposte può dare la categoria, allorchè la Governance dell’Avvocatura, con tutti i suoi profili di criticità, è mantenuta ancora saldamente in mano ai colleghi di sesso maschile, che hanno un’età nettamente superiore ai 45 anni?

Da qui nasce l’esigenza di parlare di Pari opportunità, o meglio di Rappresentanza di genere, con un percorso che arriva da lontano.

La “rappresentanza di genere”, costituisce l’evoluzione del principio delle pari opportunità, espressione quest’ultima più comunemente conosciuta, che inizia a far parte del linguaggio comune solo recentemente. Eppure essa affonda le radici sin dall’origine del nostro ordinamento costituzionale del 1948, anche se rimasta – di fatto – inattuata.

Il principio delle pari opportunità trova, infatti, già implicito riconoscimento nell’art. 3 della Costituzione, che com’è noto sancisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Riconosciuto all’art.3 il principio di uguaglianza formale di cui al 1°comma e di uguaglianza sostanziale di cui al 2° comma, il nostro ordinamento avrebbe dovuto adoperarsi per “la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.

Nella stessa ottica vanno letti gli art. 31 e 37, nonchè il successivo art. 51, che stabilisce la parità di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di parità.

Con la legge cost. 30 Maggio 2003 n. 1 è stato aggiunto un ulteriore periodo al 1° comma dell’art. 51 per cui la Repubblica al fine di garantire la parità di accesso promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.

Il percorso di sensibilizzazione delle istituzioni è stato lento, ma crescente, affiancato da politiche legislative volte non solo alla tutela, ma anche alla positiva promozione dei diritti delle donne nei diversi settori lavorativi, a fronte di forme, ancora presenti, di discriminazione espresse sia in modo manifesto, sia in modo indiretto (quest’ultima la più frequente ed anche la forma di discriminazione particolarmente insidiosa).

Tra le disposizioni legislative di recente emanazione in materia vi è il Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna (decreto legislativo 198/2006) che ha racchiuso in sé tutte le disposizioni aventi ad oggetto le misure volte a “eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione fondata sul sesso, da cui derivino ostacoli al riconoscimento, godimento o esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali nei diversi campi in cui può realizzarsi la persona”.

Quanto racchiuso nel Codice anzidetto, e segnatamente gli obiettivi sanciti dall’art. 1, devono chiaramente trovare attuazione anche nell’ambito della nostra professione, con riferimento alla possibilità per le donne di accedervi e di esercitarla in condizioni di pari opportunità rispetto ai colleghi uomini.

Ed ancora, il decreto legislativo n. 150/2009 (decreto Brunetta) con il quale è stato introdotto il parametro delle pari opportunità per la valutazione della performance sia organizzativa che individuale nelle pubbliche amministrazioni.

Notevole influenza nell’affermazione delle pari opportunità va riconosciuta, altresì, alla normativa europea (fra tutte: Convenzione Onu sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna; art. 141 Trattato Istitutivo della Comunità Europea; Direttiva 2006/54 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 05/02/2006), nonché nella normativa interna di recepimento (D.lgs. 25 Gennaio 2010 n. 5 – Attuazione della direttiva 2006/54/CE).

Nell’ottica di tale complessivo quadro normativo è d’obbligo uno sguardo all’attività svolta dagli organi di rappresentanza dell’avvocatura nell’attuazione delle pari opportunità nell’accesso e nello svolgimento dell’attività professionale nell’ultimo decennio.

Al riguardo, ancora prima che intervenisse la legge di riforma della professione forense, che oggi, come vedremo tra poco, consolida gli effetti delle “buone prassi territoriali”, il Consiglio Nazionale Forense ha istituito, sin dal 2003, la Commissione per le pari opportunità, che in questi ultimi anni ha assunto un ruolo fondamentale nel percorso di diffusione e valorizzazione della cultura delle Pari opportunità all’interno dell’Avvocatura.

Scopo fondamentale della Commissione  è stata la realizzazione di azioni positive al fine di:

              promuovere la rappresentanza femminile negli organi istituzionali e associativi;

              diffondere le buone prassi locali portandole a sistema;

              organizzare e finalizzare programmi di formazione mirati alle problematiche dell’avvocatura femminile;

              Verificare l’impatto di genere nella formazione ordinamentale, fiscale e previdenziale di riferimento;

              Monitorare e rilevare periodicamente la condizione femminile nell’avvocatura e le problematiche di pari opportunità connesse;

Per il perseguimento di tali obiettivi, la Commissione Nazionale ha collaborato con i Comitati per le pari opportunità istituiti presso i Consigli degli Ordini Distrettuali ( che dal 2004 ad oggi sono già circa 60), costituendo la Rete dei CPO e delle Referenti di Pari Opportunità degli Ordini, coordinata per macro aree, cercando di dare una regolamentazione unitaria su tutto il territorio nazionale.

Catania si inserisce tra gli ordini distrettuali che hanno istituito per primi il Comitato per le Pari Opportunità: la sua istituzione risale al 2004, con l’approvazione del regolamento con delibera del 06/04/2004.

Tra le più rilevanti azioni positive compiute dalla Commissione Nazionale Pari Opportunità si segnala il Protocollo d’Intesa che il CNF ha siglato con il Dipartimento delle Pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il documento della rete dei CPO in tema di rappresentanza paritaria al fine di sensibilizzare le associazioni e gli avvocati a promuovere e a sostenere le candidature delle Colleghe alle elezioni, nonché la partecipazione alla Rete dei Comitati delle Pari Opportunità nelle professioni Legali (di cui sono soci fondatori l’avvocatura e la magistratura).

 

LE NOVITA’ DELLA LEGGE 247/2012 in materia di PARI OPPORTUNITA’

Istituzionalizzazione della rappresentanza di genere – Composizione degli organi esistenti nel rispetto della parità –

 

1)            Comitato delle pari opportunità (art. 25 comma 4) – Dalle prassi nate sul territorio al riconoscimento normativo

Nel quadro delineato dalle prassi nate sul territorio, la vera innovazione della legge professionale (L.247/12) è l’istituzione dei Comitati delle pari opportunità, di competenza esclusiva dei COA, eletti con le modalità stabilite con regolamento approvato dal Consiglio dell’Ordine; una norma immediatamente applicabile.

Come accennato, l’esperienza dei Comitati per le pari opportunità non costituisce una novità sul piano della prassi, ma oggi lo è il suo riconoscimento per la prima volta nell’ambito della legge professionale.

Al fine di favorire tale costituzione, e coadiuvare i Consigli dell’Ordine nell’adempimento di tali obblighi, il CNF ha inviato, lo scorso 27/02/2013, a tutti i Presidenti una bozza di regolamento  che potrà costituire uno strumento di lavoro cui i COA potranno, nella loro competenza esclusiva, ispirarsi per redigere i propri regolamenti istitutivi.

Secondo la bozza di regolamento del CNF, il Comitato dura in carica quattro anni, è composto da un numero massimo di 15 unità (che si consiglia di non superare), di avvocate/i, di cui una/o di loro designata/o dal Consiglio dell’Ordine al suo interno, mentre tutte le/gli altre/i vengono elette/i dalle/gli iscritte/i agli albi, come previsto dal successivo art. 9.

Il regolamento definisce le funzioni, l’organizzazione interna, nonché le ipotesi di incompatibilità, decadenza, dimissioni e cessazione.

Tale schema predisposto dal CNF è frutto del lavoro della Commissione Pari Opportunità interna al Cnf che ha esaminato i regolamenti degli oltre 60 Comitati già esistenti sul territorio, ed è volta alla ricerca di una metodologia unitaria e già condivisa dalla maggior parte di essi, al fine di conseguire uniformità su tutto il territorio nazionale.

Il Comitato, pertanto, nel rispetto della rappresentanza di genere, e al fine di rimuovere le disparità di trattamento, nonché i comportamenti discriminatori, potrà proporre tutti gli interventi volti ad assicurare una reale parità tra uomo e donna e tra tutti gli iscritti agli albi e registri dell’ordine degli avvocati nell’accesso e nello svolgimento della professione: a titolo esemplificativo con attività di ricerca e monitoraggio, con l’elaborazione di codici di comportamento, con la valorizzazione delle differenze di genere nella formazione professionale, con iniziative volte a promuovere la crescita professionale degli avvocati e dei praticanti in situazioni di disparità.

All’uopo il Comitato potrà istituire, con propria delibera, uno “sportello” volto a fornire, gratuitamente, agli iscritti agli Albi e al Registro dei Praticanti, informazioni ed orientamenti in materia di pari opportunità e tutela antidiscriminatoria.

Ad oggi, le iniziative, che hanno visto impegnate le colleghe donne presso alcuni consigli dell’ordine, hanno già raggiunto risultati importanti, sia per la stipula di appositi protocolli con i Tribunali per lo svolgimento dell’attività di udienza, ovvero di apposite convenzioni in considerazioni di particolari esigenze delle donne avvocato, sia sul piano della formazione specifica dedicata al genere femminile, per la promozione della crescita professionale.

Tali esperienze potranno certamente costituire stimolo e reciproco esempio per l’operatività dei comitati per le pari opportunità, che adesso hanno espressa previsione normativa.

Il cambiamento della cultura professionale e sociale e la coscienza del principio di rappresentanza di genere vanno diffusi.

Anche nei giorni scorsi non sono mancate iniziative promosse dai COA distrettuali (Milano, Reggio Calabria, Cagliari) sul tema della rappresentanza di genere, e da ultimo l’argomento è stato affrontato in seno al VIII Congresso Giuridico Forense, organizzato dal CNF e svoltosi a Roma il 14-15-16 Marzo 2013.

 

2)            Consigli degli ordini circondariali  (art. 28 comma 2)

 

La riforma della legge professionale ridisegna la natura dei Consigli dell’Ordine circondariali, con riferimento alla composizione numerica, e per quanto è qui d’interesse, per la previsione dell’obbligatorietà della rappresentanza di genere.

L’art. 28 2° comma stabilisce infatti che, in ossequio all’art. 51 della Costituzione, il riparto dei consiglieri da eleggere sia effettuato in base ad un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi.

Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo dei consiglieri eletti.

Per ottenere tale risultato l’emanando regolamento (adottato con D.M., previo parere del CNF, e per le materie di sua competenza, della Cassa Forense – il parere del CNF è reso sentiti i COA e le associazioni maggiormente rappresentative), che disciplinerà il sistema elettorale, dovrà prevedere sia le modalità di formazione delle liste, come pure i casi di sostituzione dei consiglieri in corso di mandato al fine di mantenere il criterio di riparto in favore delle “toghe rosa”.

Quest’ultimo aspetto può, invero, apparire il più complicato  , perché occorrerebbe capire se per garantire la rappresentanza di genere, la sostituzione opererà in favore del primo dei consiglieri non eletti, ovvero nei confronti della prima donna avvocato non eletta (ove presente nei risultati elettorali).

Potrebbe, infatti, accadere che la sostituzione debba essere operata nei confronti di un consigliere donna, e che tra i non eletti non vi siano altre donne avvocato, e che pertanto, il meccanismo della sostituzione non si riveli efficace, e non possa garantire la rappresentanza di genere.

E ciò accadrebbe, ipoteticamente e a titolo esemplificativo,laddove per eleggere un COA (come il nostro) con 25 membri, abbiano presentato la propria candidatura solo 8 donne, e queste ultime siano state tutte elette: se una di esse, per dimissioni, o per incompatibilità, o altre motivazioni, dovesse essere sostituita, non ci sarebbero “non elette” in rappresentanza del genere femminile.

A quel punto, il COA circondariale come potrà rispettare il dettato di cui al nuovo art. 28 della legge professionale? Si dovrà procedere a nuove elezioni?

In attesa del regolamento attuativo, solo la successiva prassi applicativa, a mio modesto parere, potrà dare una risposta efficace a tale quesito.

Ed ancora l’art. 28 stabilisce che la disciplina del voto di preferenza deve prevedere la possibilità di esprimere un numero maggiore di preferenze se destinate ai due generi. Se coordiniamo tale norma alla successiva prevista dal 3° comma, per cui ciascun elettore può esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere, ciò significa che la metà dei voti di preferenza dovrà essere destinata alle donne avvocato.

In assenza di un risultato elettorale rispondente ai criteri di equilibrio tra i due generi, le elezioni non consentiranno la formazione di un COA?

Nell’esperienza catanese, vantando il nostro albo oltre 5000 iscritti (ai sensi del 1° comma dell’art. 28 L.prof.), alle prossime elezioni i suoi componenti saranno 25, e secondo il principio di rappresentanza di genere, le “consigliere” dovranno essere almeno 8 (a fronte delle 2 attualmente in carica) .

3)            Consiglio distrettuale di disciplina (art. 50 )

Novità assoluta della riforma è l’istituzione del Consiglio distrettuale di disciplina

Anche in seno al nuovo organo, che eserciterà nei distretti il potere disciplinare, conformemente ai principi ispiratori dell’intera L.247/12 è previsto il rispetto dell’equilibrio di genere. Le elezioni dei suoi componenti devono rispettare la rappresentanza di genere di cui all’art. 51 Cost..

Il regolamento per il procedimento disciplinare sarà emanato dal CNF, sentiti gli ordini circondariali.

Tale disposizione costituisce ulteriore affermazione della indefettibile necessità della partecipazione della componente della categoria meno rappresentata anche in seno ai Consigli di disciplina: è evidente lo scopo prefissato di tutelare l’uguaglianza e la pari opportunità di tutti gli iscritti all’albo di essere “giudicati” da un’assise che sia espressione di entrambi i generi.

La norma,però, non fa riferimento ai criteri di proporzione tra gli eletti, diversamente da quanto previsto per le elezioni del Consigli degli Ordine.

Allo stato appare che il principio possa dirsi rispettato anche con l’elezione di una sola donna.

 

4)            Consiglio Nazionale Forense (art. 34 comma 2 e 3)

Identico principio ispiratore dovrà improntare anche le elezioni dei membri del Consiglio Nazionale Forense, quale organo di vertice dell’avvocatura, i cui rappresentanti dureranno in carica 4 anni, con il divieto di elezione consecutiva per più di due volte, sempre nel rispetto dell’equilibrio dei due generi.

Analogamente all’art. 28, l’art. 34 della norma in commento prevede, infatti, al comma 2 che le elezioni per la nomina dei componenti del CNF non sono valide se non risultano rappresentati entrambi i generi.

La sanzione dell’invalidità delle elezioni esprime la forza del principio di democrazia paritaria anche in seno all’organo istituzionale di vertice dell’Avvocatura.

Il rispetto delle pari opportunità, con rappresentanza di entrambi i generi, in seno all’organo di vertice potrà incontrare, però, ancora alcune difficoltà, atteso il requisito di cui all’art. 38 per cui gli iscritti all’albo speciale per il patrocinio innanzi alle Giurisdizioni Superiori, e la nuova disciplina che modifica il sistema precedente di iscrizione “d’ufficio” al maturarsi dei 12 anni di iscrizione all’albo degli avvocati, prevedendo invece l’accesso all’Albo speciale dopo 5 anni di iscrizione previo superamento dell’esame (L.1003/1936 – R.D. 1482/1936) ovvero la frequenza dell’istituenda Scuola Superiore dell’Avvocatura.

Al fine di garantire l’equilibrio, secondo il principio di cui all’art. 51 Cost, occorrerà un intervento del CNF per costruire una rappresentanza di genere che possa tenere conto di tale esigenza, non solo nella composizione complessiva dell’organo, ma anche nell’elezione del rappresentante di ogni distretto.

Anche tale norma, però, come per i Consigli distrettuali di disciplina, non indica i criteri di proporzione degli eletti al fine del rispetto della rappresentanza di genere, né fa rinvio alla disciplina dettata per i COA.

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La L.247/12, con le misure che agiscono per l’attuazione del riequilibrio di genere, va inquadrata come un intervento legislativo in materia di “democrazia paritaria”. Tale norma non favorisce i soggetti deboli, ma promuove le differenze ed elimina le disparità.

Attraverso l’attuazione della democrazia paritaria, espressione del principio di uguaglianza sostanziale, si intende superare il concetto tradizionale di pari opportunità, al fine di rendere più efficienti attraverso un riequilibrio di genere, gli organi che assumono decisioni.

Le norme esaminate vanno, pertanto, lette alla luce dei dati ad oggi esistenti: nonostante il grande numero di donne avvocato, la presenza presso gli organi di vertice è assai ridotta, ma nel futuro potrà non essere più così.

E se oggi, l’introduzione della “quota di riserva” per la rappresentanza di genere diviene una conquista per l’avvocatura al femminile, nel futuro, visto il crescente numero di donne, non può escludersi che potrebbe diventare quota di riserva per gli uomini, o più in generale per la categoria di volta in volta meno rappresentata.

….Chissà che non sia la “Governance al femminile” la soluzione per la crisi che da anni attanaglia l’avvocatura…?

Catania 22/03/2013

 

 

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