DIRITTO DI RECESSO, NULLITÀ DEI CONTRATTI DI COLLOCAMENTO FUORI SEDE E ART. 30 TUIF
Mario Pisano
L’art. 30 del TUIF al sesto comma prevede che l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi al di fuori della sede dell’intermediario autorizzato sia sospesa per la durata di sette giorni, decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell’investitore, e che entro il medesimo termine l’investitore possa comunicare il proprio recesso, senza spese né corrispettivo, al promotore finanziario o all’intermediario. Occorre inoltre che tale facoltà di recesso sia espressamente indicata nei moduli o formulari consegnati all’investitore e nelle proposte contrattuali effettuate fuori sede, ed il successivo settimo comma commina la sanzione della nullità, deducibile solo da parte del cliente, per i contratti che questa indicazione non rechino.
Ciò che è controverso è se la nozione di “contratti di collocamento”, cui la citata disposizione si riferisce ed ai quali quindi si applica la prescrizione concernente l’inserimento a pena di nullità della clausola di recesso in favore del cliente, sia da intendere come circoscritta ai contratti strettamente connessi e conseguenti alla prestazione del “servizio di collocamento”, menzionato dall’art. 1, comma 5, lett. c) (ed ora anche c bis), del TUIF, o se invece comprenda qualsiasi operazione in virtù della quale l’intermediario offra in vendita a clienti non professionali strumenti finanziari al di fuori della propria sede, anche nell’espletamento di servizi d’investimento diversi, quali ad esempio quelli di negoziazione o di esecuzione di ordini enunciati alle lett. a) e b) dello stesso quinto comma dell’art. 1.
In argomento la giurisprudenza di merito si è in passato divisa, ma in due precedenti occasioni, nelle quali si discuteva della validità dell’acquisto di strumenti finanziari operato a seguito di ordini impartiti da clienti nel quadro di contratti d’intermediazione finanziaria in precedenza stipulati con l’intermediario, la Cassazione ha affermato che il diritto di recesso previsto a favore dell’investitore per i contratti conclusi fuori sede e la connessa sanzione della nullità in caso di mancata comunicazione all’investitore del suindicato diritto di recesso sono circoscritti ai soli contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali, trattandosi di una disciplina peculiare che, come tale, non potrebbe essere applicata alla diversa ipotesi di contratti concernenti la prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari oppure di raccolta e trasmissione di ordini.[1]
Per dare una risposta corretta al quesito è indispensabile una breve premessa ed una sintetica ricognizione delle norme che rilevano ai fini della risoluzione del problema.
I servizi d’investimento finanziario, com’è noto, sono alquanto minuziosamente elencati nel quinto comma dell’art. 1 del TUF, dalla lettera a) sino alla g).
Nel caso della negoziazione per conto proprio, l’intermediario si pone come controparte diretta del cliente nell’acquisto o nella vendita di strumenti finanziari, normalmente destinata ad aver luogo sul mercato secondario mentre nel caso dell’esecuzione di ordini d’acquisto o vendita impartitigli dal cliente egli opera sul medesimo mercato in veste di mandatario, oppure, nel caso della ricezione e trasmissione di ordini, quale mero tramite delle disposizioni del cliente in rapporti di compravendita destinati ad intercorrere tra quest’ultimo e soggetti terzi. Tutte queste situazioni, peraltro, implicano l’instaurazione di rapporti individuali tra intermediario e cliente, nell’interesse del quale l’intermediario stesso è tenuto ad operare.
Il servizio di collocamento si caratterizza invece per essere prestato dall’intermediario in favore del soggetto che emette gli strumenti finanziari, o che comunque li offre in vendita al pubblico, di regola sul mercato primario, onde è con quest’ultimo soggetto che l’intermediario medesimo anzitutto instaura un rapporto contrattuale e nell’interesse del quale presta il servizio (che assuma o meno egli stesso un impegno diretto di acquisto o una qualche forma di garanzia), addossandosi il compito di promuovere l’acquisto da parte dei terzi investitori degli strumenti finanziari offerti in vendita o in sottoscrizione. Naturalmente, perché il collocamento abbia poi effettivamente luogo, occorrerà pur sempre che esso metta capo alla stipulazione di ulteriori atti negoziali, mediante i quali gli strumenti finanziari da collocare sono acquistati o sottoscritti dagli investitori; ma in questo caso la vendita avviene all’esito di un’offerta al pubblico e, quindi, in base a condizioni predeterminate, senza di regola alcuno spazio di negoziazione individuale tra il collocatore e colui che aderisce all’offerta.
L’art. 30 del TUIF disciplina la “offerta fuori sede”.
Il primo comma del citato art. 30 definisce “offerta fuori sede” la promozione ed il collocamento presso il pubblico: a) di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente, del proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento; b) di servizi ed attività di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio.
Secondo le SS. UU. della Cassazione[2] l’esame del citato art. 30 evidenzia subito come il sostantivo “collocamento” ed il verbo “collocare” sembrano adoperati nel primo comma in un’accezione non perfettamente coincidente con quella suggerita dalla nozione di “servizio di collocamento”, cui sopra s’è fatto cenno. Se, infatti, può essere coerente con quella definizione il parlare, nell’ipotesi considerata sub a), di collocamento di strumenti finanziari presso il pubblico, intendendosi con tale espressione l’attività di distribuzione al pubblico degli strumenti finanziari in base all’impegno in questo senso assunto dall’intermediario collocatore nei confronti dell’emittente o dell’offerente per il quale egli presta l’anzidetto servizio, meno agevole è ricondurre nel medesimo alveo il collocamento di servizi ed attività d’investimento di cui fa menzione la lettera b). Il servizio di collocamento in senso proprio, svolto dal collocatore in favore di un emittente o di un offerente, sembra concepibile solo se avente ad oggetto dei prodotti finanziari da altri emessi o offerti in vendita, non se invece ad esser “collocati” siano a loro volta altri servizi d’investimento di vario genere. Con riferimento a questi ultimi il collocamento fuori sede di cui parla il citato art. 30, primo comma, lett. b), sta quindi ad indicare ogni forma di sollecitazione che l’intermediario rivolga a propri clienti affinché questi si avvalgano del servizio d’investimento loro proposto, senza che tra l’offerente ed il collocatore del servizio vi sia un pregresso rapporto riconducibile alla figura giuridica del “servizio di collocamento” definito dalla precedenti già citate disposizioni dell’art. 1, quinto comma.
Secondo le Sezioni Unite nell’intero art. 30 l’espressione “collocamento” è stata adoperata dal legislatore con un significato più ampio e generico, quasi come sinonimo di qualsiasi operazione volta ad immettere sul mercato prodotti finanziari o servizi d’investimento.
D’altro canto il sesto e settimo comma del medesimo art. 30 contemplano il già ricordato jus poenitendi in favore dell’investitore e la nullità dei contratti di collocamento fuori sede che non prevedano il recesso.[3]
Il dilemma che ha attanagliato la giurisprudenza riguarda la portata delle disposizioni in tema di recesso e di eventuale nullità e cioè se essa sia circoscritta ai soli contratti stipulati fuori sede a mezzo di promotori da intermediari impegnati nella prestazione di veri e propri servizi di collocamento, quali sopra definiti (oltre che nel servizio di gestione di portafogli), oppure se anche qui, come già s’è visto a proposito della definizione dell’offerta fuori sede contenuta nel primo comma, la parola “collocamento” sia da intendere in un’accezione più ampia ed in qualche misura atecnica, cioè come sinonimo di qualsiasi operazione implicante la vendita all’investitore di strumenti finanziari, anche nell’espletamento di servizi d’investimento diversi (negoziazione, esecuzione, ricezione o trasmissione di ordini), se effettuata dall’intermediario al di fuori della propria sede.
È alla ratio legis che le SS. UU. hanno guardato per dirimere il conflitto.
Sulla ragion d’essere dello jus poenitendi di cui si discute, le opinioni degli interpreti e degli studiosi sono sufficientemente univoche: è la circostanza che l’operazione d’investimento si sia perfezionata al di fuori dalle sede dell’intermediario a rendere necessaria una speciale tutela per l’investitore al dettaglio (la normativa non si applica agli investitori professionali, come chiarisce il secondo comma del citato art. 30), perché ciò significa che, di regola, l’iniziativa non proviene da lui. È logico cioè presumere che, in simili casi, l’investimento non sia conseguenza di una premeditata decisione dello stesso investitore, il quale a tale scopo si sia recato presso la sede dell’intermediario, ma costituisca invece il frutto di una sollecitazione, proveniente da promotori della cui opera l’intermediario si avvale; sollecitazione che, perciò stesso, potrebbe aver colto l’investitore impreparato ed averlo indotto ad una scelta negoziale non sufficientemente meditata. Il differimento dell’efficacia del contratto, con la possibilità di recedere nel frattempo senza oneri per il cliente, vale appunto a ripristinare, a posteriori, quella mancanza di adeguata riflessione preventiva che la descritta situazione potrebbe aver causato.
Se questa, come pare difficilmente contestabile, è l’esigenza di tutela in vista della quale il legislatore ha introdotto la disciplina del recesso nei contratti di collocamento di strumenti finanziari stipulati fuori sede dall’intermediario, secondo la Sezioni Unite[4] è arduo negare che la medesima esigenza si ponga non soltanto per le operazioni compiute nell’ambito della prestazione di un servizio di collocamento in senso proprio, nell’accezione già prima richiamata, ma anche per qualsiasi altra ipotesi in cui l’intermediario venda fuori sede strumenti finanziari ad investitori al dettaglio, sia pure nell’espletamento di un servizio d’investimento diverso. La differenza tra le due descritte situazioni, in questa ottica, appare davvero poco significativa, specie ove si consideri che nel servizio di collocamento “con assunzione a fermo” l’intermediario piazza sul mercato prodotti finanziari rispetto ai quali la sua posizione ed il suo interesse alla vendita sono del tutto analoghi a quelli di una vendita in proprio. Il che avvalora l’opinione secondo cui la parola “collocamento”, nel testo dell’articolo in esame, è da intendere in senso ampio, come sinonimo di atto negoziale mediante il quale lo strumento finanziario vien fatto acquisire al cliente e quindi inserito nel suo patrimonio (o, come nel linguaggio del mercato finanziario si usa dire, nel suo portafoglio), a prescindere dalla tipologia del servizio d’investimento che abbia dato luogo a tale operazione.
A favore di un’interpretazione estensiva della citata disposizione dell’art. 30 del TUIF, che sia in grado di meglio assicurare la tutela del consumatore, militano d’altro canto i principi generali desumibili dallo stesso testo unico, sicuramente ispirati all’esigenza di effettività dell’indicata tutela, cui da ulteriore rinforzo la previsione dell’art. 38 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che, nel garantire “un livello elevato di protezione dei consumatori”, per ciò stesso impone d’interpretare le norme ambigue nel senso più favorevole a questi ultimi. Ma, soprattutto, milita in tal senso la difficoltà di giustificare, anche sul piano costituzionale, una disparità di trattamento tra l’ipotesi di offerta fuori sede di strumenti finanziari che sia fondata sulla diversa tipologia di servizio d’investimento reso dall’intermediario, quando, per le ragioni già sopra indicate, del tutto analoga è la situazione di maggiore vulnerabilità in cui viene comunque a trovarsi il cliente per il fatto stesso che l’offerta lo raggiunge fuori dalla sede dell’intermediario o degli altri soggetti indicati dal primo comma del citato art. 30.
Le Sezioni Unite esprimono pertanto il principio secondo cui il diritto di recesso accordato all’investitore dal sesto comma dell’art. 30 del d. lgs. n. 58 del 1998 e la previsione di nullità dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo settimo comma, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d’investimento diverso, ove ricorra la stessa esigenza di tutela.[5]
[1] Cass. n. 2065 del 2012 e n. 4564 del 2012
[2] Cassazione civile , SS.UU., sentenza 03.06.2013 n° 13905
[3] Cassazione civile , SS.UU., sentenza 03.06.2013 n° 13905
[4] Cassazione civile , SS.UU., sentenza 03.06.2013 n° 13905
[5] Cassazione civile , SS.UU., sentenza 03.06.2013 n° 13905