Permesso di soggiorno dello straniero impiegato: l’errore del datore di lavoro esclude la responsabilità penale Cassazione Pen, Sez. I, 11 giugno 2013, n. 25607 (G. Rossi)

PERMESSO DI SOGGIORNO DELLO STRANIERO IMPIEGATO: L’ERRORE DEL DATORE DI LAVORO ESCLUDE LA RESPONSABILITÀ PENALE

Cassazione Pen, Sez. I, 11 giugno 2013, n. 25607

Gianna Rossi

 

 

“L’errore, ancorché colposo, del datore di lavoro sul possesso di regolare permesso di soggiorno da parte dello straniero impiegato, cadendo su elemento normativo integrante la fattispecie, comporta l’esclusione della responsabilità penale.”

Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 25607/2013, ha accolto il ricorso di un datore di lavoro, imputato del reato di cui all’art. 22, comma 12, D.Lgs. 286/1998, per aver quale titolare di impresa individuale esercente attività edile, occupato alle proprie dipendenze un cittadino extracomunitario sprovvisto di permesso di soggiorno.

La Suprema Corte, prendendo le mosse dal testo normativo che, al comma 10 vigente all’epoca dei fatti (ma l’attuale comma 12, novellato dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 5, comma 1 ter, aggiunto dalla relativa legge di conversione, nulla ha su tale punto specifico modificato nella descrizione della condotta) dispone: “il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo, ovvero il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato, è punito…. “ , precisa che la difesa in relazione alla figura di reato come innanzi tipizzata pone la questione giuridica della identificazione della condotta attualmente punibile attesa la trasformazione normativa del reato da contravvenzione a delitto, posto che nel caso in esame l’imputato è stato condannato a titolo di responsabilità colposa.

Quanto all’elemento psicologico del reato – affermano i giudici di legittimità – la Corte territoriale, preso atto dei fatti di causa pacificamente accertati, ha esplicitamente valorizzato la natura contravvenzionale del reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22 oggetto di contestazione, punito all’epoca dei fatti anche a titolo di colpa, non elisa dalla buona fede del datore di lavoro.

I giudici del merito non hanno pertanto correttamente considerato che il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 5, comma 1-ter, convertito in L. 24 luglio 2008, n. 125 – volendo reprimere più gravemente il reato e sostituendo la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno e dell’ammenda di Euro 5.000 per ogni lavoratore impiegato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di Euro 5.000, sempre per ogni lavoratore impiegato – ha trasformato la contravvenzione in delitto, di guisa che allo stato, ai sensi dell’art. 42 c.p., comma 2, il fatto è ora punito solamente se commesso con dolo, non essendo nulla di diverso espressamente preveduto dalla norma incriminatrice.

L’intervento normativo del 2008, pertanto, ha reso penalmente irrilevante la responsabilità colposa, risolvendosi, per tale ipotesi, in una abolizione parziale della fattispecie previgente.

Ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2, – si legge nella sentenza – anche le condotte pregresse di impiego di stranieri privi del permesso di soggiorno valevole a fini lavorativi, possono dunque essere tuttora punite solamente se dolose, fermo, a mente medesimo art. 2, comma 4, che ad esse resta applicabile il trattamento sanzionatorio previgente, più favorevole (e quindi la pena dell’arresto e dell’ammenda).

Nel caso di specie, considerato l’errore di diritto come innanzi collegato alla valutazione dell’elemento psicologico del reato da parte dei giudici territoriali, in applicazione dei principi innanzi esposti si impone l’annullamento della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

 

 

 

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