CONTANTI O ASSEGNO BANCARIO? IL RIFIUTO INGIUSTIFICATO DELL’ASSEGNO COSTITUISCE INADEMPIMENTO?
Cassazione, Sez. II, 30 settembre 2014, n. 20643
Luca Presutti, Avvocato del Foro di Pescara
Con la sentenza n. 20643/14 (depositata il 30 settembre 2014) la giurisprudenza ha affrontato l’annosa questione relativa alla possibilità di estinguere un’obbligazione pecuniaria tramite la consegna di un assegno bancario, in luogo del denaro.
Nel caso di specie, a fronte dell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria con la predetta modalità, il creditore, da un lato, rifiutava il relativo pagamento e, dall’altro lato, rilevava il grave inadempimento da parte del primo, agendo di poi per la risoluzione del contratto.
Sul punto, il Supremo Consesso, ribaltando le decisioni assunte nei primi due gradi di giudizio, si è pronunciata accogliendo le ragioni del creditore.
Nella su citata sentenza, si argomenta che in mancanza di specifiche pattuizioni circa le modalità di pagamento del prezzo ( come nella specie), trova senz’altro applicazione il principio espresso dal combinato disposto di cui agli artt. 1277 cc e 1182, comma 3, c.c., secondo cui i debiti pecuniari devono essere estinti mediante moneta avente corso legale nello Stato, ed eseguiti presso il domicilio del creditore.
Si precisa però che tale regola ha trovato un temperamento interpretativo posto che nella società moderna sono emerse nuove forme di pagamento che hanno pressoché sostituito il denaro, sia per una maggiore celerità nei pagamenti, sia per i minori rischi che le stesse comportano.
Pertanto, ad oggi, sono ritenuti equipollenti al denaro contante – e non legittimano (salvo giustificato motivo che deve essere opportunamente provato) un rifiuto all’accettazione del pagamento da parte del creditore – soltanto i mezzi di pagamento (basti pensare alla possibilità di pagamento per via telematica) che esprimano un valore equivalente, ma soprattutto che siano di sicura copertura.
Con riferimento al caso di specie, invece, stante l’assenza peraltro di specifiche pattuizioni, il debitore eseguiva la propria prestazione pecuniaria a mezzo del titolo noto come assegno bancario, il quale (oggettivamente) – precisa la Corte di Cassazione – non costituisce un mezzo di pagamento di sicura copertura.
Conseguentemente, prosegue la Suprema Corte, in tale ipotesi il creditore può vedersi giustificato a rifiutare detta modalità di pagamento ed, eventualmente, ad agire per risoluzione del contratto per inadempimento imputabile al debitore.
In altri termini, sembrerebbe che in presenza di pagamento effettuato con assegno bancario il c.d. “giustificato motivo” risulti in re ipsa.
Andando oltre la questione affrontata dalla sentenza in esame, è interessante capire altresì se – per contro – a fronte di un pagamento tramite l’assegno circolare, il creditore sia tenuto ad accettare la consegna di tale tipo di titolo, pena il rischio di incorrere nella violazione del principio di buona fede contrattuale.
Ciò in quanto, a differenza dell’assegno bancario, l’assegno di traenza risulta essere connotato dalla precostituzione della provvista presso la banca, assicurando pertanto la disponibilità della somma dovuta.
Al riguardo, recentemente, si è pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 26617/2007), evidenziando che l’art. 1277 c.c. non riguarda le modalità di pagamento, ma il sistema valutario nazionale e la necessità che i mezzi monetari impiegati si riferiscano ad esso.
Da ciò ne discende che la moneta avente corso legale non è l’oggetto del pagamento, bensì il valore, il quantum debeatur, e che risultano ammissibili altri mezzi di pagamento, sempre che questi garantiscano al creditore il medesimo effetto del pagamento in contanti.
Al riguardo, con sentenza successiva del 10/03/2008, n. 6291, la Cassazione preciserà che in tali ipotesi di pagamento però l’estinzione dell’obbligazione con l’effetto liberatorio per il debitore si verifica quando il creditore acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro, ricadendo comunque sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno.
Le Sezioni Unite, infine, confutano altresì la consolidata assimilazione dell’obbligazione pecuniaria a quella di dare cose fungibili e, di conseguenza, ritengono non adattabili tout court ai debiti monetari le disposizioni dettate per quest’ultima categoria. Il rilievo prende le mosse dal fatto che l’interesse tutelato in questo caso è quello del creditore alla giuridica disponibilità della somma di denaro e non al possesso dei pezzi monetari.
In quest’ottica il domicilio del creditore non è più da individuarsi nel suo domicilio anagrafico, ma può identificarsi nella sede della banca presso la quale ha acceso il contratto di conto corrente.
In definitiva, dunque, il rifiuto del creditore di ricevere la consegna dell’assegno circolare (o altro titolo certo e sicuro) rischia di integrare un comportamento contrario a buona fede, considerato che – trattandosi di titolo di credito di sicuro realizzo – si riducono per quest’ultimo le possibilità di trovare giustificati motivi (che, si ribadisce, il creditore deve comunque allegare e, all’occorrenza, anche provare!!!)
Non occorre ricordare che, infatti, in un rapporto contrattuale l’obbligo di comportarsi secondo diligenza e buona fede non grava soltanto in capo al soggetto tenuto ad eseguire la prestazione: tutte le parti, in particolare, devono collaborare alla luce dei suddetti principi al fine di rendere agevole l’adempimento di una obbligazione.
Cassazione, Sez. II, 30 settembre 2014, n. 20643
RITENUTO IN FATTO
1. – E’ impugnata la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, depositata il 9 novembre 2012, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Castrovillari, di rigetto della domanda proposta da L. F.G. e L. nei confronti di M.G. S..
1.1. – Nel 2000 le sorelle L.F. avevano agito per la declaratoria di risoluzione del contratto preliminare di compravendita di immobile stipulato l’11 marzo 2000 con il sig. M., con riconoscimento del diritto a trattenere le somme ricevute a titolo di penale.
Le attrici riferivano di essersi obbligate a vendere al convenuto l’immobile sito in (OMISSIS), distinto al N.C.E.U. alla partita 4983, fl. 58, part. 144, sub. 3 T) per l’importo di lire 80 milioni, da corrispondersi per lire 10 milioni alla sottoscrizione del preliminare e per il residuo alla stipula del rogito, che avrebbe dovuto avvenire entro il 15 maggio 2000.
Era poi accaduto che, su richiesta di M., le attrici avevano concesso una proroga, previo versamento di ulteriori 17 milioni, da imputarsi a titolo di penale, e fissato la data improrogabile del 30 giugno 2000 per il rogito.
In detta data, non si era addivenuti alla stipula in quanto le attrici avevano rifiutato il pagamento della residua somma di 35 milioni a mezzo di assegni di conto corrente non sottoscritti da M. e tratti su un istituto di credito che non aveva agenzie in (OMISSIS).
Al successivo invito di M. a stipulare, le attrici avevano comunicato che, stante il grave inadempimento consistito nel mancato versamento del prezzo in data 30 giugno 2000, esse avrebbero agito per la risoluzione del contratto.
1.2. – Il convenuto aveva dedotto che la mancata stipula era addebitabile alle attrici, le quali avevano rifiutato il pagamento del prezzo e non avevano dichiarato che l’immobile era gravato da ipoteca, circostanza quest’ultima che aveva impedito a M. di ottenere un mutuo ed che aveva reso necessaria la proroga per la redazione dell’atto notarile. In via riconvenzionale il convenuto M. aveva chiesto sentenza che tenesse luogo del consenso non prestato, con condanna delle attrici al pagamento della penale prevista in contratto, pari a 20 milioni di lire.
1.3. – Il Tribunale aveva rigettato la domanda delle attrici e accolto la domanda riconvenzionale, disponendo il trasferimento dell’immobile, previo versamento del residuo prezzo pari a L. 53 milioni.
Le sorelle L.F. proponevano appello, il sig. M. resisteva.
2. – Con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, la Corte d’appello confermava la sentenza di primo grado, osservando che il punto centrale della decisione era costituito dalla valutazione del comportamento tenuto dalle parti in occasione della stipula fissata per il 30 giugno 2000, in riferimento alla quale ciascuna parte imputava all’altra l’inadempimento.
2.1. – La valutazione cui era pervenuto il Tribunale era condivisibile, posto che nè nel contratto preliminare dell’11 marzo 2000, nè nella successiva scrittura integrativa era prevista una precisa modalità di pagamento del prezzo, e le attrici avevano già accettato, alla firma del preliminare, un assegno di L. 4 milioni non sottoscritto dal convenuto.
Si doveva ritenere, pertanto, che nel caso di specie vi fosse un accordo, seppur tacito, che consentiva di derogare al principio, di carattere dispositivo, fissato dall’art. 1227 c.c., nè erano emerse ragioni per dubitare dell’insolvenza del convenuto, il quale aveva anche tentato di mantenere fede agli obblighi, chiedendo un nuovo incontro dal notaio per la stipula, che le attrici avevano rifiutato.
In ogni caso, secondo la Corte distrettuale, il termine fissato per la stipula non poteva essere considerato essenziale.
3. – Per la cassazione della sentenza d’appello hanno proposto ricorso L.F.G. e L., sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso M.G.S..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti di seguito indicati.
1.1. – Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 – 1375 c.c..
Si contesta la valutazione compiuta dalla Corte d’appello in ordine al comportamento delle parti, e specificamente del rifiuto opposto dalle promittenti venditrici alla stipula come contrario a buona fede.
1.2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1258, 1453 e 1454 c.c..
Si contesta la valutazione espressa dalla Corte d’appello in ordine alla natura del termine del 30 giugno 2000 per la stipula del contratto definitivo, considerato non essenziale.
1.3. – Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1277 c.c..
Si contesta la valutazione con cui la Corte d’appello ha ritenuto ingiustificato il rifiuto alla stipula, opposto dalle promittenti venditrici, a fronte del pagamento del residuo prezzo con assegni bancari. In particolare, è censurata l’affermazione che vi fosse tra le parti un tacito accordo sul punto, atteso che le promittenti venditrici avevano accettato, in sede di stipula del contratto preliminare, un assegno bancario di L. 4 milioni.
2. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente per l’evidente connessione, sono fondate.
2.1. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nelle obbligazioni pecuniarie il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato o mediante assegno circolare, e mentre nel primo caso il creditore non può rifiutare il pagamento, può farlo nel secondo caso, ma solo per giustificato motivo (ex plurimi a, Cass., Sez. U., sentenza n. 26617 del 2007).
Questa Corte ha anche avuto modo di precisare che, in mancanza di alcuna previsione negoziale al riguardo, in tema di obbligazioni monetarie, non possono che trovare applicazione l’art. 1277 c.c., e art. 1182 c.c., comma 3, dal cui combinato disposto deriva che i relativi debiti vanno pagati, alla loro scadenza, in moneta avente corso legale, presso il domicilio del creditore.
Si tratta di regole che hanno trovato temperamento nella giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto equipollenti del danaro contante eventuali titoli di credito (in particolare assegni circolari, di valore equivalente e di sicura copertura (Cass., sez. 2A, sentenza n. 27520 del 2008).
Più di recente si è ritenuto, in applicazione del principio solidaristico, declinato nella correttezza e buona fede dei contraenti, che il rifiuto del creditore di accettare i mezzi di pagamento “diversi”, quale appunto l’assegno bancario, deve trovare una ragionevole giustificazione (Cass., Sez. U., sentenza n. 13658 del 2010).
2.2. – Ciò detto, rimane il dato oggettivo che l’assegno bancario non costituisce mezzo di pagamento di sicura copertura, e ciò non è senza conseguenze sul piano della giustificazione del rifiuto del creditore di accettare il pagamento a mezzo di assegno bancario.
3. – Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto di ravvisare un rifiuto ingiustificato, sussumibile in comportamento contrario alla buona fede, nella scelta delle promittenti venditrici di non accettare il pagamento a mezzo di assegni bancari di L. 35 milioni, quale residuo prezzo della compravendita, sul duplice rilievo: che non era stata contrattualmente prevista una specifica modalità di pagamento del prezzo dell’immobile, e le promittenti venditrici avevano già accettato, al momento della firma del contratto preliminare, un assegno di lire 4 milioni sottoscritto dal promissario acquirente. Ciò significava, secondo la Corte d’appello, che le attrici avevano acconsentito a derogare al principio, di carattere dispositivo, fissato dall’art. 1227 c.c..
Non sussistevano inoltre, secondo la Corte distrettuale, ragioni per dubitare della solvibilità del promissario acquirente, il quale aveva poi tentato di tenere fede agli obblighi, chiedendo un nuovo appuntamento dal notaio per la stipula, che però le attrici avevano rifiutato.
3.1. – Entrambi gli argomenti utilizzati dalla Corte d’appello risultano non condivisibili.
3.1.1. – Quanto al primo argomento, va osservato che, in mancanza di specifiche pattuizioni circa le modalità di pagamento del prezzo, come nella specie, deve trovare applicazione il principio fissato dall’art. 1227 c.c., e ciò impone di verificare con rigore l’esistenza di un accordo tacito, desumibile dal comportamento delle parti, che consenta di ritenere derogato il suddetto principio.
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte distrettuale, tale accordo non è ravvisabile nella circostanza che alla firma del contratto preliminare le promittenti venditrici abbiano accettato un assegno di L. 4 milioni.
La diversità del contesto – in un caso firma del preliminare, nell’altro cessione definitiva dell’immobile; la differenza consistente di importo – in un caso lire 4 milioni, nell’altro lire 35 milioni; la diversità dei titoli – nel primo caso l’assegno di 4 milioni era a firma del convenuto, nel secondo caso a firma di terzi e con traenza su istituto di credito non presente nel territorio, costituiscono elementi che vanno nella direzione opposta alla decisione.
Da un lato, dunque, non sussisteva alcun accordo tacito che imponesse alle attrici di accettare il pagamento a mezzo di assegni bancari, e, dall’altro lato, il rifiuto delle stesse trovava giustificazione nella incertezza circa la provenienza dei titoli e nella difficoltà di verificarne la copertura.
3.1.2. – Quanto al secondo argomento esposto dalla Corte d’appello – secondo cui non v’era ragione di dubitare della solvibilità del convenuto posto che questi si era subito adoperato per un nuovo appuntamento dal notaio finalizzato alla stipula -, va osservato che si tratta di valutazione meramente presuntiva, giacchè non vi sono elementi per ritenere che, qualora le attrici avessero acconsentito a stipulare in data successiva al 30 giugno 2000, il convenuto avrebbe pagato in contanti o con assegni circolari.
4. – Rimane assorbita la censura riguardante la natura del termine del 30 giugno 2000 per la stipula del contratto definitivo, dovendosi peraltro osservare che la stessa sentenza d’appello da atto che tale data era stata pattuita e individuata quale “secondo termine improrogabile”.
5. – Il ricorso va dunque accolto con riferimento alla valutazione del comportamento tenuto dalle promittenti venditrici in sede di stipula del contratto definitivo.
6. – Le spese del presente giudizio saranno regolate dal giudice di rinvio, individuato come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2014