La prova della colpa della pubblica amministrazione nell’illecito da ritardo, Cons. St., sez. IV, 7/4/15 n.1770 (F.Nicotra)

LA PROVA DELLA COLPA DELLA

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NELL’ILLECITO DA RITARDO

COMMENTO A SENTENZA

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, 7 APRILE 2015, N. 1770

 

Francesco Nicotra

(Avvocato e Dottore di ricerca in diritto pubblico interno e comunitario)

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1.       Premessa

La necessità o meno della colpa nell’accertamento della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione continua a dividere la giurisprudenza.

Nel confronto giurisprudenziale dell’ultimo anno, insorto dopo varie pronunce della Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale ha escluso in modo radicale che nell’attribuzione del risarcimento potessero rilevare profili soggettivi, si segnala l’orientamento del Consiglio di Stato. Quest’ultimo organo di giustizia amministrativa ha cercato di armonizzare il sistema interno della responsabilità con quello imposto dalla giurisprudenza comunitaria, aprendo anche la possibilità di costruire il sistema della responsabilità nel settore dell’affidamento degli appalti pubblici secondo regole completamente diverse da quelle della responsabilità civile, ma lasciando scoperte alcune questioni problematiche che continuano ad essere irrisolte.

Costituisce principio generale dell’ordinamento quello per cui l’obbligo risarcitorio per un fatto dannoso può essere ascritto ad un soggetto, solo in presenza dell’indefettibile presupposto della riferibilità psicologica, in termini di colpevolezza, della condotta lesiva del suo autore articolo (art. 2043 c.c.).

Il regime positivo della responsabilità civile risulta, tuttavia, concepito e dettato con riferimento ai danni provocati da persone fisiche, sicché il suo adattamento alla responsabilità di persone giuridiche o, in generale, di soggetti giuridici diversi dalle persone fisiche, implica rilevanti problemi applicativi.

 

2.      Il caso su cui interviene il Consiglio di Stato con la sentenza 7 aprile 2015, n. 1770

La fattispecie in esame ha ad oggetto una controversia tra un cittadino che aveva richiesto un permesso per costruire un corpo scala del proprio appartamento, che era crollato durante i lavori di ristrutturazione dello stabile principale, ed un Comune. Quest’ultimo, in un primo momento aveva opposto un diniego e, successivamente, aveva rilasciato il titolo.

Secondo il privato, l’avere eccessivamente ritardato il rilascio del titolo edilizio concernente la costruzione del corpo scala del proprio appartamento, crollato durante i lavori di ristrutturazione, ha costituito fonte di responsabilità per l’amministrazione.

Contestato davanti al TAR il ritardo nel rilascio, il privato ha ottenuto il risarcimento del danno subìto per effetto del ritardo lamentato.

L’Amministrazione ha impugnato la sentenza di primo grado davanti al Consiglio di Stato, sostenendo che il primo progetto presentato per la ricostruzione del corpo scala era in contrasto con le norme tecniche di attuazione vigenti (che sarebbero state rispettate solo con una seconda progettazione), deducendo quindi l’errata progettazione iniziale dello stesso edificio principale, imputabile esclusivamente al professionista al quale il cittadino si era rivolto. 

In particolare, a fronte della doglianza avanzata dal proprietario dell’immobile circa il ritardo subìto, il Comune ha evidenziato l’esistenza di circostanze impeditive, o quanto meno scusanti, integrate dalla falsa rappresentazione progettuale, cui è seguito il crollo del vano scale, ossia, proprio di quell’elemento che sarebbe stato falsamente rappresentato nel primo progetto.

 

3.      La colpa nell’illecito aquiliano della p.a.

Il risarcimento del “danno da ritardo” nell’emissione di un provvedimento amministrativo è necessariamente collegato alla colpa dell’Ente pubblico, che deve essere secondo il Consiglio di Stato rigorosamente provata, oltre che allegata.

Con riferimento all’elemento soggettivo, i criteri di individuazione della colpa sono stati definiti dalla giurisprudenza secondo un complesso percorso evolutivo, di cui merita dare conto, anche perché segue l’evoluzione della ricostruzione dogmatica dei caratteri, dei limiti e della natura della responsabilità civile dell’amministrazione.

Occorre, peraltro, chiarire che l’ambito della presente indagine è limitato alla sola colpa connessa all’attività provvedimentale della pubblica amministrazione, posto che per quella materiale (si pensi, per esempio, ai danni provocati da un dipendente pubblico alla guida di un autoveicolo di proprietà dell’amministrazione), non si pongono particolari problemi, applicandosi i criteri ordinari di verifica della colpa.

L’indirizzo giurisprudenziale consolidato prima della sentenza n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Cassazione, riteneva la colpa sussistente in re ipsa nella stessa illegittimità processualmente accertata dell’atto amministrativo.

In altri termini, questo orientamento, ai fini della responsabilità dell’amministrazione, riteneva operante una presunzione assoluta di colpa, considerandola implicita nella adozione ed esecuzione del provvedimento illegittimo, ciò indipendentemente dalla natura del vizio che inficiava il provvedimento.

Tale indirizzo è stato poi superato con la storica sentenza citata nelle Sezioni Unite, con cui la Cassazione ha affermato che la responsabilità della pubblica amministrazione debba essere qualificata come extracontrattuale e, in applicazione dei principi generali (art. 2697 c.c.), ha ritenuto che sul privato incombesse l’onere della prova anche dell’elemento soggettivo della colpa. Quest’ultima, tuttavia, veniva intesa come “colpa di apparato”, da individuarsi nella stessa organizzazione amministrativa e non già in relazione al singolo funzionario, configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi.

Tale impostazione si scontrava però con l’estrema difficoltà, per il ricorrente, di provare la colpa dell’amministrazione, in considerazione del fatto che, nella specie, non opera il principio di vicinanza della prova, poiché l’onere probatorio è posto a carico della parte che normalmente non dispone degli elementi di prova sufficienti a soddisfare il principio di cui all’art. 2697 c.c.

Per questa ragione, una parte della giurisprudenza, pur rimanendo fedele alla qualificazione come extracontrattuale della responsabilità della pubblica amministrazione, ha introdotto il c.d. principio dispositivo con onere acquisitivo, che prevede l’onere del ricorrente di provare soltanto l’illegittimità del provvedimento o del ritardo, rimettendo all’amministrazione la prova liberatoria della sussistenza di specifiche circostanze, e cioè l’oscurità o la sovrabbondanza della normativa in materia, il repentino mutamento della stessa, l’assenza di orientamenti giurisprudenziali univoci o la speciale complessità della questione.

Secondo un’altra parte della giurisprudenza, la responsabilità della pubblica amministrazione andrebbe qualificata in termini di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, in quanto, il rapporto tra il privato e la amministrazione, non si risolve nell’estraneità reciproca e nella mera violazione del principio del neminem ledere, ma si inquadra in un insieme di norme procedimentali che lo disciplinano e che conformano lo svolgimento del procedimento amministrativo, nonché l’emanazione del provvedimento conclusivo.

In questo senso, il danneggiato è onerato ex art. 1218 c.c., della mera prova del titolo del suo diritto e del danno subito, potendo limitarsi semplicemente ad allegare la colpa dell’amministrazione.

Quest’ultima, per esonerarsi da responsabilità, dovrà fornire la prova, anche per presunzioni (art. 2727 c.c.), della mancanza di colpa e, in particolare, dovrà provare la circostanza che l’illegittimità del provvedimento è riconducibile all’oscurità o al repentino mutamento dell’assetto normativo per contrasto giurisprudenziale nella sua interpretazione.

Le due principali impostazioni giurisprudenziali, pertanto, conducono a conclusioni analoghe sotto il profilo del limitato onere probatorio richiesto al ricorrente e della conseguente effettività di tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche lese dal provvedimento illegittimo.

La giurisprudenza il Consiglio di Stato si è cristallizzata in maniera dominante sull’orientamento che qualifica la responsabilità dell’amministrazione in termini di responsabilità extracontrattuale, considerando l’illegittimità dell’atto un indice presuntivo della colpevolezza che può, però, essere superato in presenza di un errore scusabile.

Quest’ultimo deve essere ricavato in forza di criteri oggettivi individuati dalla stessa giurisprudenza, quali il grado di maggiore o minore chiarezza della normativa applicabile, la maggiore o minore semplicità della situazione di fatto, il carattere vincolato o meno dell’azione amministrativa.

Va, inoltre, osservato come la tesi maggioritaria della responsabilità extracontrattuale sembra essere confermata sul piano normativo dall’art. 30, comma 2, del Codice del processo amministrativo, il quale, disciplinando l’azione risarcitoria, fa riferimento al “danno ingiusto” derivante dall’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa o, con riferimento alla fattispecie in esame, dal mancato esercizio di quella obbligatoria.

Questa interpretazione, che si accingeva ormai a consolidarsi, è stata rimessa in discussione dalla progressiva perdita di sovranità dell’ordinamento nazionale in favore delle istituzioni create dai Trattati comunitari, che, nel sistema giurisdizionale, si è risolta nella attribuzione alla Corte di giustizia dell’Unione Europea del ruolo di interprete del diritto comunitario (art. 234 TCE, ora artt. 258-260 TFUE) e di giudice dell’inadempimento degli Stati membri (artt. 226-228 TCE, ora artt. 258-260 TFUE).

In questa sua funzione, la Corte di giustizia ha sostenuto che è incompatibile con il diritto dell’Unione sugli strumenti di tutela apprestati in materia di appalti pubblici, una normativa nazionale che subordini il risarcimento alla dimostrazione da parte del danneggiato del dolo o della colpa della pubblica amministrazione.

La Corte di giustizia viene così a sposare un modello di responsabilità oggettiva, diverso sia da quello della responsabilità colpevole (che la Cassazione ha ricavato dai principi generali sulla responsabilità civile), sia da quello della responsabilità presunta (enucleato dal Consiglio di Stato per la responsabilità da attività amministrativa illegittima).

Le elaborazioni successive del giudice amministrativo sono state volte a verificare la compatibilità del proprio orientamento sulla responsabilità presunta con quello della Corte di giustizia sulla responsabilità oggettiva.

In proposito, le conclusioni della giurisprudenza amministrativa, sono state nel senso che, l’indirizzo dei giudici europei, non escludesse la possibilità di consentire comunque all’amministrazione di essere esonerata da responsabilità nel caso in cui essa riuscisse a vincere la presunzione di colpa derivante dall’illegittimità del provvedimento emesso.

Il giudice amministrativo, infatti, ha sostenuto che il diritto comunitario vietava soltanto di condizionare il risarcimento ad una prova della colpevolezza che si rivelasse difficoltosa per il danneggiato. Se, pertanto, il contenuto dell’indirizzo della Corte di giustizia si risolve nella mera impossibilità di imporre al danneggiato l’onere della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità della pubblica amministrazione, allora la giurisprudenza interna sulla responsabilità, che è presunta, ma è superabile mediante ricorso all’errore scusabile, non era in contrasto con la giurisprudenza comunitaria, perché non addossava a carico del danneggiato alcun onere di dimostrare la colpa dell’apparato amministrativo.

Su questo sistema, ridelineato di nuovo secondo il paradigma della responsabilità colpevole ma presunta, e con il rifiuto del ricorso ad una responsabilità oggettiva tout court, ha inciso di nuovo la Corte di giustizia con una pronuncia del 2010 in materia di appalti.

In questa decisione il supremo organo di giustizia dell’Unione Europea ha precisato ulteriormente il proprio indirizzo interpretativo, sostenendo che il diritto europeo osta ad una normativa nazionale che limiti il risarcimento dei danni alla prova della colpa del soggetto agente. La Corte di giustizia ha, inoltre, aggiunto che non sono compatibili con il sistema né presunzioni di colpevolezza in capo all’amministrazione, né la possibilità di far valere in giudizio il difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata.

Alla luce degli orientamenti richiamati della giurisprudenza nazionale ed europea, si può affermare che, allo stato, coesisterebbero nel sistema due statuti della responsabilità della pubblica amministrazione.

Da un lato, uno statuto generale, fondato sulla responsabilità colposa con l’onere della prova invertito, in cui all’amministrazione è dato di provare l’errore scusabile.

Dall’altro, uno statuto particolare, esistente solo nel settore degli appalti pubblici, e non esportabile fuori da esso, fondato sulla responsabilità oggettiva.

In definitiva, con riguardo allo stato attuale del regime della responsabilità degli enti pubblici, con riferimento all’elemento soggettivo, si può affermare che nel nostro ordinamento coesistono vari regimi della responsabilità per danni della pubblica amministrazione.

 

4.      Considerazioni conclusive sulla pronuncia

Sotto il profilo della tutela giurisdizionale, in sede di domanda di accertamento del danno da ritardo nell’adozione di un atto della pubblica amministrazione, la colpa di quest’ultima non può, in linea di principio, presumersi iuris tantum dal ritardo, ma il danneggiato, deve fornire, quantomeno, un principio di prova.

In particolare, rileva il Consiglio di Stato con la sentenza in commento, che non sussiste il danno da ritardo nel caso in cui non sia ravvisabile alcuna colpa nell’operato dell’amministrazione e la tempistica procedimentale (nella specie relativa al rilascio di una permesso di costruire) consenta agevolmente di comprendere che le modifiche presentate al progetto, conseguenti all’avvenuto crollo della scala, ed i successivi esami che si sono resi necessari, escludono un atteggiamento dilatorio in capo alla Amministrazione.

Con riferimento ai profili di configurazione dell’illecito aquiliano in capo alla p.a., relativi all’elemento soggettivo (dolo o colpa) del danneggiante, infatti, il supremo organo di giustizia amministrativa ribadisce l’orientamento secondo cui il privato deve dare contezza degli elementi univoci indicativi della sussistenza della colpa dell’amministrazione (così per es. Cons. Stato 29 maggio 2008 n. 2564).

In conclusione, ai fini della sussistenza di una responsabilità della p.a. causativa di danno da ritardo, la valutazione dell’elemento della colpa non può essere affidata al dato oggettivo del procrastinarsi dell’adozione del provvedimento finale, bensì alla dimostrazione che la p.a. abbia agito con dolo o colpa grave, di guisa che il difettoso funzionamento dell’apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento gravemente negligente od ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost. (Cons. Stato sez. V 27 aprile 2006 n.2359; Cons. Stato sez. IV 11 ottobre 2006 n. 6059).

 

Tutto ciò non è avvenuto nel caso di specie, in quanto il Comune ha evidenziato circostanze impeditive, o quanto meno scusanti, integrate dalla falsa rappresentazione progettuale del privato, cui è seguito il crollo del vano scale, circostanze idonee ad escludere un comportamento doloso o colposo dell’Amministrazione.

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