Concorso apparente di norme e circolazione stradale: sui rapporti tra illecito amministrativo ex art. 213, co. 4, c.d.s. e illecito penale ex art. 334 c.p (M. C. Iannini)

 

CONCORSO APPARENTE DI NORME E CIRCOLAZIONE STRADALE: SUI RAPPORTI TRA ILLECITO AMMINISTRATIVO EX ART. 213, CO. 4, C.D.S. E ILLECITO PENALE EX ART. 334 C.P

Maria Cristina Iannini

(Estratto da Diritto e Processo formazione n. 5/2011)

 

 

QUAESTIO IURIS

Da tempo è dibattuta la questione relativa ai rapporti tra il reato di cui all’art 334 c.p. e l’illecito amministrativo ex art. 213, C.d.s. e, cioè, se sia configurabile, nella condotta del custode del veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, che circoli abusivamente con lo stesso, oltre alla violazione amministrativa prevista dal 213, co. 4, cit., anche il reato di sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro (art. 334, cit.).

In specie, trattasi del tema relativo alle interferenze tra concorso di reati e concorso apparente di norme, poiché, com’è noto, quando una stessa condotta sia suscettibile di essere ricondotta nell’ambito di più norme penali incriminatrici, non è sempre agevole individuare l’una o l’altra ipotesi.

In linea generale, il concorso di reati è ipotizzabile quando un soggetto è chiamato a rispondere di più reati, allorché con un’unica azione od omissione o con una pluralità di azioni od omissioni violi la stessa o diverse disposizioni penali incriminatrici: nel primo caso si avrà il concorso formale, nel secondo il concorso materiale di reati. Sul piano sanzionatorio, poi, il concorso formale e quello materiale prevedono sanzioni diverse in considerazione del minor disvalore penale della condotta unitaria violatrice di diverse disposizioni penali, rispetto ad una pluralità di azioni integranti, ciascuna, un fatto di reato autonomo.

Il concorso apparente di norme, invece, riguarda l’ipotesi in cui più norme sembrano disciplinare uno stesso fatto, ma in realtà una sola di esse è effettivamente applicabile al caso concreto.

La distinzione tra le due ipotesi di concorso assume una certa rilevanza in considerazione del fatto che se è operante il concorso formale di reati e dunque si considerano applicabili  contemporaneamente tutte le norme considerate, si applicherà il cumulo giuridico che prevede la pena prevista per il reato più grave, aumentata fino al triplo. Al contrario, in caso di concorso apparente di norme, si applicherà una sola norma, poiché, in ragione del principio del ne bis in idem sostanziale, nessuno può essere punito due volte per lo stesso fatto.

Ebbene, nell’identificare l’effettivo ambito di operatività del concorso apparente di norme, l’ordinamento si è ispirato al criterio di specialità, di cui all’art. 15 c.p., secondo cui la legge o la disposizione di legge speciale deroga a quella generale salvo che sia altrimenti stabilito.

 In sostanza, la norma presuppone che tra le disposizioni considerate sussista una relazione di genere a specie, per cui una di esse contiene tutti gli elementi dell’altra ed allo stesso tempo presenta, rispetto a quella, uno o più elementi specializzanti, sia per specificazione, specificando ulteriormente i singoli aspetti già presenti nella fattispecie generale, che per aggiunta, introducendo ex novo elementi non presenti nell’altra norma.

Pertanto, dal raffronto strutturale delle fattispecie considerate, ne consegue la regola dell’applicabilità concreta  della sola norma penale speciale.

In merito all’interpretazione dell’art. 15 c.p., un problema su cui si è sempre discusso è quello relativo al significato da ascrivere al concetto di “stessa materia”.

A fronte di una tesi risalente che faceva coincidere la nozione di “stessa materia” con quella di bene giuridico, con la conseguenza che l’art. 15 c.p. opererebbe tra norme incriminatrici poste a presidio di stessi beni giuridici, la giurisprudenza più recente sembra aver optato per una diversa soluzione, volta ad intendere il concetto di materia come “medesima situazione di fatto”.

Ed anche il riferimento all’interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha un’immediata rilevanza  ai fini dell’applicazione del principio di specialità, poiché si può avere identità di interesse tra fattispecie diverse e diversità di interesse tutelato tra fattispecie in rapporto di specialità; deve aversi riguardo, dunque, all’identità del fatto. Sulla questione, poi, di che tipo di specialità si tratti, è pacifico che sia una specialità in astratto unilaterale, sebbene un’interpretazione  minoritaria abbia sostenuto che l’art. 15 opererebbe anche in caso di specialità reciproca bilaterale, per cui le due fattispecie considerate presentano un nucleo comune e ciascuna possiede uno o più elementi specializzanti rispetto all’altra. A ciò si è obiettato che in quest’ultima ipotesi si è al di fuori dall’ambito dell’operatività del criterio di specialità, dal momento che entrambe le norme prevedono elementi specializzanti e non sarebbe possibile determinare quale norma si dovrebbe applicare al fatto. E anche se taluno ha ritenuto di  fare applicazione del criterio della maggiore specialità, nel senso di applicare la norma che prevede più elementi specializzanti, tale ricostruzione non convince, per cui la specialità autentica è solo quella unilaterale.

Ora se è vero che l’art. 15 c.p. è propositivo di un criterio di tipo logico-strutturale, si è anche osservato che questo non può essere esclusivo ed ostativo all’ingresso di ulteriori criteri interpretativi. La dottrina maggioritaria ha così elaborato criteri  regolatori del concorso apparente di norme complementari rispetto a quello di specialità, fondati su un apprezzamento di valore del fatto concreto.

Si è posta l’attenzione sul criterio di sussidiarietà, che verrebbe in rilievo laddove tra le fattispecie astratte sia ravvisabile un rapporto di complementarietà, cosicché la norma sussidiaria può trovare applicazione solo nei casi in cui non possa applicarsi la norma primaria. Peraltro, si ha sussidiarietà tra norme che tutelano diversi gradi di offesa dello stesso bene giuridico.

In queste ipotesi, poi, talvolta si ha proprio l’indicazione espressa di questo principio mediante l’utilizzo nel testo della norma di clausole di riserva, altre volte, invece, all’applicazione di una sola delle norme concorrenti, si perviene attraverso un’operazione interpretativa del fatto.

Altro criterio che viene in rilievo è quello di assorbimento o consunzione, secondo cui quando un fatto previsto da una norma sia compreso nel fatto previsto da un’altra norma, di più ampia portata, che consumi ed esaurisca in sé l’intero disvalore penale dell’altra, troverà applicazione solo la norma assorbente che prevede un trattamento sanzionatorio più grave, poiché la contemporanea applicazione della norma che prevede il reato meno grave genererebbe un ingiusto moltiplicarsi di sanzioni ponendosi in contrasto con il principio del ne bis in idem sostanziale.

L’uso dei criteri diversi ed aggiuntivi volti a perimetrare il concorso apparente, rispetto a quello di specialità, è stato, tuttavia, avversato in giurisprudenza per una serie di ragioni: sia perché tali criteri sono privi di fondamento normativo, dal momento che l’inciso finale dell’art. 15 c.p., “..salvo che sia altrimenti stabilito”, allude probabilmente alle clausole di riserva previste dalle singole norme incriminatrici, e si riferiscono solo a casi determinati, non generalizzabili; sia perché contrasterebbero con il principio di legalità, in specie di tassatività o determinatezza, poiché il referente del giudizio non è una disposizione normativa, ma una valutazione intuitiva del giudice.

Com’è noto, nell’ordinamento penale, il principio di tassatività o determinatezza riguarda l’esatta delimitazione della fattispecie legale: attiene, infatti, alla tecnica di formulazione della norma penale, avendo l’obbligo il legislatore di delineare con sufficiente precisione la disposizione penale in modo da consentire una chiara e precisa comprensione del contesto normativo.

Se, invece, l’applicazione di una norma penale si fa dipendere da incontrollabili valutazioni del giudice, che i criteri di sussidiarietà e consunzione richiedono, è evidente l’incompatibilità col principio di legalità e di tassatività, posta la mancanza di criteri sicuri per stabilire quali e quante fattispecie  siano applicabili.

Peraltro, di recente la CEDU ha precisato che il rispetto del principio di certezza del diritto si deduce dalla prevedibilità del risultato interpretativo cui perviene l’elaborazione giurisprudenziale, che deve racchiudere in sé i caratteri della precisione e della stretta interpretazione, in modo da consentire agli interessati di conoscere i propri diritti e ai giudici di garantirne l’osservanza.

Per cui, il criterio più idoneo a regolamentare il concorso apparente di norme, nel rispetto dei principi di legalità, determinatezza o tassatività,  è quello di specialità, di tipo normativo-stutturale, in grado di giungere ad un risultato interpretativo conforme ad una ragionevole prevedibilità, così come intesa dalla CEDU.

Muovendo da queste coordinate, le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza del 21 gennaio 2011, n. 1963, hanno affrontato la questione riguardante il rapporto tra il reato di cui all’art. 334 c.p. e l’illecito amministrativo ex art. 213 Codice della Strada.

Giova premettere che il concorso di norme tra fattispecie penali e violazioni amministrative è regolato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, che disciplina il principio di specialità, ai sensi del quale se uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa si applica la disposizione speciale.

Posto ciò, nel risolvere la questione del concorso apparente di norme è necessario esaminare la struttura del reato e dell’illecito amministrativo, al fine di verificare l’esistenza o meno di un’area comune e sovrapponibile tra le due condotte.

Nel 334 c.p. vengono in rilievo due ipotesi: quella di cui al co. 1, che può essere commessa solo da chi ha in custodia la cosa e si realizza con le condotte alternative di sottrazione, soppressione, distruzione, dispersione, deterioramento; e quella prevista al co. 2, dove le condotte tipiche descritte al co. 1 sono realizzate dal proprietario che sia anche custode. Dunque l’art. 334 c.p. si caratterizza, rispetto all’ipotesi prevista dal codice della strada, per il fatto che riguarda reati “propri”, commessi esclusivamente dal custode o dal proprietario custode, laddove invece la condotta ex art. 231, co. 4, c.d.s., può essere commessa da “chiunque”. Ma il 213, C.d.s. si caratterizza per il bene sottoposto a vincolo, che non è qualsiasi oggetto ma una res determinata, cioè un veicolo; per il fatto che la condotta elusiva del sequestro è circoscritta ad una peculiare forma di sottrazione (tipica della natura mobile della cosa), nonché per il fatto che il 213, C.d.s. prevede il sequestro dell’autorità amministrativa.

Ciò posto, in giurisprudenza si è registrata una varietà di posizioni. Nell’ambito di quell’orientamento che sostiene che tra le due norme sussista un rapporto di specialità ex art. 9, L. 689/1981, si ravvisa quella ricostruzione che ritiene che tra le fattispecie considerate intercorra un rapporto di specialità bilaterale, e prendendo come guida il criterio della maggiore specialità, in base ad una valutazione quantitativa degli elementi peculiari, giunge ad affermare che la previsione amministrativa è più specifica rispetto all’art. 334 c.p. (Cass. pen., n. 174/2008). Per altra posizione interpretativa, invece, sussiste sì in questa ipotesi una specialità bilaterale, ma non si può concludere per l’apparenza del concorso, posto che questa specialità non è riconducibile all’art. 15 c.p., poiché entrambe le disposizioni sono specializzanti (Cass. pen., n. 2168/2008).

Sul punto le Sezioni Unite della Cassazione, sentenza del 21 gennaio 2011, n. 1963, partendo da una verifica in concreto delle due fattispecie, hanno ritenuto che dal 213, C.d.s. si evince che non ogni condotta prevista dall’art. 334 c.p. integra l’ipotesi di illecito amministrativo, ma esclusivamente la condotta di chi “circola abusivamente”; sicché è opportuno accertare se la circolazione abusiva realizzi anche uno dei fatti tipici descritti nella norma del codice penale. E dalla verifica si ravvisa che, tra le condotte descritte nell’art. 334 c.p., l’unica per la quale può affermarsi una corrispondenza e sovrapposizione tra i fatti descritti nelle due norme è la sottrazione, in base alla considerazione che ogni spostamento non controllabile dal luogo di custodia, integra la condotta di sottrazione, perché il bene è sottratto ai poteri di controllo dell’autorità giudiziaria o dell’autorità amministrativa ed entra nella sfera giuridica dell’utilizzatore, proprietario o custode.

Ritengono, ancora, che il problema non si pone per l’ipotesi di deterioramento: invero, quello di cui all’art. 334 c.p. consiste nell’alterazione della cosa, ove, invece, la circolazione abusiva non determina ciò.

Sicché, seguendo le coordinate del principio di specialità, ai sensi dell’art. 9, co. 1, l. 698/81, qui si configura un concorso apparente, dove l’art. 213, co. 4, c.d.s., è norma unilateralmente speciale, rispetto al 334 c.p., perché contiene tutti gli elementi specializzanti, senza, peraltro, che possa rilevare la diversità dei beni giuridici oggetto di tutela, con la conseguenza che ad essere applicabile  è solo la violazione amministrativa.

 

 

LA SOLUZIONE di CASSAZIONE, Sezioni Unite, 21 gennaio 2011, n. 1963

Alla luce di quanto detto, la Corte afferma che:

1. L‘esame della struttura delle due ipotesi di illecito in considerazione conferma l’ipotesi della sola apparenza del concorso; in particolare questo esame consente di escludere che il concorso di norma possa essere inquadrato nella fattispecie della specialità bilaterale o reciproca. Infatti tutti gli elementi specializzanti qualificanti l’illecito sono contenuti nell’art. 213: la circolazione abusiva e la natura amministrativa del sequestro.

Si tratta di elementi specializzanti per specificazione perchè entrambi sono già ricompresi nella fattispecie tipica dell’art. 334 c.p., e non si aggiungono al fatto descritto nella norma codicistica.

Se la sottrazione si realizza anche con la sola amotio del veicolo questa condotta è prevista dalla norma del codice penale che, sotto il diverso profilo indicato, prevede espressamente anche il sequestro disposto dall’autorità amministrativa.

C’è però, nell’art. 213, un ulteriore elemento specializzante: la circostanza che la violazione amministrativa possa essere commessa da “chiunque” e questo elemento può essere ritenuto specializzante “per aggiunta” (l’illecito può essere commesso – in aggiunta ai soggetti indicati nell’art. 334 c.p. – anche da persone che non hanno quelle qualità).

2. Se così è, la soluzione del quesito proposto è obbligata: gli elementi specializzanti sono tutti contenuti nell’art. 213 C.d.S., comma 4, e dunque questa norma deve essere ritenuta speciale ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, comma 1, (ma lo sarebbe anche con l’applicazione dell’art. 15 c.p.) con la conseguenza che il concorso con l’art. 344 c.p. limitatamente alla condotta di chi circola abusivamente con il veicolo sottoposto a sequestro amministrativo in base alla medesima norma – deve essere ritenuto apparente.

 

 

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