Reati tributari: la natura giuridica delle soglie di punibilità (T. Servetto)

 

REATI TRIBUTARI: LA NATURA GIURIDICA DELLE SOGLIE DI PUNIBILITA’

Tommaso Servetto[*]

 

 

    Il titolo secondo del decreto legislativo 74/2000 è diviso in due capi: il primo è dedicato ai “delitti in materia di dichiarazione”, il secondo ai “delitti in materia di documenti e pagamento di imposte”.

    Il primo capo comprende quattro delitti in materia di dichiarazione fiscale, che portano i titoli seguenti: dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2); dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3); dichiarazione infedele (art. 4); omessa dichiarazione (art. 5).

    I delitti di cui agli artt. 3, 4 e 5 – di cui ci si occupa nella presente trattazione – prevedono delle soglie di punibilità, il cui superamento è condizione necessaria affinché la condotta in essi descritta acquisisca rilievo penale.

 

  I.  La previsione di tali soglie è una novità introdotta dal D.Lgs. 74/2000, che, oltre ad individuare nel momento dichiarativo la consumazione di tali reati, ne ha ancorato la punibilità al superamento di determinate soglie quantitative, dettate dall’esigenza di prevedere dei reati caratterizzati da effettiva e rilevante offensività per gli interessi dell’erario.

   Infatti, ai sensi delle lettere b) e c) dell’art. 9 comma 2 della legge delega 205/1999, la nuova disciplina dei reati tributari avrebbe dovuto “b) prevedere, salvo che per le fattispecie concernenti l’emissione o l’utilizzazione di documentazione falsa e l’occultamento o la distruzione di documenti contabili, soglie di punibilità idonee a limitare l’intervento penale ai soli illeciti economicamente significativi; c) prevedere che le soglie di cui alla lettera b) siano articolate in modo da: 1) escludere l’intervento penale al di sotto di una determinata entità di evasione, indipendentemente dai valori dichiarati; 2) comportare l’intervento penale soltanto quando il rapporto tra l’entità dei componenti reddituali o del volume di affari evasi e l’entità dei componenti reddituali o del volume di affari dichiarati sia superiore ad un determinato valore; 3) comportare, in ogni caso, l’intervento penale quando l’entità dei componenti reddituali o del volume di affari evasi raggiunga, indipendentemente dal superamento della soglia proporzionale, un determinato ammontare in termini assoluti; 4) prevedere nelle ipotesi di omessa dichiarazione una soglia minima di punibilità inferiore a quella prevista per i casi di infedeltà”.

    Nella vecchia disciplina dei reati tributari (legge 516/1982), prevista prima dell’attuale normativa, solo alcune fattispecie erano ancorate a soglie di punibilità, che però facevano riferimento unicamente all’imponibile sottratto.

    Nella disciplina attuale, sono previste soglie di punibilità aventi ad oggetto, da un lato, l’entità dell’imposta evasa e, dall’altro, l’ammontare complessivo degli elementi sottratti all’imposizione.

    Ai sensi dell’art. 1 lett. f) D.Lgs. 74/2000 per “imposta evasa” si intende la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme verste dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine.

    La successiva lett. g) dello stesso articolo stabilisce che le soglie di punibilità riferite all’imposta evasa si intendono estese anche all’ammontare dell’indebito rimborso richiesto o dell’inesistente credito d’imposta esposto nella dichiarazione.

    In forza di quest’ultima precisazione estensiva, dunque, ai fini della valutazione del superamento delle soglie di punibilità, vengono ad essere accomunate l’ipotesi classica dell’imposta evasa con quelle di indebita richiesta di rimborso e di inesistente esposizione di credito d’imposta.

   Per i primi due reati suindicati – artt. 3 e 4 – la legge richiede il superamento congiunto di entrambe le soglie, ai fini della configurazione di una penale responsabilità in capo all’evasore, mentre per il reato di cui all’art. 5 è previsto unicamente il superamento di un limite di imposta evasa.

   Conformemente al disposto normativo, quindi, il superamento delle soglie di punibilità deve essere congiunto (salvo che nel caso del reato di cui all’art. 5 che indica la sola imposta evasa), riferito ad ogni imposta considerata singolarmente e ad ogni singolo anno d’imposta.

   

    II. Analizziamo ora l’entità di tali soglie in relazione a ciascuno dei delitti in questione.

    Al riguardo si osserva preliminarmente come le soglie di punibilità risultino più o meno elevate a seconda della maggiore o minore carica lesiva dei fatti integranti i diversi reati di dichiarazione.

    Per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3) – che punisce l’alterazione delle scritture contabili obbligatorie mediante l’impiego di mezzi fraudolenti diversi da fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – sono contemplate due soglie di punibilità: la prima impone il superamento di euro 77.468,53 di evasione per taluna delle singole imposte (restandone così escluso il cumulo); la seconda tiene invece conto del complesso degli elementi attivi sottratti all’imposizione ed esige che il loro ammontare, apprezzato con criterio proporzionale, superi almeno del 5% tale complesso o, alternativamente, la cifra di 1.549.370,70 euro.

    Per effetto della modifiche introdotte con la manovra di stabilizzazione di luglio 2011, le soglie predette sono state abbassate, rispettivamente, ad euro 30.000,00 (imposta evasa) e ad euro 1 milione (ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione).

    L’ipotesi di dichiarazione infedele (art. 4) – che punisce la semplice dichiarazione non rispondente al vero non accompagnata da alcun mezzo fraudolento, ma comunque lesiva di interessi dell’erario – esige che l’entità dell’evasione, pur se per taluna soltanto delle singole imposte, superi la soglia dei 103.291,38 euro e, insieme, che l’ammontare complessivo del passivo sottratto all’imposizione sia superiore al 10% del complesso degli elementi attivi rappresentati, o comunque a 2.065.827,60 euro.

    Anche per questo reato la manovra di luglio ha previsto modifiche analoghe a quelle apportate alle due fattispecie considerate in precedenza: ora è sufficiente che sia evasa un’imposta pari ad euro 50.000,00 e che l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione fiscale sia superiore a 2 milioni di euro.

    L’ultimo dei reati in materia di dichiarazione (art. 5) – che sanziona l’omessa presentazione delle dichiarazioni annuali relative ad imposte – richiede che l’imposta evasa sia  superiore a 77.468,53 euro, soglia che, a seguito della manovra di luglio, è stata abbassata a 30.000,00 euro.

    Il complessivo abbassamento delle soglie punibilità, attuato con la riforma normativa di luglio 2011 – oltre a richiedere uno sforzo mnemonico inferiore a chi si trovi ad operare con le norme in questione – determina un notevole ampliamento dell’area del penalmente rilevante, in uno spirito di maggiore persecuzione dell’evasore fiscale.

 

    III. Tali modifiche, tuttavia, non forniscono alcuna soluzione né alcun elemento di valutazione ulteriore rispetto alla questione, da tempo controversa, della natura giuridica delle soglie di punibilità stesse.

    Si è discusso a lungo sulla natura giuridica di tali soglie, concepite da alcuni come presupposto della condotta, da altri come condizioni di punibilità, da altri ancora, come elementi costitutivi del fatto.

    La soluzione a tale quesito, lungi dall’essere una questione di interesse esclusivamente teorico, determina, a seconda della scelta che si intende adottare, importanti conseguenze in ordine sia all’individuazione del bene giuridico oggetto di tutela, sia alla definizione del contenuto del dolo.

   Non riproposta – ed anzi esclusa – l’opinione che si era avuta nella vigenza della legge 516/1982, allorché alcuni avevano valutato le soglie di punibilità ivi previste quale presupposto della condotta (L. STORTONI “La nuova disciplina dei reati tributari” 1983), la dottrina si è sostanzialmente divisa in due posizioni.

    L’opinione che ha ricevuto maggiori consensi[†] – di recente sostenuta anche da F. ANTOLISEI in “Manuale di diritto penale – Leggi complementari, Vol. II “ 2008 – considera le soglie di punibilità quali elementi costitutivi del reato, in quanto il loro superamento è il diretto risultato dell’azione posta in essere e voluta – come preteso dal necessario dolo di evasione – dal soggetto attivo.

   Questa definizione ha una portata pratica di grande rilevanza.

   Sulla base di essa, anzitutto, i reati in esame sono di evento e di danno patrimoniale, essendo necessario per la loro consumazione che si sia verificato l’evento dell’avvenuta evasione d’imposta nella misura minima indicata nelle singole norme.

   Il bene giuridico protetto si identifica, in modo del tutto innovativo rispetto al passato, nella tutela degli interessi patrimoniali dello Stato, la cui diretta lesione è elemento costitutivo del reato.

   In quanto elementi costitutivi del reato, poi, le soglie di punibilità devono essere investite dal dolo.

   Tale opinione trova conferma nella stessa Relazione Governativa al DLgs 74/2000, la quale afferma testualmente che le soglie di punibilità sono “da considerarsi alla stregua di elementi costitutivi del reato e, in quanto tali, debbono essere investiti dal dolo”.

    Altra parte della dottrina[‡], invece, sostiene che tali soglie rappresentino condizioni obiettive di punibilità di natura estrinseca, così come prevista dall’art. 44 CP, trattandosi di un elemento che si pone al di fuori del fatto e che è stato utilizzato dal legislatore per selezionare le omissioni più gravi, con riferimento non già al bene direttamente protetto, ma all’oggetto finale della tutela.

    In tale ambito, allora, la previsione di una condizione obiettiva di punibilità che presuppone un reato già perfetto e già  espresso nel suo disvalore, fa’ sì che l’oggetto giuridico principale ed immediato della tutela continui ad essere individuato, come nel passato – seppure con un filtro di natura oggettiva che evita di perseguire indiscriminatamente tutti i comportamenti omissivi ed infedeli – nella cosiddetta trasparenza fiscale e/o funzione di accertamento.

    Da ciò deriva anche l’inquadramento di tali delitti non già nella categoria dei reati di evento, ma in quella dei reati di pericolo, sostanzialmente concreto, non richiedendo gli elementi costitutivi delle singole fattispecie l’intervenuta lesione dell’interesse patrimoniale dello Stato all’esatta percezione dei tributi.

    Ne consegue che tali soglie non devono essere investite dal dolo né da alcun coefficiente psichico, dovendosi valutare le stesse solo obiettivamente.

    Tale opinione si fonda sulla considerazione che, di regola, le norme tributarie prevedono che il momento del pagamento del tributo preceda quello della dichiarazione (G.L. SOANA, op. cit) e, pertanto, l’evento della fattispecie va inquadrato nell’evasione, mentre le soglie si collocano al di fuori della cerchia degli elementi costitutivi del reato, come dato numerico di determinazione matematica.

    L’adesione alla prima o alla seconda impostazione comporta, comunque, significative conseguenze ai fini dell’applicazione delle fattispecie e dell’accertamento dell’elemento soggettivo.

    Nell’ipotesi in cui le soglie vengano qualificate elementi costitutivi della fattispecie, sarà necessario provare la sussistenza del dolo anche in relazione ad esse: si tratterebbe di una tipizzazione legale di soglie specifiche di potenzialità dannosa, esse stesse oggetto di dolo, del tutto innovativa rispetto al passato.

    Qualora,invece, le si ritenesse condizioni obiettive estrinseche di punibilità, esterne alla struttura del reato ed al suo contenuto offensivo, ne deriverebbe l’estraneità anche all’elemento soggettivo, per cui non occorrerebbe dimostrare che l’autore ha agito con la consapevolezza che con il suo comportamento avrebbe superato tali soglie.

    Una prima pronuncia della Giurisprudenza di legittimità in materia (Cass. Pen. Sez. III, sent. 7589 del 03.07.2000), ponendosi in aperto contrasto con quanto indicato dalla Relazione Governativa sopra riportata, definiva le soglie di punibilità in questione come “condizioni di punibilità come tali esterne agli elementi costitutivi del fatto criminoso e, quindi, non oggetto della colpevolezza”.

    Di poco successiva è la pronuncia con cui la stessa Sezione della Corte ha rilevato che la precedente affermazione è contrastata dalla chiara lettera delle norme in questione, poiché prevedono “la indefettibile sussistenza di un dolo specifico (costituito dal) …perseguimento dello scopo di evasione, attuato mediante il raggiungimento di una soglia quantitativa che sia stata oggetto di previa volizione e rappresentazione da parte del soggetto“ (Cass. Pen. Sez. III, sent. 10346 del 29.09.2000).

    A risolvere il contrasto fra queste due pronunce, di poco successive all’entrata in vigore del D.Lgs 74/2000, sono intervenute le Sezioni Unite, che, nell’escludere un rapporto di continuità normativa fra le due fattispecie di cui all’art. 1 comma 1 L. 516/1982 ed all’art. 5 D.Lgs 74/2000 – stante l’introduzione nell’ultima di esse di elementi costitutivi di fattispecie non presenti nella disciplina previdente – hanno qualificato implicitamente le soglie di punibilità introdotte con la riforma 74/2000 come elementi costitutivi del reato (Cass. Pen. S.U. n. 35 del 13.12.2000).

     Tale impostazione è stata mantenuta dalla pressoché costante Giurisprudenza successiva (Cass. Pen. Sez. III n. 26942 del 04.07.2001, Cass. Pen. Sez. III n. 38127 del 25.09.2001, Cass. Pen. Sez. III n. 13641 del 10.04.2002, Cass. Pen. Sez. III, 25/01/2005, n. 1994, Cass. Pen. Sez. III, sent. 6087 del 07.02.2008).

       Il secondo indirizzo, sostenuto da dottrina e giurisprudenza minoritarie, è stato di recente riproposto dalla Suprema Corte che, richiamandosi all’unico precedente conforme rilevato in materia (Cass. Pen. Sez. III, sent. n. 15164/2003), ha compiuto una vera e propria inversione di rotta, stabilendo che: “la soglia di punibilità contemplata dal Legislatore per il delitto di omessa dichiarazione non rientra tra gli elementi costitutivi del reato, in quanto è una condizione obiettiva di punibilità. Di conseguenza, deve essere rigettato l’assunto della difesa dell’imputato, secondo cui avrebbe dovuto essere accertato “se l’imputato avesse avuto non solo l’intenzione di evadere, ma di evadere oltre una certa quantità” (Cass. Pen. Sez. III, 26/05/2011, n. 25213).

    Trattasi di pronuncia isolata che, benché intervenuta in tempi molto recenti, non può considerarsi una soluzione definitiva alla questione sin qui esposta.

   IV.  A parere di chi scrive, deve ritenersi tuttora maggiormente condivisibile l’impostazione che ravvisa nelle soglie di punibilità altrettanti elementi costitutivi del reato, per le seguenti ragioni:

a)       In primo luogo, lo stesso tenore letterale delle disposizioni incriminatrici in cui tali soglie sono inserite porta a ritenere che esse, così come gli altri elementi costitutivi, debbano essere investite dal dolo di fattispecie, rappresentato dalla volontà di evadere oltre certi limiti quantitativi, contribuendo così a definire la specificità dell’elemento soggettivo e la rilevanza concreta dell’offesa;

b)       In secondo luogo, se il legislatore avesse voluto intendere le soglie quantitative in questione come condizioni di punibilità ex art. 44 CP, avrebbe potuto formulare diversamente le norme di fattispecie di cui trattasi, prevedendo, ad esempio, che sia “punito chi non presenta una delle dichiarazioni annuali nell’ipotesi in cui venga accertata un’imposta evasa superiore ad € 30.000,00”;

c)       Insuperabile, poi, appare l’argomento rappresentato dalla relazione governativa di accompagnamento al D.Lgs. 74/2000, che puntualizza espressamente come “il delitto resti integrato (…) solo quando la falsa indicazione in dichiarazione degli elementi attivi o passivi porti al superamento congiunto di due soglie (da considerarsi alla stregua di altrettanti elementi costitutivi del reato e che, in quanto tali, debbono essere investiti dal dolo)”;

d)       La tesi secondo cui le soglie di punibilità rivestono il ruolo di elementi costitutivi del reato e devono pertanto essere “coperte” dal dolo è, altresì, conforme al criterio interpretativo del favor rei, che rappresenta un principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico;

e)       Da ultimo, si osserva come, qualora dovesse adottarsi la tesi contraria, che definisce le soglie quantitative come “condizioni obiettive estrinseche di punibilità”, si dovrebbe individuare nell’accertamento il momento di consumazione del reato – in palese contrasto con quanto previsto dallo stesso D.Lgs. 74/2000, che fissa tale momento all’atto della dichiarazione –  con evidenti effetti distorsivi sul piano del computo dei termini di prescrizione.

 


[*] Il presente contributo costituisce la Relazione dell’Avvocato Tommaso Servetto alla riunione dei soci del Centro di Diritto Penale Tributario del 13.12.2011

[†] TRAVERSI-GENNAI, I nuovi delitti tributari; CARACCIOLI, Il dolo nei delitti in materia di dichiarazione, 2001; VENEZIANI, commento all’art. 3 in AA.VV. Diritto e procedura penale tributaria, 2001; CAROTENUTO, L’imposta evasa: una svolta nel sistema penale tributario, 2003; G.L.SOANA, I reati tributari, 2009.

[‡] CERQUA, Sulla natura giuridica delle soglie di punibilità nei delitti in materia di dichiarazione, 2001; PROCIDA-BOSIZIO, Nuovi reati in materia di dichiarazione e bene giuridico protetto, 2002; CARTONI, Natura giuridica della soglia di punibilità e sue conseguenze pratiche, 2002; RISPOLI-BUSATO, Reati tributari – Percorsi giurisprudenziali, 2007.

 

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