Accusa il dirigente di collusione con la mafia ma non può provarlo: è diffamazione? Cassazione, sez. V, 5 gennaio 2012, n. 87

ACCUSA IL DIRIGENTE DI COLLUSIONE CON LA MAFIA MA NON PUÒ PROVARLO: È DIFFAMAZIONE?

Cassazione, sez. V, 5 gennaio 2012, n. 87

(Pres. Colonnese – Rel. Marasca)

 

 

Ritenuto in fatto e considerato in diritto osserva

1.1 Ad A.G. , consigliere comunale e rappresentante di (omissis) , veniva contestato di avere diffamato V.F. , all’epoca dirigente del servizio urbanistica e lavori pubblici del comune della predetta città, per averlo definito colluso con la mafia locale in un manifesto pubblicato nel 2004, in un capitolo del libro (omissis) pubblicato insieme a F.D. ed in una intervista ad una televisione locale, XXXXXXXX.

1.2 Il tribunale di Agrigento, con sentenza del 29 ottobre 2008, condannava l’A. alla pena ritenuta di giustizia ed anche al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, patiti dalla parte civile per la pubblicazione del manifesto, non essendovi alcun elemento che potesse fare ritenere il V. colluso con ambienti mafiosi e non essendo stata rispettata la continenza espressiva, mentre lo assolveva dalle altre due imputazioni, essendosi avvalso l’A. dell’esercizio del diritto di critica.

1.3 A seguito delle impugnazioni del Pubblico Ministero per le due assoluzioni e dell’A. per il capo per il quale era intervenuta condanna, la corte di appello di Palermo, con decisione del 15 novembre 2010, confermava l’affermazione di responsabilità dell’A. per la pubblicazione del manifesto, condannava, altresì, l’imputato per la pubblicazione del libro (omissis) perché di contenuto sostanzialmente identico al manifesto, che, peraltro, veniva allegato al libro stesso e confermava l’assoluzione dell’imputato per le dichiarazioni rese nel corso della intervista televisiva non contenendo le stesse frasi diffamatorie.

2.1 Con il ricorso per cassazione A.G. ripercorreva l’iter del procedimento indicando le ragioni che avevano portato alla sua giusta assoluzione per la pubblicazione del libro ed alla ingiusta condanna per la pubblicazione del manifesto e poneva in evidenza che le due pubblicazioni avrebbero dovuto subire la stessa sorte essendo identico il contenuto. Censurava poi il fatto che il tribunale non avesse voluto escutere i testimoni indicati, che avrebbero potuto riferire in ordine alla fondatezza delle accuse. Ricordava, infine, che per il manifesto vi era stato altro processo penale iniziato su querela dell’ex sindaco P. conclusosi con la assoluzione dell’A. .

2.2. Tanto premesso l’A. deduceva i seguenti motivi di impugnazione:

1) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al capo A) – pubblicazione libro (omissis) – per avere la sentenza impugnata travisato elementi di prova valorizzati, invece, dalla sentenza di primo grado e non avere tenuto conto della sentenza assolutoria in relazione alla querela del P. ;

2) la violazione degli artt. 495, comma II, cod. proc. pen. e 51 cod. pen. per non avere il giudice di primo grado e poi la corte di merito ammesso i testi indicati dalla difesa per provare la veridicità dei fatti indicati nel libro (omissis) e nel manifesto;

3) la violazione degli artt. 51 e 595 cod. pen. per il mancato riconoscimento della scriminante dell’esercizio del diritto di critica.

3.1. In data 12 settembre 2011 la parte civile V.F. depositava memoria difensiva con la quale contestava i motivi di ricorso, che definiva generici e, pertanto, inammissibili, oltre che manifestamente infondati; la parte civile, inoltre, poneva in evidenza che da tutti i procedimenti penali a suo carico per abuso in atti di ufficio, iniziati a seguito delle denunce dell’A. , era stato assolto previa rinuncia alla prescrizione, salvo che da uno che non era ancora pervenuto a sentenza.

4.1. I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da A.G. non sono fondati.

4.2. Preliminarmente va detto che è stata rigettata una istanza di rinvio della odierna udienza presentata dal difensore del ricorrente affetto da otalgia acuta con vertigini, avendo ritenuto la Corte che siffatto inconveniente non potesse costituire assoluto impedimento a comparire.

Trattasi, inoltre, di reati commessi nell’oramai lontano 21 luglio 2004 con prossima scadenza del termine prescrizionale – 21 gennaio 2012. Sia pure preannunciata non è pervenuta alla Corte la formale rinuncia alla prescrizione dell’imputato.

4.3. Il ricorso appare singolare perché, dopo una lunga premessa che ha illustrato l’iter del procedimento ed ha illustrato ampiamente le ragioni di critica alla decisione di primo grado per la condanna relativa alla pubblicazione del manifesto e quelle di plauso per l’assoluzione in relazione alla pubblicazione del libro (omissis) , si è brevemente soffermato sulla indicazione delle ragioni delle censure mosse alla sentenza di secondo grado, che aveva in parte ribaltato i risultati di quella del primo giudice.

Cosicché, a ben vedere, i motivi di ricorso appaiono privi della specificità necessaria per superare il vaglio di legittimità.

4.4. In ogni caso, prescindendo da tale, pur corretto, rilievo, va detto che i motivi di impugnazione sono infondati.

Il ricorrente pone a fondamento delle sue censure una considerazione giusta e condivisibile, che, peraltro, questa corte ha ribadito in più di una occasione: la critica all’esercizio dei pubblici poteri deve essere ampia e penetrante perché i cittadini debbono poter conoscere il funzionamento della cosa pubblica e formarsi una opinione corretta sui fatti che si verificano.

La conoscenza, la critica e la discussione di fatti di pubblico interesse arricchiscono certamente la nostra democrazia.

E la Suprema Corte ha, altresì, ricordato che più elevato è l’incarico di responsabilità pubblica ricoperto, più si è esposti, per ragioni troppo ovvie per essere ripetute in questa sede, a legittime critiche.

Tuttavia, sempre la Suprema corte, ha ricordato che la critica non deve mai trasmodare in attacchi personali e deve sempre essere rispettosa dei criteri della verità dei fatti che costituiscono il presupposto della critica, della continenza espressiva e, ovviamente, dell’interesse pubblico per i fatti raccontati – esercizio del diritto di cronaca – e criticati.

4.5 Orbene che l’ingegner V. potesse essere oggetto di critica per l’esercizio della sua azione amministrativa è fuori contestazione, dal momento che all’epoca dei fatti era il dirigente dei due servizi più importanti del comune di (omissis).

Ed, infatti, i giudici del merito non hanno mai messo in discussione siffatta possibilità, tanto più che l’A. , in quanto consigliere di minoranza del comune di (omissis) e rappresentante di una importante organizzazione ambientalista, aveva il dovere di prestare attenzione all’esercizio della attività amministrativa e di, eventualmente, criticarla, anche pesantemente, ove avesse ravvisato irregolarità o addirittura comportamenti penalmente rilevanti.

4.6. Di tali indirizzi e principi la corte di merito ha tenuto correttamente conto pervenendo ad una sentenza di condanna dell’A. semplicemente perché i necessari presupposti, dinanzi ricordati, che rendono la critica, anche aspra, legittima non sussistevano nel caso di specie.

Senza riportare tutte le considerazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata, sarà sufficiente ricordare che i giudici hanno posto in evidenza che l’A. non era mai stato coinvolto in processi di mafia, né in processi di tangenti, ma esclusivamente in alcuni processi per abuso in atti di ufficio, tutti sorti su denunce dell’A. e, a quanto pare, tutti risoltisi, salvo uno che sembra ancora pendente, con l’assoluzione dell’imputato, che aveva rinunciato alla prescrizione.

Orbene in siffatta situazione affiggere un manifesto intitolato Via dal comune i collusi con la mafia ed additare il V. come soggetto imbroglione ed autore di reati di ogni tipo e genere che aveva asservito la sua attività amministrativa agli interessi mafiosi non può essere ritenuto lecito.

Colluso con la mafia significa operare a favore degli interessi della organizzazione criminale e nel caso di specie, ha rilevato la corte di merito, e del resto anche il primo giudice a proposito della pubblicazione del manifesto, non vi era alcun elemento non solo per ritenere, ma neppure per ipotizzare una tale grave accusa.

Tanto più che l’indagine (omissis) , aveva coinvolto numerose ed importanti persone rivestenti cariche pubbliche, ma non aveva affatto coinvolto il V. . Ovvia e logica la conclusione della corte di merito che non era stato rispettato il criterio della verità del fatto sottoposto a critica.

Appare poi superfluo soffermarsi sulla ritenuta incontinenza espressiva, essendo sufficiente il rinvio alle frasi utilizzate per la compilazione del manifesto e del libro e dinanzi sommariamente richiamate; sarà sufficiente ricordare che tra l’altro il V. veniva indicato tra coloro che si sono dedicati a fare mercato dei pubblici poteri, a porre in essere imbrogli innaffiati da presunte tangenti, hanno fatto mercimonio dei doveri di ufficio ecc. ecc..

4.7. Ma, ha osservato il ricorrente con il primo motivo di ricorso, la corte di merito ha travisato i fatti e non ha considerato che l’A. in un processo di diffamazione su querela dell’allora sindaco di (OMISSIS) P. era stato assolto sostanzialmente dalle stesse accuse.

Ora, pur volendo prescindere dalla evidente genericità della deduzione, va detto che il c.d. travisamento, che deve sempre tradursi in un vizio della motivazione, secondo gli schemi puntualmente indicati in numerose sentenze da questa Corte, non è rinvenibile, dal momento che la corte di merito in modo puntuale ha indicato i fatti oggetto del giudizio ed ha formulato le sue valutazioni sorrette da una motivazione, che è già stata ricordata e richiamata, immune da manifeste illogicità.

Quanto alla assoluzione per la pretesa diffamazione al P. , va detto che si tratta di cosa del tutto diversa perché, almeno a leggere il manifesto, che questa Corte può conoscere perché indicato nei capi di imputazione, il P. non era stato accusato di essere colluso con la mafia, ma di avere scelto male i suoi dirigenti; cosa, pertanto, del tutto diversa.

In ogni caso si tratta di altra vicenda processuale che nessuna attinenza ha con quella oggetto del presente giudizio.

È poi appena il caso di ricordare che la condanna per la pubblicazione del libro è fondata sugli stessi presupposti di quella del manifesto e la corte territoriale ha anzi ricordato che al libro, che conteneva le stesse accuse del manifesto, era proprio allegato quest’ultimo.

Una differente soluzione per i due capi di imputazione appariva, perciò, del tutto irragionevole.

4.8. Infondato è anche il secondo motivo di impugnazione con il quale l’A. si è lamentato di una prova testimoniale, non ammessa dai giudici di merito, con la quale intendeva provare i misfatti del V. . I giudici di merito hanno disatteso la richiesta perché la prova non è stata ritenuta conferente con l’oggetto del giudizio. La decisione non merita critiche in punto legittimità.

Ed, infatti, le prove richieste, in modo puntuale riportate nel ricorso, mirano a provare presunte irregolarità amministrative commesse dal V. , peraltro, come si diceva, oggetto di denunce dell’A. , che hanno originato processi che, a quanto pare, sono stati definiti con soddisfazione dell’A. , ma non già il fatto che la parte civile fosse in combutta con gli interessi mafiosi, che costituisce, come è evidente, anche per il rilievo datone dal ricorrente che ha intitolato il manifesto proprio collusi con la mafia, l’accusa di maggiore portata diffamatoria.

Anche a volere ammettere di potere provare una qualche irregolarità qualificabile abuso, ma di ciò è allo stato lecito dubitare, tenuto conto di quanto emerge dalla sentenza di secondo grado, non è assolutamente lecito qualificare mafioso o colluso con la mafia chi di tale irregolarità amministrativa si sia macchiato. Inoltre i giudici di merito hanno ritenuto, e correttamente come si è detto, che vi sia stata incontinenza espressiva, ovvero che la critica si sia trasformata in un deliberato attacco ad hominem; ebbene anche considerando tale profilo la prova richiesta è, evidentemente, del tutto inconferente.

4.9. Infine infondato è il terzo motivo di ricorso per tute le ragioni esposte mancando i presupposti necessari per ritenere legittimo l’esercizio del diritto di critica.

5.1 Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento ed a rifondere le spese di parte civile liquidate in complessivi Euro2.100,00, oltre accessori come per legge.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla rifusione delle spese di parte civile liquidate in complessivi Euro 2.100,00, oltre accessori come per legge.

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