Preliminare. L’abitazione promessa in vendita ha una destinazione diversa: il contratto è valido? Cassazione, sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 409

PRELIMINARE. L’ABITAZIONE PROMESSA IN VENDITA HA UNA DESTINAZIONE DIVERSA: IL CONTRATTO È VALIDO?

Cassazione, sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 409

 

Ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 cod. civ. come della risoluzione, non è sufficiente l’inadempimento ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto della effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva dello stesso

 

 

Cassazione, sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 409

(Pres. Felicetti – Rel. Magliucci)

 

Fatto e diritto

È stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata alle parti:

“1. I..V. conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Lucca sezione distaccata di Viareggio M.T..B. per sentire accertare l’inadempimento della convenuta al contratto preliminare con il quale quest’ultima gli aveva promesso in vendita un unità immobiliare con destinazione abitativa, con la condanna della medesima al pagamento del doppio della caparra.

Faceva presente che, dalla documentazione consegnata all’acquirente e dalle indagini da quest’ultimo effettuate al momento in cui doveva stipularsi il definitivo, era risultato che l’immobile aveva la destinazione di sottotetto e ripostiglio con servizi igienici e non era abitabile, sicché l’immobile non aveva le caratteristiche pattuite.

La convenuta resisteva sostenendo che l’immobile fosse abitabile e che, per mero errore materiale degli elaborati grafici, nel provvedimento amministrativo – suscettibile di semplice correzione – era stata indicata una destinazione diversa.

Il tribunale accoglieva la domanda con sentenza che era riformata in sede di gravame in cui – premesso che l’immobile avesse caratteristiche idonee alla commerciabilità, che la documentazione urbanistica era affetta da un mero errore materiale suscettibile di correzione e che in effetti era stato successivamente corretto in breve tempo – era esclusa la gravità dell’inadempimento della promittente venditrice, inadempimento consistito nel non avere fornito al promissario acquirente idonea documentazione attestante la destinazione abitativa pattuita.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi V.I. .

Ha resistito l’intimata.

2. Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376,380 bis e 375 cod. proc. civ., essendo manifestamente infondato.

Il primo motivo, lamentando violazione del principio di corrispondenza fa chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. cod. proc., deduce che la sentenza – nel ritenere che la sanatoria consegnata all’attore successivamente alla data del 28-2-2002 (stabilita per la stipula del definitivo) era idonea a rendere commerciabile l’immobile come civile abitazione – aveva posto a base della decisione un’ eccezione in senso stretto che la convenuta non aveva sollevato, posto che la medesima aveva sempre sostenuto un fatto diverso ovvero che l’immobile aveva i requisiti di civile abitazione sulla base della documentazione amministrativa consegnata alla data del 28-2-2002: la convenuta non aveva mai eccepito la non essenzialità del termine ovvero che il V. le avrebbe dovuto concedere una proroga per ottenere una nuova sanatoria.

Il secondo motivo denuncia la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata laddove, dopo avere ritenuto che l’immobile non era commerciabile per civile abitazione e che la documentazione consegnata al promissario impediva di vendere l’immobile, aveva affermato che la concessione era sanabile con una semplice procedura, escludendo per tale ragione la gravità dell’inadempimento che poi peraltro riteneva tale per non essersi la promittente venditrice offerta o attivata per ottenere prima della causa la correzione dell’errore. Ma, a questo punto, sarebbe stata la convenuta a dovere chiedere la proroga del termine fissato per la stipula e a doversi attivare : il che non fece ma inviò una diffida ad adempiere, sicché correttamente l’attore manifestò il recesso perché la convenuta non si offrì di correggere la sanatoria.

Il terzo primo motivo, lamentando violazione dell’art. 1218 cod. civ., deduce che, a stregua della condotta posta in essere dalla convenuta, i Giudici avrebbero dovuto applicare i principi in materia di responsabilità contrattuale essendo emerso l’inadempimento della medesima, senza che fosse necessario verificare l’essenzialità del termine pattuito, sicché legittimo fu il recesso dell’attore.

I motivi – che, essendo strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente – vanno disattesi.

a) Nella specie, l’azione di recesso dal contratto proposta dal’attore era fondata sull’inadempimento (fatto costitutivo), che sarebbe consistito nella mancanza delle caratteristiche dell’immobile pattuite a stregua della documentazione urbanistica consegnata all’attore: rientrava nei poteri officiosi del giudice verificare, come ha per l’appunto fatto la sentenza impugnata, l’esistenza e la gravità dell’inadempimento posto a base della domanda e che era stato contestato dalla convenuta, non essendo evidentemente in alcun modo vincolante il tenore di quelle che erano state le difese dalla medesima formulate e che sono state peraltro soltanto in parte considerate valide.

Occorre al riguardo ricordare che eccezioni non rilevabili d’ufficio sono solo quelle in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. 12353/2010).

b) non sussiste la dedotta contraddittorietà della motivazione, atteso che secondo quanto accertato dai Giudici l’immobile aveva le caratteristiche pattuite avendo nella sostanza la destinazione abitativa ma che la documentazione consegnata all’attore non era rispondente a tale situazione : peraltro, la sentenza ha chiarito che tale non corrispondenza era il frutto di un mero errore materiale rilevabile dall’esame della stessa documentazione (quindi dallo stesso promissario acquirente) e suscettibile di correzione che poteva essere ottenuta – come successivamente fu effettivamente ottenuta – nel giro di un mese dalla relativa istanza.

Coerentemente, da tali premesse la sentenza ha escluso che l’inadempimento addebitabile potesse individuarsi nella mancanza della destinazione abitativa pattuita; ha, invece, ritenuto che la condotta ascrivibile alla convenuta fosse quella relativa alla mancata regolarizzazione della documentazione urbanistica e, per tale ragione, ha considerato non grave l’inadempimento precisando che sarebbe stato, invece, grave ove l’immobile effettivamente non avesse avuto la destinazione pattuita ma quella di sottotetto e ripostiglio;

c) ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 cod. civ. come della risoluzione, non è sufficiente l’inadempimento ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto della effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva dello stesso; la sentenza impugnata, attenendosi a tali principi, ha compiuto tale valutazione e a tal fine ha proceduto alla (necessaria) verifica circa la natura non essenziale del termine pattuito per il definitivo (il cui accertamento è riservato all’indagine del giudice di merito che deve compierlo alla stregua della interpretazione della volontà negoziale), avendo ritenuto che la proroga dei termini per la stipula del definitivo, necessaria per la regolarizzazione della documentazione urbanistica – da definirsi in tempi rapidi e in quello spirito di cooperazione che deve ispirare il comportamento dei contraenti alla luce del principio della buona fede al quale i Giudici hanno evidentemente inteso riferirsi – non avrebbe potuto fare venir meno l’interesse del promissario acquirente all’esecuzione del contratto.

Le doglianze si risolvono nella censura della valutazione circa la non scarsa importanza del’inadempimento che ha a oggetto un accertamento di fatto riservato al giudice di merito”.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.

Vanno condivise le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione, non potendo ritenersi meritevoli di accoglimento i rilievi formulati dai ricorrenti con la memoria illustrativa atteso che gli stessi non sono idonei a scalfire le considerazioni di cui alla relazione.

Il ricorso va rigettato.

Tenuto conto della peculiarità della vicenda processuale e che la convenuta è stata pur sempre riconosciuta inadempiente anche se tale inadempimento è stato considerato di gravità tale non ritenere legittimo il recesso manifestato dall’attore, le spese della presente fase possono compensarsi fra le parti.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Compensa spese

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