L’avvocato sottrae un atto da un fascicolo processuale: scatta la perquisizione nello studio ed il sequestro probatorio di tutti i documenti cartacei e digitali Cassazione, sez. I, 25 gennaio 2012, n. 3126

L’AVVOCATO SOTTRAE UN ATTO DA UN FASCICOLO PROCESSUALE: SCATTA LA PERQUISIZIONE NELLO STUDIO ED IL SEQUESTRO PROBATORIO DI TUTTI I DOCUMENTI CARTACEI E DIGITALI

Cassazione, sez. I, 25 gennaio 2012, n. 3126

(Pres. Chieffi – Rel. Caiazzo)

 

 

Ritenuto in fatto

L. E., avvocato con studio sito in (omissis) , veniva indagato dalla Procura della Repubblica di Pordenone per i delitti di furto aggravato e di occultamento di due documenti (un verbale di s.i.t. reso da B.C. il 18.12.2009 e una missiva del P.M. al capo dell’ufficio della Procura) sottratti in data 13.3.2010 da un fascicolo processuale che aveva chiesto di esaminare, in qualità di imputato, al fine di proporre opposizione a un decreto penale di condanna nei suoi confronti emesso dal GIP del Tribunale di Pordenone per il delitto di cui all’art. 494 c.p..

In data 29.4.2010 veniva effettuata, in esecuzione di decreto della suddetta Procura della Repubblica, una perquisizione nello studio e in altri luoghi nella disponibilità del L. e della di lui moglie C.S. , anch’essa esercente la professione di avvocato, al fine di reperire i suddetti documenti e veniva sequestrata una copia, su carta intestata dello studio del L. , di uno dei suddetti documenti (la nota del P.M. diretta al Procuratore della Repubblica) che, sulla base delle risultanze delle indagini, il L. non poteva legittimamente possedere.

La Procura della Repubblica disponeva su detta copia una consulenza tecnica con la quale accertava che la stessa era stata formata mediante l’uso di un computer capace di controllare uno scanner digitale ed una stampante laser.

Sulla scorta del risultato della suddetta consulenza, la Procura della Repubblica disponeva con decreto in data 24.5.2010, eseguito in data 25.5.2010, una nuova perquisizione del suddetto studio professionale al fine di rinvenire e sequestrare “atti (anche in forma elettronica a seguito di scannerizzazione dell’originale sottratto) sottratti dal fascicolo (omissis) ” con conseguente sequestro “di quanto (materiale cartaceo e non) presente presso lo studio sito in (omissis) e ciò al fine di consentire l’esame completo, anche con più accessi in tempi successivi”, disponendo che quanto sequestrato venisse custodito presso il medesimo studio che sarebbe stato temporaneamente sigillato, ad eccezione dei computers, dei collegamenti ad Internet e dei supporti elettronici, dei quali si disponeva la custodia nei locali della Procura della Repubblica al fine di sottoporli ad ulteriore consulenza tecnica.

Nel corso delle operazioni veniva sequestrato materiale informatico, indicato in tre elenchi allegati al verbale di sequestro, materiale che è stato portato nella Procura della Repubblica, mentre il restante materiale cartaceo è rimasto all’interno dello studio del L. , che veniva sigillato.

Dopo i predetti atti, la Procura ha chiesto al GIP di procedere con incidente probatorio a perizia, volta a ricercare la presenza di files, anche cancellati, relativi all’acquisizione in formato elettronico dei documenti asportati.

L.E. e C.S. impugnavano davanti al Tribunale del riesame di Pordenone il suddetto sequestro, che però veniva confermato dal predetto Tribunale con ordinanza in data 12.6.2010.

La Corte di Cassazione con sentenza in data 10.12.2010, sul ricorso del L. e della C. , dichiarava inammissibile il ricorso di quest’ultima e annullava l’impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale per nuovo esame.

Osservava preliminarmente questa Corte che le modalità della perquisizione erano irrilevanti a fine di censura di legittimità del provvedimento di riesame che ha mantenuto il sequestro probatorio.

Riteneva fondato il ricorso del L. nella parte in cui aveva lamentato che il Tribunale avesse mantenuto indiscriminatamente il vincolo del sequestro anche di cose legittimamente detenute, senza indicare e perciò valutare quali fossero i corpi di reato o le cose pertinenti al reato per finalità probatorie, poiché il sequestro poteva concernere solo cose connesse alla notizia di reato per cui si procede.

Il Tribunale del riesame di Pordenone, giudicando in sede di rinvio, con ordinanza in data 28.2.2011 confermava il sequestro limitatamente a tutto il materiale informatico elencato nei tre elenchi allegati al verbale di perquisizione e sequestro del 25.5.2010 e, in parziale accoglimento della richiesta di riesame proposta da L.E. , annullava i predetti decreto e verbale di perquisizione e sequestro per la parte relativa al sequestro dello studio legale L. – C. e del materiale presente all’interno dello stesso dopo l’asportazione negli uffici della Procura del predetto materiale informatico, disponendo che lo studio e il materiale in questione fossero dissequestrati e restituiti al ricorrente L.E. e all’interessata avv. S..C. .

Il Tribunale del riesame riteneva sussistente il fumus commissi delicti in ordine ai reati contestati al L. .

Esaminando i profili di censura contenuti nella menzionata sentenza della Corte di Cassazione, riteneva di dover distinguere il sequestro con riferimento al materiale informatico rinvenuto all’interno dello studio L. – C. dal sequestro generico dello studio legale con tutto ciò che fosse contenuto all’interno dello stesso.

Con riferimento al materiale informatico, esso era stato analiticamente individuato ed elencato nel verbale di perquisizione e sequestro e il vincolo di pertinenzialità con i reati per i quali stava procedendo la Procura della Repubblica appariva evidente poiché tale materiale risultava necessario per consentire gli accertamenti che si erano resi necessari a seguito dei risultati della consulenza tecnica eseguita. Rilevava, inoltre, che non competeva al Collegio stabilire se attualmente sussisteva ancora la necessità di mantenere il vincolo reale, essendo questione di competenza del P.M. e del GIP in base alla disciplina degli artt. 262 e 263 c.p.p.. Con riferimento invece al sequestro in generale dello studio professionale L. – C. e dei beni al suo interno presenti, rilevava che dalla lettura del verbale di perquisizione e sequestro risultava che le operazioni erano iniziate alle ore 10,30 del 25.5.2010 e terminate alle successive ore 12,10 con il sequestro di tutto il materiale contenuto all’interno dello studio, modalità questa illegittima e ingiustificata poiché il vincolo del sequestro veniva esteso in modo indiscriminato a tutto il materiale contenuto nello studio, anche a quello che non era in alcun modo pertinente ai reati per i quali si stava procedendo.

Avverso l’ordinanza 28.2.2011 del Tribunale del riesame hanno proposto ricorso per cassazione sia il P.M. di Pordenone sia L.E. personalmente e C.S. tramite l’avv. omissis del foro di Roma.

Il P.M. ha chiesto l’annullamento della suddetta ordinanza nella parte in cui aveva annullato il decreto di perquisizione e sequestro e il verbale di esecuzione del 25.5.2010 con riguardo al sequestro dello studio legale L. – C. e del materiale presente all’interno dello stesso studio, dopo l’asportazione negli uffici della Procura del materiale informatico.

Il Tribunale, secondo il ricorrente, si sarebbe basato solo sulle risultanze del verbale di perquisizione e sequestro del 25.5.2010, senza tener conto che la Procura della Repubblica, prima di procedere al sequestro di tutto il materiale contenuto nei locali dello studio legale, aveva chiesto ed ottenuto ai sensi dell’art. 103 c.p.p. autorizzazione del GIP a sequestrare l’intero appartamento ove aveva sede lo studio legale dell’avvocato L.E. , poiché, nonostante nel corso della prima perquisizione fosse stata rinvenuta solo la copia su supporto cartaceo di uno solo degli atti da cercare, vi era il concreto sospetto che il L. detenesse presso lo studio altri atti compendio dei reati contestati ed era impossibile in un solo accesso procedere all’esame di tutto il materiale contenuto nello studio.

Il 25.5.2010 erano stati posti in sicurezza tutti i possibili siti ove ricercare i documenti sottratti.

In seguito, con operazioni che si erano protratte per diversi giorni, era stato esaminato il copioso materiale cartaceo presente nello studio.

Il Tribunale del riesame, annullando il sequestro (temporaneo) dello studio e del materiale in esso contenuto aveva confuso una modalità operativa della perquisizione-sequestro con l’oggetto del sequestro.

La suddetta modalità operativa si era resa necessaria poiché era risultato dalle indagini che il L. aveva utilizzato il suo studio per distruggere/occultare documenti di cui era entrato illecitamente in possesso.

Il materiale temporaneamente sequestrato, dopo essere stato esaminato, era stato di volta in volta restituito. Così, anche il materiale informatico, all’esito dell’incidente probatorio, era stato restituito, salvo quello rilevante al fini delle indagini in corso.

Nel ricorso L. – C. si è chiesto a questa Corte di dichiarare illegittimo l’atto di sequestro del materiale informatico presente nello studio professionale dei predetti, i ricorrenti premettevano che parte dei beni in forma cartacea sequestrati presso lo studio legale erano stati medio tempore restituiti e, per la parte non ancora dissequestrata, era in corso una opposizione davanti al GIP dopo il diniego del P.M. di procedere alla restituzione. In gran parte erano stati restituiti anche i beni di natura informatica sottratti al momento del sequestro e successivamente.

Il ricorso riguardava soltanto i beni informatici sequestrati il 25 maggio 2010 e l’insussistenza del fumus commissi delicti per l’emanazione dei decreti in questione.

Non era stato restituito, peraltro, un hard-disk nel quale erano stati individuati solo due files ritenuti di interesse, ma che conteneva anche altri “centomila files di nessun interesse o rilevanza per il procedimento in oggetto”, tanto più che gli accertamenti peritali erano stati effettuati su una “copia forense” che aveva un contenuto in tutto e per tutto identico all’originale.

Anche l’ordinanza del GIP che aveva autorizzato un sequestro “a scatola chiusa” doveva essere considerata illegittima, in quanto non è ammesso sequestrare oggetti non pertinenti alla ipotesi di indagine.

Secondo i ricorrenti mancava, comunque, il fumus commissi delicti che potesse giustificare la perquisizione e il sequestro in questione, poiché lo studio era stato perquisito poco tempo prima, senza alcun esito, e il possesso della fotocopia di secondo grado era del tutto legittimo, essendo un atto del processo a carico del ricorrente.

Nel verbale di perquisizione-sequestro del materiale informatico non era stata indicata la pertinenzialità del predetto materiale ai reati per cui si stava procedendo, e quindi – secondo quanto disposto dalla Cassazione, il sequestro doveva essere dichiarato illegittimo.

Considerato in diritto

I ricorsi sono infondati.

Ai sensi dell’art. 247 c.p.p. può essere disposta perquisizione locale quando vi è fondato motivo di ritenere che il corpo di reato o cose pertinenti al reato si trovino in un determinato luogo.

A norma dell’art. 103 c.p.p., la perquisizione nell’ufficio del difensore è consentita solo quando lo stesso o altre persone che svolgono stabilmente attività nell’ufficio sono imputati; inoltre l’autorità giudiziaria deve dare avviso dell’atto da compiere, a pena di nullità, al Consiglio dell’ordine forense del luogo al fine di consentire al presidente o un consigliere da questo delegato di assistere alle operazioni.

Il decreto di perquisizione in data 24 maggio 2010 è stato emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone nel rispetto delle suddette condizioni di legge.

A L.E. erano stati addebitati i delitti di furto aggravato (artt. 624, 625 nn. 2 e 7, 61 nn. 2 e 10 c.p.) commesso in data 13.3.2010 e di soppressione-occultamento di atti pubblici (artt. 490 e 476 c.p.) commesso in data successiva al 13.3.2010.

Il Tribunale del riesame ha congruamente motivato la sussistenza del fumus commissi delicti in relazione al decreto emesso in data 24.5.2010, avendo messo in evidenza che si era in presenza di una sparizione di alcuni atti originali dal fascicolo delle indagini preliminari e che la copia in possesso del L. , rinvenuta in occasione della perquisizione eseguita in data 29.4.2010, era certamente un documento pertinente ai fatti per cui si stava procedendo, atteso che al momento il ricorrente non risultava avere mai ritirato le copie degli atti del procedimento n. 66/10 RGNR né risultava averne mai avuto copia (neppure informale, come sostenuto) dal personale della Cancelleria GIP, e la detenzione di una copia presupponeva un collegamento con un originale della cui sottrazione si stava indagando.

Risulta quindi sorretto da idonea motivazione, peraltro prevista a pena di nullità (V. Sez. U. sent. n. 5876 del 28.1.2004, Rv. 226711), il decreto di perquisizione e sequestro a fini di prova emesso dalla Procura della Repubblica di Pordenone in data 24.5.2010, che aveva anche specificato le modalità con le quali doveva essere effettuata la ricerca del corpo di reato: esame (ovviamente esterno) di tutti gli atti presenti nello studio, da effettuarsi anche con più accessi in tempi successivi nello stesso studio, e trasferimento nei locali della Procura della Repubblica dei computers, dei collegamenti a internet e dei supporti elettronici di qualsiasi tipo in dotazione allo studio che dovevano essere sottoposti a consulenza tecnica, in quanto avrebbero potuto contenere copia e/o originale degli atti da ricercare.

Priva di fondamento, pertanto, risulta essere la censura contenuta nel ricorso L. – C. riguardante la pretesa assenza del fumus commissi delicti in relazione al secondo decreto di perquisizione, poiché questo è stato disposto a seguito dei risultati di una consulenza tecnica eseguita su un documento rinvenuto in occasione della prima perquisizione, avendo detta consulenza accertato che la copia rinvenuta era stata formata con mezzi tecnici (presenti nello studio) e con la disponibilità dell’originale del documento (la nota del P.M. diretta al Procuratore della Repubblica) che, in ipotesi d’accusa, si riteneva che il L. non potesse legittimamente possedere.

Nella sentenza di questa Corte in data 10.12.2010 sono stati enunciati due principi che regolano la materia de qua.

Con il primo si è ribadito che le modalità della perquisizione sono di per sé irrilevanti a fine di censura di legittimità del provvedimento di riesame, precisando che la cernita delle cose utili alla prova è a monte del sequestro.

Con il secondo si è affermato che il provvedimento del Tribunale del riesame deve indicare e perciò valutare quali siano i corpi di reato e le cose pertinenti al reato oggetto del sequestro con finalità probatorie.

Nel caso in esame si deve premettere che, data la mole dei documenti cartacei presenti nello studio dei ricorrenti e la complessità degli strumenti informatici in dotazione allo stesso studio, le modalità di ricerca dei due (ben individuati) documenti dovevano necessariamente essere effettuate rendendo indisponibile – per lo stretto tempo necessario alla ricerca dei documenti sottratti – tutto il suddetto materiale, al fine e di eseguire una accurata ricerca dei due documenti in questione e di verificare (attraverso una consulenza tecnica) se gli stessi fossero stati a disposizione del L. nel suo studio.

Queste operazioni di ricerca sono state legittimamente eseguite dalla Procura della Repubblica di Pordenone e non rientrano in senso proprio nel sequestro a fini probatori, ma costituiscono le necessaire, nel caso specifico, modalità della perquisizione, prodromiche al sequestro del corpo di reato o di cose pertinenti al reato.

Ovviamente, dette modalità della perquisizione devono essere poste in essere garantendo all’indagato l’esercizio del diritto di difesa, e quindi gli deve essere data la possibilità di assistere – personalmente o tramite un delegato o il difensore – a tutte le operazioni di spulciatura dei documenti cartacei e di seguire – tramite un proprio consulente tecnico – le operazioni eseguite dal perito sul materiale informatico.

Ma su questo aspetto non vi sono doglianze nei ricorsi L. – C. .

Nei ricorsi predetti si censura sia il fatto che il sequestro del materiale informatico è avvenuto “a scatola chiusa” sia il fatto che è stato definitivamente sequestrato l’hard-disk contenente non solo due files ritenuti d’interesse, ma anche moltissimi altri files che non avevano alcuna rilevanza nel procedimento penale.

Quanto al “sequestro a scatola chiusa”, si deve rilevare l’infondatezza della censura, richiamando quanto sopra esposto e aggiungendo che tutto il materiale informatico asportato dallo studio era stato dettagliatamente descritto e lo stesso materiale è stato restituito, dopo il compimento delle operazioni peritali, salvo quanto ritenuto rilevante ai fini dell’indagine in corso.

Quanto al sequestro dell’originale dell’hard-disk, contenente due files ritenuti di interesse per le indagini, lo stesso appare giustificato dalla necessità di conservare in originale il supporto informatico contenente files ritenuti rilevanti ai fini della prova, per eventuali ulteriori verifiche in altre fasi e gradi del processo. Del resto, dallo stesso contenuto del ricorso si deduce che il L. ha avuto la possibilità di rientrare in possesso – seppure in copia – di tutti gli altri files contenuti nell’hard-disk.

Anche il ricorso del Pubblico Ministero deve essere rigettato, non avendo più il ricorrente alcun interesse all’annullamento del provvedimento impugnato, poiché nel frattempo vi è stata, da parte dello stesso Pubblico Ministero, la restituzione del materiale che era stato legittimamente trattenuto, esclusivamente per le finalità di ricerca e di verifica sopra indicate.

Al rigetto del ricorso di L.E. e di C.S. consegue di diritto la condanna dei predetti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.

Rigetta il ricorso di L.E. e di C.S. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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