Nullità del matrimonio: la convivenza prolungata dei coniugi è condizione di incompatibilità dell’azione giudiziaria? Cassazione, sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1780

 

NULLITÀ DEL MATRIMONIO: LA CONVIVENZA PROLUNGATA DEI CONIUGI È CONDIZIONE DI INCOMPATIBILITÀ DELL’AZIONE GIUDIZIARIA?

Cassazione, sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1780

 

1. E’ efficace la sentenza del Tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio, anche in presenza di una convivenza prolungata dopo la celebrazione che si concreta in mera abitazione materiale sotto lo stesso tetto.

2. Si è statuito, con riferimento a situazioni invalidanti l’atto-matrimonio, che la successiva convivenza prolungata è da considerare espressiva della volontà di accettazione del matrimonio-rapporto che ne è seguito: con la conseguente incompatibilità dell’esercizio postumo dell’azione di nullità, altrimenti riconosciuta dalla legge.

3. Pur meritando adesione l’indirizzo giurisprudenziale sopra citato, con la distinzione concettuale ad esso sottesa tra matrimonio – atto e matrimonio-rapporto, si deve ritenere che esso trovi applicazione nei casi in cui, dopo il matrimonio nullo, tra i coniugi si sia instaurato un vero consorzio familiare e affettivo, con superamento implicito della causa originaria di invalidità.

4. In tale ricostruzione interpretativa, il limite di ordine pubblico postula, pertanto, che non di mera coabitazione materiale sotto lo stesso tetto si sia trattato, – che nulla aggiungerebbe ad una situazione di mera apparenza del vincolo – bensì di vera e propria convivenza significativa di un’instaurata affectio familiae, nel naturale rispetto dei diritti ed obblighi reciproci – per l’appunto, come tra (veri) coniugi (art.143 cod. civ.) – tale da dimostrare l’instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato, nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto.

 

 

Cassazione, sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1780

(Pres. Luccioli – Rel. Bernabai)

 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 31 ottobre 2007 il sig. D.B. conveniva dinanzi la Corte d’appello di Genova il proprio coniuge, signora M..C., per sentir dichiarare l’efficacia nello Stato italiano della sentenza rotale dichiarativa della nullità del loro matrimonio, contratto con rito concordatario il 12 aprile 1986.

Costituitasi ritualmente, la convenuta eccepiva l’assenza dei presupposti previsti dall’art.8, secondo comma, della legge 25 marzo 1985 n.121 e dall’art.64 della legge 218/1995 e chiedeva, in subordine, l’assegnazione di una congrua indennità, ai sensi dell’art.129 bis cod. civile.

Con sentenza 17 marzo 2010 la Corte d’appello di Genova, ritenuto che la convenuta era stata a conoscenza, ab initio, della causa di nullità del matrimonio concordatario consistente nell’esclusione dell’indissolubilità del vincolo, da parte del marito, e che quest’ultima non contrastava con l’ordine pubblico interno, accoglieva la domanda e dichiarava l’efficacia nella Repubblica italiana della sentenza 9 novembre 2005 del Tribunale ecclesiastico regionale Etrusco, confermata con decreto 18 maggio 2006 dal Tribunale ecclesiastico Flaminio e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica il 3 gennaio 2007; con compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

Avverso la sentenza, notificata il 23 giugno 2010, la signora C. proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi e notificato il 7 ottobre 2010.

Deduceva:

1) la violazione di legge e la carenza di motivazione nel ritenere la compatibilità della decisione ecclesiastica con l’ordine pubblico italiano alla luce della convivenza protrattasi per molti anni dopo la celebrazione del matrimonio;

2) la violazione di legge e la carenza di motivazione nell’affermata conoscibilità della riserva mentale del D. in ordine all’esclusione del bonum sacramenti.

Resisteva il signor D. con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civile.

All’udienza del 9 dicembre 2011 il Procuratore generale ed il difensore della ricorrente precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

 

Motivi della decisione

 

Il primo motivo attiene alla questione dell’incompatibilità della decisione ecclesiastica con l’ordine pubblico italiano, per effetto della lunga convivenza protrattasi tra i coniugi dopo la celebrazione del matrimonio dichiarato nullo dal tribunale ecclesiastico.

Giova premettere, in via pregiudiziale di rito, che è infondata l’eccezione di inammissibilità per novità, sollevata ex adverso: la prospettazione del contrasto con l’ordine pubblico non si configura, nella specie, come causa petendi di una domanda, bensì come impedimento assoluto alla riconoscibilità della decisione ecclesiastica, rilevabile d’ufficio anche nella contumacia della convenuta. Al giudice compete, infatti, di verificare sempre la sussistenza degli antecedenti, in fatto ed in diritto, che giustifichino l’emissione del provvedimento richiesto; e non v’è dubbio che tra questi, prima di ogni altro, rientri la conformità a diritto del petitum. Tanto più, ove sia in discussione financo l’eventuale lesione di principi fondativi riassunti nella formula dell’ordine pubblico: sintagma che, seppur non presente nella carta costituzionale, dev’essere identificato con i principi costituzionali su temi basilari che sono la traduzione, in termini di diritto, dei principi etico-politici su cui sorge e si fonda l’ordinamento. Nonostante la relatività storica di contenuto, connaturale a qualsiasi concetto giuridico, l’ordine pubblico esprime valori non negoziabili, a pena di rottura dell’armonia del sistema costituzionale; e la sua lesione rientra dunque nel thema decidendum del giudice chiamato a dichiarare l’efficacia nello Stato italiano di una sentenza ecclesiastica, senza preclusioni ed indipendentemente da eccezione di parte.

Ciò premesso, si osserva come la ricorrente invochi recenti arresti di questa Corte che hanno rivisto, in chiave critica, il precedente orientamento in materia, ponendo in risalto l’evidente favor che l’ordine pubblico interno palesa per la validità del matrimonio, quale fonte del rapporto familiare, incidente sulla persona e oggetto di tutela costituzionale: con il corollario che i motivi per i quali esso si contrae – rilevanti, in quanto attinenti alla coscienza, per l’ordinamento canonico – non hanno, di regola, valore ai fini dell’annullamento in sede civile.

In particolare, si è statuito, con riferimento a situazioni invalidanti l’atto-matrimonio, che la successiva convivenza prolungata è da considerare espressiva della volontà di accettazione del matrimonio-rapporto che ne è seguito: con la conseguente incompatibilità dell’esercizio postumo dell’azione di nullità, altrimenti riconosciuta dalla legge (Cass., sez. 1, 20 gennaio 2011 n.1343; Cass., sez. U. 18 luglio 2008 n.19809).

Pur meritando adesione l’indirizzo giurisprudenziale sopra citato, con la distinzione concettuale ad esso sottesa tra matrimonio – atto e matrimonio-rapporto, si deve ritenere che esso trovi applicazione nei casi in cui, dopo il matrimonio nullo, tra i coniugi si sia instaurato un vero consorzio familiare e affettivo, con superamento implicito della causa originaria di invalidità.

In tale ricostruzione interpretativa, il limite di ordine pubblico postula, pertanto, che non di mera coabitazione materiale sotto lo stesso tetto si sia trattato, – che nulla aggiungerebbe ad una situazione di mera apparenza del vincolo – bensì di vera e propria convivenza significativa di un’instaurata affectio familiae, nel naturale rispetto dei diritti ed obblighi reciproci – per l’appunto, come tra (veri) coniugi (art.143 cod. civ.) – tale da dimostrare l’instaurazione di un matrimonio-rapporto duraturo e radicato, nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto.

Nella specie, nulla del genere è stato neppure allegato dalla ricorrente: che si è limitata a valorizzare il dato temporale della durata del vincolo, insufficiente, come detto, ad integrare la causa ostativa di ordine pubblico al recepimento della sentenza ecclesiastica.

Il secondo motivo di ricorso risulta parzialmente assorbito, nella parte in cui ripropone la questione dell’omessa valutazione della convivenza, protrattasi per molti anni dopo la celebrazione del matrimonio; mentre, per il resto, è volto ad un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie – vagliate con ampia motivazione dalla Corte d’appello di Genova – introduttivo di un riesame, nel merito, della riconoscibilità della riserva mentale che non può trovare ingresso in questa sede.

Il ricorso dev’essere dunque rigettato; con compensazione delle spese di giudizio in considerazione della natura della causa ed altresì dei suoi obbiettivi profili di incertezza.

 

P.Q.M.

 

– Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio;

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’art.52 d.lgs. 30 Giugno 2003, n.196 (Codice in materia di protezione dei dati personali).

 

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