Uso del marchio altrui: quando costituisce reato? Cassazione, sez. V, 15 febbraio 2012, n. 5957

 

USO DEL MARCHIO ALTRUI: QUANDO COSTITUISCE REATO?

Cassazione, sez. V, 15 febbraio 2012, n. 5957

 

1. La liceità dell’uso del marchio è subordinata alla duplice condizione del rispetto dei principi di correttezza professionale e della rispondenza ad una funzione meramente descrittiva e non distintiva, al fine di evitare il cosiddetto “rischio di agganciamento”, ossia la possibilità che il marchio divenga mezzo di indebito sfruttamento della fama spettante al titolare del marchio; con la conseguenza che l’impiego del marchio nella commercializzazione di pezzi di ricambio è lecito negli stretti limiti in cui ciò sia necessario per indicare le tipologie di macchine alle quali i pezzi sono destinati.

2. Non è pertanto sufficiente, ad escludere la ravvisabilità del reato di cui all’art. 474 cod. pen., la presenza sui ricambi commercializzati di una dicitura indicativa del carattere non originale dei prodotti; occorre altresì verificare se in concreto le modalità di apposizione della dicitura siano tali da impedire la lesione del valore della pubblica fede sotto il profilo dell’affidamento nei marchi, e quindi l’idoneità della contraffazione del marchio a creare confusione sul mercato in ordine all’autenticità dello stesso.

3. A questi fini è senz’altro determinante verificare la posizione sul prodotto della dicitura rispetto a quella del marchio, nella prospettiva di un’immediata e contestuale leggibilità di entrambe le indicazioni, che garantisca ai terzi la possibilità di apprezzare il carattere non autentico del marchio; così come rilevanti sono la collocazione di quest’ultimo sul prodotto e la sua presentazione grafica in termini tali da evidenziarne la funzione meramente descrittiva della corretta destinazione meccanica del ricambio.

 

 

Cassazione, sez. V, 15 febbraio 2012, n. 5957

(Pres. Marasca – Rel. Zaza)

 

Ritenuto in fatto

Con il provvedimento impugnato veniva confermato il decreto del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia in data 20.4.2011, con il quale era disposto il sequestro di un quantitativo di cartucce per stampanti riportanti il marchio Epson, diretto alla s.r.l. Print Tek e fermato alla dogana di Venezia, in quanto costituenti corpo del reato di cui all’art. 474 cod. pen. ipotizzato a carico di M.M. , legale rappresentante della Print Tek.

Il Tribunale, richiamata la relazione del consulente della Epson sul carattere non originale delle cartucce e sull’uso non autorizzato del marchio, e dato atto della tesi difensiva per la quale il marchio Epson veniva riportato sulle cartucce unitamente al marchio Ambitek, della quale la Print Tek era titolare, ed al solo scopo di indicare le stampanti compatibili con il prodotto, osservava che i rilievi del consulente e la preponderanza dell’indicazione del marchio Epson sulle confezioni rendeva allo stato astrattamente configurabile il reato, presupposto sufficiente per l’adozione della misura cautelare reale.

L’indagato ricorrente, premesso che l’art.21 del codice della proprietà industriale consente l’uso dei marchio ove necessario per indicare la destinazione di un accessorio, a condizione che ciò avvenga in conformità ai principi della correttezza professionale e in modo da non ingenerare rischio di confusione sul mercato, osserva che detta condizione era rispettata nel caso di specie dal diverso confezionamento delle cartucce sequestrate rispetto a quelle originali e dall’apposizione sulle confezioni del marchio Ambitek, della dicitura non originale accanto al marchio Epson e dell’indicazione dell’appartenenza dei marchi ai legittimi proprietari, aggiungendo che nei fatti sarebbe comunque ravvisabile la diversa ipotesi dell’uso del marchio non autorizzato di cui all’art.517 ter cod. pen, perseguibile a querela nella specie non presentata.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.

Va preliminarmente osservato che l’art.21 d.lgs.30/2005, citato dal ricorrente, se in effetti esclude al primo comma che il titolare del marchio d’impresa registrato possa vietarne ai terzi l’uso nell’attività economica in quanto necessario per indicare la destinazione di un prodotto quale accessorio o pezzo di ricambio, non si limita ad indicare, quale limite del predetto uso, la conformità dello stesso ai principi della correttezza professionale; ma al secondo comma prevede che l’uso non sia comunque consentito, fra l’altro, in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni distintivi o da indurre in inganno il pubblico sulla natura, la qualità o la provenienza del prodotto. In altre parole, la liceità dell’uso del marchio, come affermato dalla giurisprudenza civilistica in materia (Cass. civ. Sez. 1, n. 17734 del 30.7.2009, Crg Srl contro Kart Srl, Rv.609481), è subordinata alla duplice condizione del rispetto dei principi di correttezza professionale e della rispondenza ad una funzione meramente descrittiva e non distintiva, al fine di evitare il cosiddetto “rischio di agganciamento”, ossia la possibilità che il marchio divenga mezzo di indebito sfruttamento della fama spettante al titolare del marchio; con la conseguenza che l’impiego del marchio nella commercializzazione di pezzi di ricambio è lecito negli stretti limiti in cui ciò sia necessario per indicare le tipologie di macchine alle quali i pezzi sono destinati.

Non è pertanto sufficiente, ad escludere la ravvisabilità del reato di cui all’art. 474 cod. pen., la presenza sui ricambi commercializzati di una dicitura indicativa del carattere non originale dei prodotti; occorre altresì verificare se in concreto le modalità di apposizione della dicitura siano tali da impedire la lesione del valore della pubblica fede sotto il profilo dell’affidamento nei marchi, e quindi l’idoneità della contraffazione del marchio a creare confusione sul mercato in ordine all’autenticità dello stesso (in tal senso v. Sez. 5, n.14876 del 9.1.2009, imp. Chen. Rv.243596, e n.40556del 25.9.2008, imp. Fadlun, Rv.241723).

A questi fini è senz’altro determinante verificare la posizione sul prodotto della dicitura rispetto a quella del marchio, nella prospettiva di un’immediata e contestuale leggibilità di entrambe le indicazioni, che garantisca ai terzi la possibilità di apprezzare il carattere non autentico del marchio; così come rilevanti sono la collocazione di quest’ultimo sul prodotto e la sua presentazione grafica in termini tali da evidenziarne la funzione meramente descrittiva della corretta destinazione meccanica del ricambio.

Questi profili risultano nel caso di specie essenziali ai fini della configurabilità del reato ipotizzato. La stessa ordinanza impugnata dava atto della presenza, sulle confezioni dei prodotti sequestrati, della dicitura non originale; e i rilievi fotografici allegati ai ricorso, e peraltro già presenti agli atti, evidenziano come le predette confezioni fossero contrassegnata con il marchio della Ambitek oltre che con quello della Epson.

Orbene, proprio sugli aspetti sopra indicati la motivazione dell’ordinanza è senz’altro carente. Nessun approfondimento compare infatti nei provvedimento in ordine alle ragioni per le quali la dicitura ed il marchio aggiuntivo di cui si è detto non sarebbero idonei ad escludere il rischio di confusione sulla natura non originale dei prodotti e sulla finalità meramente indicativa della loro funzionalità al ricambio assunta nella specie dal riferimento alla Epson. Il vago ed apodittico accenno della motivazione alla preponderanza sulla confezioni del marchio della Epson non è assolutamente idoneo a svolgere tale compito, nel momento in cui non vengono precisati i connotati esteriori, in termini di posizione e di evidenza grafica, che darebbero luogo a tale preponderanza e non si spiega in cosa effettivamente quest’ultima si esplicherebbe.

Il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato con rinvio al Tribunale di Venezia per un nuovo esame sui descritti caratteri motivazionali.

 

P.Q.M.

 

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Venezia per nuovo esame.

 

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