Sulla valenza della testimonianza del minorenne nei reati sessuali Cassazione, sez. III, 7 marzo 2012, n. 8939

 

SULLA VALENZA DELLA TESTIMONIANZA DEL MINORENNE NEI REATI SESSUALI

Cassazione, sez. III, 7 marzo 2012, n. 8939

 

La valutazione del contenuto delle dichiarazioni del minore – parte offesa in materia di reati sessuali, in considerazione delle complesse implicazioni che la materia stessa comporta (di ordine etico, culturale ed affettivo), deve contenere un esame sia dell’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto sia della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. Proficuo è l’uso dell’indagine psicologica, che concerne due aspetti fondamentali: l’attitudine del minore a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell’accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo – da tenere distinto dall’attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice – è diretto ad esaminare il modo in cui la giovane vittima ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna.

Nel caso di dichiarazioni accusatorie formulate da minori, il giudice ha l’obbligo – al fine di escludere ogni possibilità di dubbio o di sospetto che esse siano conseguenti ad un processo di auto od etero – suggestione oppure di esaltazione o fantasia – di sottoporre le accuse medesime ad attenta verifica, si da potere escludere che esse possano derivare dalla immaturità psichica ovvero da facile suggestionabilità.

 

 

Cassazione, sez. III, 7 marzo 2012, n. 8939

(Pres. Ferrua – Rel. Fiale)

 

Ritenuto in fatto

La Corte di appello di Torino, con sentenza del 29.11.2010, in parziale riforma della sentenza 15,12.2009 del Tribunale di quella città:

a) ribadiva l’affermazione della responsabilità penale di N.A. in ordine ai reati di cui:

– agli artt. 609 bis, 609 ter, n. 1, cod. pen. [per avere – approfittando della propria qualità di responsabile dei volontari della Croce Rossa Italiana aventi un’età compresa tra gli otto e i quattordici anni (c.d. “mini pionieri”), con specifici compiti di responsabilità educativa ed istruttiva – compiuto con violenza atti sessuali sulla minore infraquattordicenne D.G.V.A. (nata il (omissis)) baciandola sul collo e sulla bocca, toccandole il sedere, abbassandole i pantaloni ed inserendo le dita nella vagina – presso la sede C.R.I. di (omissis) ];

– all’art. 609 bis cod. pen. [per avere – approfittando della propria qualità di responsabile dei volontari (c.d. “mini pionieri”) della Croce Rossa Italiana – compiuto con violenza, durante un turno notturno, atti sessuali sulla minore R..B. (nata l'(…)), abbassandole i pantaloni, cercando di penetrarla e facendosi praticare un rapporto orale con ingoio dello sperma – nella sede C.R.I. di (omissis) ];

– agli artt. 81 cpv. e 600 quater cod. pen. [per essersi procurato, scaricandoli sul proprio computer portatile, n. 13 filmati a contenuto pedopornografico prodotti mediante lo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto – acc. in (omissis);

– all’art. 527 cod. pen. [per avere compiuto atti osceni in luogo aperto al pubblico, compiendo gli atti sessuali dianzi descritti sulla minore V.A..D.G. ];

b) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti e alla recidiva specifica, determinava la pena principale in anni cinque, mesi undici di reclusione;

c) confermava le pene accessorie applicate dal primo giudice, la disposta revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena inflitta dal G.I.P. del Tribunale di Torino con sentenza 16.4.2003 (divenuta irrevocabile l’1.6.2003), nonché le statuizioni risarcitorie in favore delle costituite parti civili (D.G.P.S. e M..D.R. , genitori di V. , e R..B. ).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del N. , il quale – sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione – ha eccepito:

a) l’incongruo riconoscimento di piena attendibilità alle dichiarazioni accusatorie delle minori, pur presentando le stesse disarmonie ed incongruenze e pure essendo venuti meno gli addotti elementi di riscontro;

b) l’incongruo diniego, in relazione ad entrambi gli episodi di pretesa violenza sessuale, dell’attenuante speciale di cui all’609 bis, ultimo comma, cod. pen.;

c) il computo erroneo della pena, in quanto la Corte territoriale, in seguito al riconoscimento di attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, avrebbe dovuto operare una corrispondente diminuzione con riferimento non soltanto alla pena-base ma anche all’aumento infinto a titolo di continuazione per ogni reato satellite.

Considerato in diritto

1. Le doglianze riferite in ricorso al riconoscimento della responsabilità penale devono essere rigettate, perché infondate.

1.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, in tema di valutazione probatoria:

– la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest’ultima non è equiparabile al testimone estraneo, può tuttavia essere da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un’indagine positiva, da condursi con la necessaria cautela, sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l’ha resa [vedi, tra le decisioni più recenti, Cass.: Sez. III: 5.5.2010, n. 29612; 12.10.2006, n. 34110; 10.8.2005, n. 30422 e 29.1.2004, n. 3348];

la valutazione del contenuto delle dichiarazioni del minore – parte offesa in materia di reati sessuali, in considerazione delle complesse implicazioni che la materia stessa comporta (di ordine etico, culturale ed affettivo), deve contenere un esame sia dell’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto sia della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. Proficuo è l’uso dell’indagine psicologica, che concerne due aspetti fondamentali: l’attitudine del minore a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell’accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo – da tenere distinto dall’attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice – è diretto ad esaminare il modo in cui la giovane vittima ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna (vedi Cass., Sez. III, 3.10.1997, n. 8962);

– nel caso di dichiarazioni accusatorie formulate da minori, il giudice ha l’obbligo – al fine di escludere ogni possibilità di dubbio o di sospetto che esse siano conseguenti ad un processo di auto od etero – suggestione oppure di esaltazione o fantasia – di sottoporre le accuse medesime ad attenta verifica, si da potere escludere che esse possano derivare dalla immaturità psichica ovvero da facile suggestionabilità (vedi Cass., Sez. 1, 5.4.1984, n. 3102).

1.2 I giudici del merito, nella fattispecie in esame, in riferimento al delitto di violenza sessuale in danno della undicenne D.G.V. , risultano essersi attenuti correttamente agli anzidetti principi, poiché essi hanno:

– valorizzato anzitutto la genesi della notizia di reato, evidenziando la spontaneità e la coerenza delle accuse formulate dalla ragazzina;

— valutato adeguatamente il grado cognitivo e di attitudini percettive della minore, illustrandone la capacità a rendere valida testimonianza in seguito alla corretta comprensione degli avvenimenti.

Tale valutandone è stata effettuata, oltre che in seguito alla visione dirette dell’audizione protetta con cui erano state raccolte le dichiarazioni di Valentina, anche alla stregua delle considerazioni svolte dalla dr.ssa B. (in seguito a perizia psicodiagnostica effettuata in sede di incidente probatorio), secondo le quali dall’indagine peritale “non sono emersi elementi che facciano ipotizzare urta incapacità a riferire in moda corretto i fatti accaduti né sono presenti disturbi della sfera cognitiva che interferiscano con la percezione della realtà e con la capacità di ricordare quanto accaduto e di riferirlo a terzi”.

Razionalmente è stato escluso, quindi, che le dichiarazioni accusatorie medesime potessero risultare inficiate dalla pur evidenziata circostanza che, sempre quanto a V. , “sul piano affettivo sono in atto dinamiche preadolescenziali che la confondono e la spingono ad essere e a mostrarsi più grande di quello che è, con il rischio di esporsi in modo poco critico ad esperienze potenzialmente incongrue per la sua attuale maturità affettivo – relazionale”. Trattasi, invero, di considerazioni che attengono all’atteggiamento comportamentale della ragazza, che la ha esposta a maggior rischio a fronte della condotta illecita tenuta dall’imputato, ma che non riguardano la sua idoneità a rendere congruamente testimonianza e che non riverberano effetti di compromissione sull’attendibilità di quanto riferito (per propensione al travisamento e/o a fantasticherie);

– ponderato le dichiarazioni accusatorie formulate dalla ragazzina, razionalmente spiegando (in relazione alla sostanziale inesperienza in campo sessuale) i motivi per i quali ella abbia in primo momento ritenuto e riferito ai genitori, alle amiche ed ai Carabinieri di essere stata deflorata (deflorazione esclusa, invece, dalla visita ginecologica);

– evidenziato la mancanza assoluta di motivi che possano portare ad ipotizzare la formulazione di accuse ingiuste nei confronti del coordinatore, per il quale provava una spiccata simpatia;

– dato conto che effettivamente “molti dei fatti e delle circostanze indicati come riscontri sono venuti meno” e puntualmente riferito circa la contraddittorietà delle testimonianze delle amiche, ma rilevato che il narrato era rimasto sostanzialmente costante nel suo nucleo essenziale, mentre le contraddizioni riguardano solo i particolari del fatto, come raccontato dalla parte lesa e percepito e compreso dalle sue coetanee;

– messo in luce la valenza di riscontro da riconoscersi comunque al contenuto dei messaggi telefonici inviati alla ragazzina dal N. sui significati allusivi dei quali [“se fossi stata più grande ti avrei fatta”, “perché non mi mandi una foto nuda?”, “mi piaci con il tanga”] non può sorgere alcun dubbio.

1.3 In riferimento poi al delitto di violenza sessuale in danno di R..B. , i giudici del merito hanno spiegato come il rapporto orale intercorso con quella ragazza (che era “infatuata” del suo istruttore), inizialmente consensuale, aveva assunto però connotazioni illecite di violenza quanto l’uomo aveva preteso che ella ingoiasse il suo sperma facendo ricorso alla forza fisica (tenendone e spingendone la testa) per vincerne il dissenso.

Hanno dato ragione della ritenuta inconsistenza dell’atteggiamento difensivo dell’imputato (attestatosi su una negazione integrale del fatto), con accorta valutazione (anche in questo caso) delle richieste e delle proposte fatte alla ragazza attraverso messaggi telefonici), razionalmente escludendo intenti di ritorsioni o di vendetta.

Hanno minuziosamente analizzato le deposizioni rese dai testi della difesa, illustrando come le stesse non fossero idonee ad inficiare il nucleo essenziale della vicenda.

La mancata individuazione della data esatta in cui il fatto è avvenuto: non influisce sulla configurazione dell’accusa, in quanto con argomentazioni logiche è stato escluso che il fatto non si sia mai verificato alla stregua delle circostanze narrate dalla giovane e contestate dalla difesa; né ha alcuna incidenza sulla qualificazione giuridica (R. ha compiuto 16 anni l’(…)), tenuto conto che non è stata contestata né ritenuta la fattispecie di cui all’art. 609 quater cod. pen..

1.4 In ordine ad entrambi gli episodi di violenza sessuale deve concludersi pertanto, che la Corte territoriale – previo accurato raffronto degli elementi di responsabilità acquisiti a carico dell’imputato con le obiezioni mosse dalla difesa – è razionalmente pervenuta ad un’affermazione di colpevolezza sulla base di un apparato argomentativo della cui logicità non è dato dubitare.

Non sono conseguentemente ammissibili tutte quelle diffuse critiche alla motivazione articolate nel ricorso, le quali – al limite di una “invasione nel merito” – hanno segnalato pretese inadeguatezze della giustificazione della decisione impugnata.

Non emerge, invero, che la motivazione sia caratterizzata da: a) carenza di risposta a temi rilevanti e decisivi, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio; b) discordanza, incoerenza, disomogeneità ed inconciliabilità logica tra singole proposizioni del costrutto di spiegazione e delle relative connessioni ed inferenze; e) palese ed immediata evidenza di contrasto e/o incompatibilità, nel ragionamento e nelle sequenze narrative, la quale comporti irragionevolezze e/o conclusioni tautologiche, oppure asserzioni che risultano arbitrarie o paradossali, in quello specifico e preciso contesto di spiegazione.

Né possono essere oggetto di valutazione censoria, da parte della Corte di Cassazione, ogni altra disarmonia, improprietà, scarsa congruenza, oppure ancora imperfezioni della trama espositiva o delle singole proposizioni che sostanziano e danno corpo alla motivazione, considerato anche che il controllo di legittimità si appunta esclusivamente sulla coerenza strutturale “interna” della decisione, di cui viene verificata l’oggettiva “tenuta” sotto il profilo logico-argomentativo.

Nel momento del controllo di legittimità, infatti, questa Corte non deve stabilire se la decisione di merito delinei effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la prospettata giustificazione sia compatibile con il senso comune e sia in linea con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale corrente (cfr., tra le molteplici decisioni in tal senso, Cass.: Sez. V, n. 39843/2007).

2. Infondate sono pure le doglianze riferite in ricorso al denegato riconoscimento dell’attenuante prevista dal terzo comma dell’art. 609 bis cod. pen. nei “casi di minore gravità”.

Tate circostanza attenuante deve considerarsi applicabile in quelle fattispecie in cui -avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell’azione – sia possibile ritenere che la libertà sessuale personale della vittima (bene-interesse tutelato dalla norma incriminatrice) sia stata compressa in maniera non grave.

Si impone, pertanto, una valutazione globale del fatto riferita a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, ove assumono rilievo il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni fisiche e mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della compressione della libertà sessuale ed il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (vedi Cass., Sez. IH: 15.12.2003, a 47730; 16.5.2000, a 5646).

Nella specie la Corte di merito ha considerato inapplicabile la norma più favorevole previo opportuno e logico apprezzamento: dell’insidiosità dei comportamenti illeciti; del tradimento della fiducia riposta nell’imputato dall’ente di cui faceva parte; del tralignamento grave dei compiti di formazione e di educazione; dell’entità dell’alterazione del percorso evolutivo della D.G. .

Trattasi di una valutazione, assolutamente legittima, di elementi negativi particolarmente rilevanti correttamente correlata alla condotta complessiva dell’imputato.

3. Merita accoglimento, invece, recezione riguardante il trattamento sanzionatorio, dovendosi applicare, al riguardo, il principio di diritto secondo il quale “in tenia di reato continuato, si pone come necessaria la comparazione fra le attenuanti generiche ed una o più aggravanti contestate con un reato satellite, perché l’avvenuta unificazione di tutti i reati, ex art. 81 cpv. cod. pen. non fa venire meno l’autonomia di ciascuno di essi e, comunque, la maggiore o minore incidenza di circostanze favorevoli o sfavorevoli all’imputato influisce sicuramente sulla misura dell’aumento di pena da irrogare per la continuazione” (vedi Cass., Sez. VI 26.2.1993, n. 1898).

Nella vicenda in esame il giudice di primo grado aveva ritenuto “reato più grave” quello di violenza sessuale in danno di D.G.V. (capo A), per il quale aveva inflitto 6 anni di reclusione; tale pena-base aveva poi aumentato per la continuazione, infliggendo: 8 mesi per la violenza sessuale in danno di B.R. (capo B), 3 mesi per la detenzione dei filmati pedopornografici (capo C) 1 mese per il reato di atti osceni (capo D).

La Corte territoriale, a sua volta – in seguito al riconoscimento delle attenuanti generiche (ed all’elisione di un fatto già ricompreso nella contestazione dell’art. 527 cod. pen.) – ha ridotto a 5 anni di reclusione la pena-base; ha ridotto altresì gli aumenti a titolo di continuazione per gli altri reati, tranne che per il delitto di violenza sessuale di cui al capo B). La pena inflitta per tale delitto, invece, in seguito all’operato giudizio di bilanciamento delle attenuanti generiche con le aggravanti e la recidiva, doveva essere anch’essa decurtata ed a ciò il Collegio può direttamente procedere rideterminando (in applicazione dei medesimo criterio di calcolo applicato dalla Corte di merito) la relativa pena in mesi sei di reclusione, sicché la pena complessiva resta definitivamente fissata in anni cinque, mesi nove di reclusione.

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento alla pena inflitta a titolo di continuazione per il reato sub B): pena che ridetermina in mesi sei di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.

 

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