Mantenimento. Anche se l’ex moglie è benestante può avere diritto all’assegno divorzile Cassazione, sez. VI, 16 marzo 2012, n. 4253

 

MANTENIMENTO. ANCHE SE L’EX MOGLIE È BENESTANTE PUÒ AVERE DIRITTO ALL’ASSEGNO DIVORZILE

Cassazione, sez. VI, 16 marzo 2012, n. 4253

 

Nella disciplina dettata dall’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n.898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il giudice, chiamato a decidere sull’attribuzione dell’assegno di divorzio, è tenuto a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza – all’atto della decisione – dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio; dunque, è la nozione di adeguatezza a postulare un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali fa costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio.

Ai fini della verifica del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, vanno verificate anche le disponibilità patrimoniali dell’onerato ed a tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto pure degli altri e diversi elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio anche mobiliare.

 

 

Cassazione, sez. VI, 16 marzo 2012, n. 4253

(Pres. Salmè – Rel. Giancola)

 

Fatto e diritto

Il Collegio, all’esito dell’adunanza in camera di consiglio del 25.01.2012, svoltasi con la presenza del Sost. Proc. Gen. dr R. Ceniccola, osserva e ritiene:

– il relatore designato, nella relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ha formulato la proposta di definizione che di seguito interamente si trascrive: “Il relatore, cons M.C. Giancola, esaminati gli atti, osserva:

– M.P..P. ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione nei confronti dell’ex marito C..F. , che ha debitamente resistito con controricorso l’impugnazione della P. , che concerne soltanto il diniego del chiesto assegno divorzile, è rivolta contro la sentenza resa in data 1.02 – 14.04.2010 (notificata il 24.06.2010) dalla Corte di appello di Venezia, di rigetto del gravame da lei proposto avverso la sentenza definitiva n. 1854/2009, con cui il Tribunale di Treviso (che con sentenza non definitiva n. 1629/2006 aveva già pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti il 28.08.1971) aveva respinto la sua domanda di attribuzione di detto assegno e disposto che il F. pagasse all’ex moglie l’assegno di Euro 800,00 mensili, annualmente rivalutabili, oltre al 50% delle spese straordinarie, per il mantenimento della figlia terzogenita delle parti, che conviveva con la madre e che non era ancora economicamente indipendente (a differenza dei due fratelli maggiori) nell’impugnata pronuncia si espone tra l’altro:

a) che con sentenza n. 2488 del 2003, il Tribunale di Treviso aveva pronunciato la separazione personale del F. e della P. , imponendo al primo di corrispondere alla moglie anche l’assegno di Euro 2.500,00 mensili per il suo mantenimento e che la Corte di appello di Venezia, riformando questa statuizione, aveva escluso la debenza di tale apporto, con sentenza n. 1642 del 2004, che sul punto questa Corte di legittimità, con sentenza n. 20886 del 2008, aveva cassato con rinvio, ancora pendente;

b) che tra le parti era intervenuta nel giugno del 1999, la divisione dei risparmi familiari (pari a complessive L. 2,600.000.000) e successivamente quella degli immobili comuni (casa coniugale ed immobile in (omissis) ), tramite l’acquisto (per il complessivo corrispettivo di Euro 377.550,00) da parte del F. delle relative quote in titolarità della P. , la quale aveva anche ceduto per il controvalore di L. 2.613.964.500, le sue quote di partecipazione nelle società di cui era consocio il marito, società da cui entrambi i coniugi nel corso della convivenza avevano percepito l’importo globale di L. 19.000.000 mensili, quale compenso per le rivestite cariche di amministratori e segnatamente lei la somma di L. 9.000.000 quale vicepresidente della s.r.l. Concorde;

c) che la P. , per la quale, data l’età, non poteva ipotizzarsi una concreta capacità di impiego redditizio, sebbene iscritta all’Albo dei farmacisti di Roma, fruiva, tenuto pure conto dell’importo di Euro 54.227,77, da lei presumibilmente riscosso quale riscatto di una polizza assicurativa scaduta nel 2005, di un capitale pecuniario di complessivi Euro 2.555.667,60, che, senza essere posto a rischio, poteva ritenersi atto a fornirle un rendimento medio non inferiore al 2,5%, corrispondente ad un reddito annuo di Euro 63.891,68;

d) che il F. era titolare di attività imprenditoriale molteplice e ben avviata, tanto che era socio ed amministratore di tre società, ed aveva fruito nel 2004 di un reddito netto di Euro 67.872,00, cui occorreva fare riferimento;

e) che sempre con riguardo al F. , i recenti riscatti delle quote delle case in comproprietà con la P. , non consentivano di concludere per una sua maggiore capacità di spesa, atteso che nel 1999, egli aveva incamerato la sua quota dei risparmi comuni (L. 1.300.000.000);

f) che alla stregua della redditualità di ciascuno degli ex coniugi e del fatto che il F. doveva versare mensilmente Euro 800,00 per il mantenimento della figlia, non sussistevano i presupposti per l’attribuzione alla P. del chiesto assegno divorzile, pur avuto riguardo all’ottimo tenore della loro vita coniugale il ricorso contiene i seguenti due motivi:

1. “Violazione della L. 01.12.1970 n.898, art. 5 co 9 e L. 06.03.1987 n.74, art. 10 e per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa punto decisivo della controversia” con cui la P. si duole per più profili, del confermato diniego di assegno divorzile.

2. “Violazione dell’art. 336 c.p.c.” con riguardo agli effetti dell’accoglimento del primo motivo di ricorso sulla disposta condanna dell’appellante alle spese del grado di merito il primo motivo di gravame appare manifestamente fondato con riguardo dia ritenuta ed avversata insussistenza dei presupposti per la concessione del chiesto assegno in suo favore; al relativo favorevole apprezzamento dovrebbe anche conseguire l’assorbimento del secondo motivo l’impugnata conclusione negativa appare affidata ad un incompleto apprezzamento del tenore della vita coniugale e delle condizioni economiche delle parti, anteriori e posteriori alle sopravvenute divisioni dei risparmi e degli immobili comuni nonché alla liquidazione delle quote societarie intestate alla P. , essendo stato non solo il raffronto delle rispettive situazioni essenzialmente limitato alla comparazione tra la fruttuosità del denaro acquisito dalla ricorrente ed il reddito dichiarato dal F. , con illegittima espunzione del valore delle sostanze di quest’ultimo, rinveniente anche dalle partecipazioni societarie e dagli immobili di sua pertinenza ed in effetti accertabile anche a mezzo di indagini tecniche d’ufficio o tramite indagini di polizia tributaria, ma anche rimasti non valorizzati i cospicui compensi già percepiti mensilmente dai coniugi e la relativa sorte il ricorso può, quindi, essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c. per esservi accolto.

Roma, il 12 settembre 2011″

– la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti. il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte le parti hanno presentato memorie preliminarmente in rito va ritenuta l’irricevibilità degli atti prodotti dal F. in allegato alla memoria da lui presentata, estranei al novero di quelli di cui è ammissibile il deposito ai sensi dell’art. 372 c.p.c., sia pure a dimostrazione della formazione di un presunto giudicato esterno, che nella specie lo stesso controricorrente definisce in fieri e, quindi, inattuale nella depositata memoria il F. ha ribadito le eccezioni di inammissibilità del ricorso della P. , le quali si rivelano insuscettibili di favorevole apprezzamento, nonché sollevato inammissibili o infondati rilievi critici avverso la trascritta relazione quanto alle suddette eccezioni, relativamente a quelle contraddistinte dai nn. 1 e 3, va ribadito che è ammissibile il ricorso per cassazione, che denunzi con unico motivo vizi di violazione di legge e di motivazione, poiché nessuna prescrizione è rinvenibile nelle norme processuali che ostacoli tale duplice denunzia, purché, come è avvenuto nella specie, la relativa illustrazione si riveli atta a consentire di apprezzare in termini distinti e autosufficienti i diversi profili di doglianza, mentre per quanto attiene alla seconda eccezione, l’assenza nel pregresso grado di istanze sollecitatorie all’esercizio (discrezionale e non doveroso) di poteri officiosi da parte della Corte distrettuale, segnatamente volte a disporre o ctu o, ex art. 5 comma 9 legge div., indagini su redditi, patrimoni e tenore della vita coniugale, non assume alcun connotato processuale preclusivo all’esame della doglianza svolta in questa sede, stante sia l’assenza in appello relativamente alla CTU, di prescrizioni e limiti previsti per l’ammissione di nuovi mezzi di prova (in tema cfr Cass. n. 13343 del 2000) e sia l’emersa presenza di pregresse specifiche contestazioni al riguardo e l’espresso diniego di assegno divorzile, confermato in appello e correlato anche al profilo della mancata dimostrazione del tenore e dello stile della vita coniugale (in tema, tra le altre, cfr Cass. n. 8417 del 2000; n. 10344 del 2005, n. 4872 del 2006).

nel merito, va ricordato che:

a) il tenore della vita coniugale va identificato avendo riguardo allo “standard” di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro, e ben può essere desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali, originarie e sopravvenute.

b) la titolarità, in capo al richiedente, di un reddito che gli consenta di fruire di un tenore di vita dignitoso o agiato, ma non corrispondente a quello condotto durante la convivenza matrimoniale, legittima un’integrazione dell’assegno che, pur non consentendo il raggiungimento del medesimo standard di vita goduto in costanza di matrimonio, sia tendenzialmente volto a riequilibrare, sia pure in parte, la situazione economico-sociale dell’ex coniuge.

c) nella disciplina dettata dall’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n.898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, il giudice, chiamato a decidere sull’attribuzione dell’assegno di divorzio, è tenuto a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza – all’atto della decisione – dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio; dunque, è la nozione di adeguatezza a postulare un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali fa costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio (cfr. Cass. n. 20582 del 2010).

d) ai fini della verifica del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, vanno verificate anche le disponibilità patrimoniali dell’onerato ed a tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto pure degli altri e diversi elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio anche mobiliare;

– tanto anche premesso, vanno condivise le argomentate proposte contenute nella depositata relazione, rivelandosi l’impugnata sentenza affetta dai radicali vizi denunciati dalla P. e non aderente alle regole normative ed ai criteri che presiedono alla verifica dell’esistenza o meno dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile prima che dotata di iter motivazionale affetto da incongruenze logiche;

– il primo motivo del ricorso va quindi, accolto, con assorbimento del secondo motivo di gravame e cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Ih Venezia, in diversa composizione.

 

 

 

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