Dichiarazione fraudolenta per chi emette fatture false Cassazione, sez. III, 16 maggio 2012, n. 18788

 

DICHIARAZIONE FRAUDOLENTA PER CHI EMETTE FATTURE FALSE

Cassazione, sez. III, 16 maggio 2012, n. 18788

 

Il reato di dichiarazione fraudolenta sussiste non solo per chi usa fatture false emesse da un altro soggetto ma anche per chi le crea facendo apparire che provengono da altri.

 

Cassazione, sez. III, 16 maggio 2012, n. 18788

(Pres. Mannino – Rel. Gazzara)

 

 

Ritenuto in fatto

Il Gip presso il Tribunale di Napoli, con decreto del 28/2/2011, disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di V.M., indagato del reato di cui agli artt. 416 c.p. e 2 d.lgs. 74/2000, in quanto dalle indagini svolte era emersa la esistenza ed operatività nel territorio napoletano di una organizzazione criminale che, avvalendosi di falsa documentazione sanitaria, consentiva a numerosissimi contribuenti di trasmettere dichiarazioni dei redditi fraudolente, esponendo spese sanitarie mai sostenute, così, pervenendo all’illecito risultato di consentire agli stesi di percepire un rimborso IRPEF non dovuto, pari, complessivamente, ad euro 2.709.783,00.

Il Tribunale di Napoli, chiamato a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del M.V., con ordinanza del 24/10/2011, ha annullato la misura cautelare reale, escludendo che il fatto illecito contestato costituisca reato di cui all’art. 2, d.Lvo 74/2000.

Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, con i seguenti motivi:

– violazione di legge in relazione all’art. 2, d.Lvo 74/2000, rilevando che il Tribunale, in ordine alla sussistenza dei reati fine ha evidenziato, con una motivazione palesemente inesatta, che il fatto contestato non integra il reato di cui al citato art. 2, bensì le diverse ipotesi previste o dall’art. 3 o dall’art. 4 del citato decreto e ciò sull’erroneo presupposto che la fattispecie di cui all’art. 2 fa chiaro riferimento a fatture vere ma con contenuto falso, quando, di contro è agevole sostenere che nessun dubbio vi può essere nella qualificazione giuridica della condotta ascritta all’indagato in relazione proprio all’art. 2;

– il Tribunale ha affermato un principio privo di agganci fattuali in ordine alla circostanza che il sequestro per equivalente applicato al M.V. avrebbe dovuto essere limitato ad una somma pari al 19% di euro 106.000,00, atteso che all’indagato sono stati sequestrati euro 7.900,00.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Il Tribunale si limita a rilevare che, in sede di riesame avverso la misura personale per la stessa contestazione in questo stesso procedimento, è stato escluso che il fatto illecito contestato integrasse il reato di cui all’art. 2, d.Lvo 74/2000.

La ordinanza impugnata è sostenuta da ragioni errate, frutto di non corretta lettura del dettato normativo, per le ragioni che di seguito vengono esplicate.

L’art. 2, d.Lvo 74/2000 dispone che “è punito con la reclusione da un anno a sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte, sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi.

Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fini di prova nei confronti della amministrazione finanziaria.”

Al fine di circoscrivere la portata della norma e rispettare il principio della tassatività della fattispecie penale, il Legislatore, con l’art. 1, lett. a), ha precisato che “per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo, in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate, in tutto o in parte, o che indicano corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi”.

I documenti diversi dalle fatture presi in considerazione dal Legislatore, ai fini della configurabilità del reato in esame, sono quelli destinati, per loro natura, ad avere una funzione integrativa, o comunque di supporto, alla fattura.

Va osservato che per quanto concerne la natura materiale o ideologica della falsità del documento registrato nelle scritture contabili, il reato in questione ha natura bifasica, nel senso che è costituito da un comportamento preparatorio, consistente nella registrazione delle fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti, e da uno finale, costituito dalla indicazione nelle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sull’iva di elementi passivi fittizi.

Orbene, può affermarsi che la condotta conclusiva, ossia la indicazione degli elementi fittizi, configura senza dubbio un falso ideologico, mentre la condotta preparatoria, ossia quella relativa alla registrazione dei documenti che serviranno, poi, di supporto alla dichiarazione può avere per oggetto sia documenti materialmente falsi, che documenti ideologicamente falsi, includente quel particolare tipo di falso documentale di difficile inquadramento nell’una o nell’altra categoria, costituito dalla creazione, ex novo, di un documento non corrispondente al vero: tale tipo di falso è inquadrabile nell’una o nell’altra categoria, a seconda del presupposto che si sceglie per la distinzione del falso ideologico da quello materiale.

Sul punto si precisa che se si parte dalla premessa che il falso materiale investirebbe la forma esteriore del documento e sarebbe perciò riconoscibile, sia pure con mezzi particolari, attraverso segni esteriori, mentre quello ideologico non può essere riconosciuto all’esterno perché riguarda il contenuto del documento, quello in questione dovrebbe essere inquadrato nel falso ideologico, in quanto si è creato ex novo un documento del tutto falso, non riconoscibile per mezzo di segni esteriori, però l’art. 476 c.p. qualifica materiale anche la formazione di un atto totalmente falso.

Il dettato normativo (art. 2) si limita ad affermare che devono essere utilizzati documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti, per cui, potendosi attestare la inesistenza con la creazione ex novo di un documento falso, come avvenuto nella fattispecie, o, del pari, utilizzando un documento ideologicamente falso, emesso da altri a favore dell’utilizzatore, in entrambi i casi va riconosciuta la concretizzazione della violazione de qua.

Quindi la falsità necessaria per il perfezionamento della fattispecie, sanzionata dall’art. 2, consistente nelle diverse ipotesi di inesistenza, contemplata dalle disposizioni definitorie del decreto di riforma dei reati tributario, può essere sia ideologica che materiale (Cass. 10/3/2011, n. 9673; Cass. 12/10/2011, n. 36844).

La fattispecie di cui all’art. 3, d.Lvo 74/2000 è residuale rispetto a quella di cui all’art. 2 ed è configurabile soltanto nei confronti di particolari categorie di contribuenti, oltre ad essere subordinata al superamento di specifiche soglie di punibilità, correlate alla imposta evasa ed agli elementi attivi sottratti alla imposizione.

Ancora più residuale, di poi, si presenta la fattispecie di dichiarazione infedele, ex art. 4, d.Lvo 74/2000, in quanto punisce , fuori dei casi previsti dagli artt. 2 e 3, chiunque si limiti ad indicare in una delle dichiarazioni annuali ai fini delle imposte sui redditi o I.v.a. elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi.

In dipendenza delle considerazioni svolte questo Collegio ritiene di potere affermare, aderendo al principio dettato nelle richiamate pronunce, rese da questa Corte, che il delitto di dichiarazione fraudolenta, mediante l’uso di fatture fittizie, non presuppone che il documento utilizzato debba necessariamente essere emesso da terzi compiacenti, ben potendo essere creato ex novo dall’utilizzatore stesso, facendo apparire la provenienza da terzi, in quanto la ragione della norma sta nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti, al fine di abbattere l’imponibile, e non presuppone il concorso del terzo.

Appare, quindi, evidente la sussistenza del fumus del reato astrattamente ipotizzato.

Privo di agganci fattuali, come rilevato in ricorso, si rivela altresì, quanto ritenuto in ordine al sequestro per equivalente applicato al M.V. che, ad avviso del Tribunale, avrebbe dovuto essere limitato ad una somma pari al 19% di euro 106.000,00, atteso che all’indagato sono stati sequestrati euro 7.900,00.

In dipendenza di quanto osservato questo Collegio ritiene di dovere annullare la ordinanza impugnata, affinché il giudice ad quem, in osservanza ai principi ut supra esplicitati, proceda a nuovo esame.

 

P.Q.M.

 

Annulla la ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli.

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