Il potere sanzionatorio in capo all’AGCOM (AUTORITÀ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI) Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 11 maggio 2012 n.12 (R.Cicco)

 

IL POTERE SANZIONATORIO IN CAPO ALL’AGCOM (AUTORITÀ PER LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI)

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 11 maggio 2012 n.12

Raffaella Cicco

(Estratto da Diritto e Processo formazione 7-8/2012)

 

 

In generale, le autorità amministrative indipendenti possono definirsi quali corpi amministrativi dotati di peculiari competenze tecniche, volti alla cura di settori sensibili, nonché di una funzione di regolamentazione e tutela di interessi collettivi in ambiti di vita sociale  al fine di evitare  pericoli di condizionamento da parte del potere politico. In tale ottica, esse rappresentano l’occasione per ribadire il pensiero politico illuministico, nella misura in cui danno attuazione, fra gli altri, al principio di separazione dei poteri, moderando l’eccessiva concentrazione di poteri nelle mani dei medesimi individui o gruppi sociali. Per meglio dire, le authorities si iscrivono nel fenomeno di progressiva recessività del modello di gestione diretta statuale a fronte  dell’emersione di interessi e valori sostanziali rispetto ai quali  gli apparati istituzionali tradizionali si sono dimostrati impreparati per carenza di tecnicismo. Ne deriva l’esigenza di affidare la regolamentazione di determinati settori, quali concorrenza e mercato, dati personali, contratti pubblici e servizi pubblici nonché il settore della comunicazione, ad organismi terzi ed imparziali che agiscano in veste neutra per il perseguimento dell’interesse obiettivo preposto dall’ordinamento.

Ciò premesso, molteplici sono le questioni che hanno investito la tematica in esame, prime fra tutte la loro natura e copertura costituzionale nonché il concetto di indipendenza.

A ben vedere, tutte le questioni citate trovano il loro fondamento proprio nelle funzioni generalmente attribuite a siffatte autorità, se sol si considera che alla canonica funzione autoritativa, tipica della P.A., vi si affiancano funzioni regolatorie, tutorie e giusdicenti, ossia funzioni di garanzia dell’applicazione della legge  nel settore di riferimento attraverso attività di vigilanza, regolamentazione in applicazione di norme primarie o la risoluzione di eventuali conflitti. In altri termini, le autorità indipendenti sono chiamate a svolgere un ruolo di arbitro e tutore, dirimendo, in via preventiva, potenziali conflitti, tanto più se essi producono effetti lesivi per interessi collettivi o diffusi. Può, in tal senso, parlarsi di una sorta di anticipazione  della tutela giurisdizionale, con la precisazione che si tratta pur sempre di organismi che applicano la legge in un’ottica di marcata discrezionalità tecnica. Sotto tale ultimo profilo, esse, invero, non si pongono come sostitutive del giudice, semplicemente suppliscono e ne integrano l’attività, la quale rimane riservata al giudice ed ai suoi ausiliari, con la doverosa precisazione che la neutralità della funzione arbitrale-tutoria è concettualmente distinta dall’imparzialità, ex art. 97 Cost. Infatti, se imparzialità significa equità di condotta, neutralità significa essere terza e non condizionata, caratteristica questa limitata alle sole funzioni giusdicenti, non estendibili all’attività puramente amministrativa di comparazione di interessi.

Pertanto, sintetizzando, in questa sede, le conclusioni cui sono pervenute dottrina prevalente e giurisprudenza maggioritaria, le autorità amministrative indipendenti hanno natura amministrativa, con tutti i corollari che ne discendono, ossia sono soggette anch’esse alla legge 241/1990, si pensi alla disciplina dell’accesso ex art. 23 della medesima legge, si fa applicazione temperata della normativa del pubblico impiego, nonché sono sottoposte al controllo gestionale della Corte dei Conti, come sostenuto di recente dalla Corte Costituzionale, e sono dotate, altresì, di poteri regolamentari e normativi in conformità al principio di legalità e gerarchia delle fonti in una dinamica di razionale distribuzione dei ruoli e delle competenze. Ancora, trattandosi di organismi svincolati dal potere politico, esse non sono riconducibili al modello delineato dall’art. 95 Cost., trattandosi di norma che impone un quid minimum di dipendenza dal Governo, bensì a quello dettato dal successivo art. 97 Cost., vista l’imparzialità qualificata.  Fermo restando che l’attribuzione alla magistratura di conoscere in ultima istanza le decisioni delle authorities esclude che si possa parlare di giudici speciali, i principi di efficienza ed imparzialità, ex art.97 Cost., consentono una nuova forma di organizzazione capace di garantire, già in fase pre-giurisdizionale, l’applicazione della legge a tutela di interessi costituzionali in settori socialmente sensibili. Pertanto, in un’ottica residuale, è attività amministrativa tutto ciò che non rientra nella competenza di giudici e Camere, senza che assuma rilievo il contenuto delle funzioni concretamente svolte, in quanto nell’assetto costituzionale non c’è spazio per un tertium genus tra amministrazione e giurisdizione.

Tutto quanto detto in via preliminare sulla genesi delle autorità amministrative indipendenti, occorre ora vagliare la possibilità che alle medesime sia attribuito anche un potere sanzionatorio, valutando i termini in cui una norma generale in materia di tutela del consumatore, affidata all’Antitrust, debba cedere il passo a fronte della disciplina di settore delle comunicazioni elettroniche, in coerente applicazione con il principio di specialità noto al nostro ordinamento. 

In particolare l’Adunanza Plenaria 12/2012 ne fa una questione di puro principio, nella misura in cui essa è chiamata a dirimere un conflitto di competenza tra l’Autorità garante delle comunicazione e l’Autorità antitrust in materia di attività di cd. repricing. Più precisamente, nel caso in esame TELECOM ha denunciato l’incompetenza di Antitrust ad irrogare sanzioni a fronte del comportamento tenuto per comunicare ai propri abbonati la rimodulazione di piani tariffari (la cd. manovra repricing) con conseguente dedotta illegittimità della delibera impugnata, con la quale è stata vietata l’ulteriore diffusione della pratica ritenuta scorretta ed è stata irrogata la sanzione pecuniaria.

Premesso che la voluntas legis, in generale, è quella di evitare sovrapposizioni di discipline di diversa fonte e portata , così risolvendosi un eventuale conflitto in favore della normativa maggiormente caratterizzata da elementi di specificità, non può sottacersi che la disciplina generale opera, comunque, come livello minimo, ma essenziale, di tutela. Con particolare riferimento alla materia che qui ci riguarda, poi, l’analisi normativa induce ad affermare che la reale intenzione perseguita dal legislatore è quella di garantire la tutela del consumatore/utente nell’ambito di una regolamentazione che investe tanto i principi quanto gli specifici comportamenti, altrimenti negandosi qualsiasi competenza in capo all’AGCom ad intervenire con atti regolatori o linee di indirizzo a tutela dei consumatori.

Alla luce di tale premesse, si rende necessario comprendere quale rapporto intercorre tra la disciplina generale contenuta nel Codice del Consumo (d.lgs.20672005)  e quella di settore dettata dal Codice delle comunicazioni elettroniche nonché dai provvedimenti, attuativi ed integrativi, adottati dall’autorità stessa.

Come noto, il codice del consumo, al titolo III, adottando il criterio della diligenza professionale, considera ad esso contrari tutti quei comportamenti idonei a limitare in modo considerevole o ad elidere del tutto la liberta di scelta contrattuale o di comportamento del consumatore in relazione al servizio offerto.

In particolare, una pratica commerciale deve considerarsi ingannevole ed omissiva allorquando ai consumatori non sono fornite informazioni esatte e complete circa la natura, le caratteristiche e, nel caso concreto oggetto di analisi, le condizioni delle variazioni del piano tariffario (quali costi della variazione e loro ammontare, costi del recesso, modalità di rimborso del credito residuo in caso di passaggio ad altro operatore e del bonus maturato ai fini di eventuali autoricariche), tali da indurli in errore e ad assumere una decisione commerciale che non avrebbero altrimenti preso. Inoltre, la medesima pratica deve considerarsi, altresì, aggressiva se idonea a limitare parimenti la libertà di scelta o di comportamento dei consumatori nella misura in cui le modalità adottate per procedere alla comunicazione della modifica del piano tariffario, anche per le circostanze temporali, si possono fondare su un indebito condizionamento.

Ciò posto, nel caso sottoposto all’attenzione dell’Adunanza Plenaria, il comportamento contestato all’operatore economico con il provvedimento Antitrust impugnato appare interamente disciplinato dalle norme di settore, che impongono determinati obblighi comportamentali agli operatori delle comunicazioni elettroniche. A sostegno nonché a titolo meramente esemplificativo, sufficiente appare il richiamo dell’art. 2 della delibera 664/06/CONS, che disegna una fitta rete di adempimenti e cautele in capo all’operatore che intende procedente alla stipulazione di contatti a distanza per la fornitura di beni/servizi di comunicazione elettronica, in questo modo dando corpo, sul piano concreto, alla disciplina di principio, o comunque a trama non fitta, contenuta negli artt. 70 e 71 del Codice delle comunicazioni elettroniche. È evidente, allora, come tale corpus normativo  sia connotato da requisiti di specificità rispetto alla disciplina generale rappresentata dal Codice del consumo.

Ora, ai sensi dell’art. 19, comma 3, del Codice del consumo, in caso di contrasto, prevalgono le norme che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette. La norma si iscrive nell’ambito del principio di specialità (principio immanente e di portata generale sul piano sanzionatorio nel nostro ordinamento, come si evince dall’art. 15 del cod. pen. e dall’art. 9 della legge n. 689 del 1981), ai sensi del quale non si può fare contemporanea applicazione di due differenti disposizioni normative che disciplinano la stessa fattispecie, ove una delle due disposizioni presenti tutti gli elementi dell’altra e aggiunga un ulteriore elemento di specificità (o per aggiunta o per qualificazione). 
La disciplina recata dal Codice delle comunicazioni elettroniche e dai provvedimenti attuativi/integrativi adottati da AGCom presenta proprio requisiti di specificità rispetto alla disciplina generale. Tuttavia, ad avviso dell’Adunanza, ciò non basta al fine di escludere la possibilità che residuino campi di intervento dell’Autorità antitrust, dovendosi verificare la completezza della disciplina di settore.

A tal proposito, si osserva che il rischio di deficit di tutela è scongiurato dalla presenza di clausole generali anche nella disciplina di settore, le quali garantiscono una copertura della disciplina regolatoria, nonostante il rinvio di cui all’art. 70 , comma 6, Codice delle comunicazioni elettroniche, a norma del quale è ferma l’applicabilità delle disposizioni in materia di tutela del consumatore. Invero, secondo l’Adunanza, si tratterebbe di un rinvio dinamico, ossia di un rinvio a qualunque altra disposizione che si ponga a tutela di siffatti interessi nell’ottica di chiusura del sistema. Pertanto, la coerenza logico-sistematica dell’azione repressiva-sanzionatoria richiede, dal canto suo, che si superino le contrapposizioni tra autorità diverse, eventualmente preposte ad una tutela ex ante, l’una, ed ex post, l’altra, così devolvendo l’intero settore ad un’unica autorità competente.

A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, le sanzioni inflitte dall’Antitrust non sono maggiormente gravose rispetto a quelle irrogabili dalla diversa Autorità garante delle comunicazioni, cui anche spettano poteri inibitori e conformativi di pari intensità, fermo restando che ambo le autorità devono ispirare il proprio agere al principio di collaborazione e uniformità dell’azione.

Ne deriva che, qualora una impresa abbia posto in essere attività di repricing (cioè di comunicazione con SMS agli utenti delle variazioni dei piani tariffari di abbonamento di telefonia mobile, con avvisi su tre maggiori quotidiani a diffusione nazionale e la possibilità di consultazione sul sito internet), in ragione delle regole speciali del settore la sanzione per la commissione di una pratica scorretta, perché ingannevole ed omissiva, può essere irrogata dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, non già dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato. Del resto, come osservato dall’Adunanza, si tratta di una soluzione conforme al principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione, così evitando di sottoporre gli operatori a duplici procedimenti per i medesimi fatti nonché escludendo la possibilità che le due autorità pervengano a soluzioni differenti, senza, poi, considerare, la potenziale violazione del principio di proporzionalità nell’ipotesi di cumulo materiale delle sanzioni da parte di ambo le autorità.

 

 

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here