RICICLAGGIO ED AUTORICICLAGGIO : COME INTERVENIRE?
Commento al 648bis c.p.
Flavia Zarba
Il riciclaggio si qualifica come delitto accessorio, inscindibilmente collegato ad un delitto presupposto. Da questo incontestabile assunto prende avvio una riflessione che da anni logora le menti penaliste più eccelse.
Il problema su cui tanto ci si logora è la non punibilità, stante la clausola di riserva, deconcorrente e del partecipe nel delitto principale.
Per comprendere a fondo la riflessione su cui ci si arrovella occorrerà precisare che il 648 bis c.p. è reato plurioffensivo i cui beni giuridici tutelati afferiscono a valori dell’ordinamento variegati e fra loro eterogenei.
Da un lato il patrimonio, dall’altro l’ amministrazione della giustizia nonché l’ordine pubblico ed economico.
Tale elenco, fornito per mera dovizia di particolari urge della precisazione per cui il “bene principe” a favore del quale la fattispecie incriminatrice è posta a presidio è il patrimonio, inteso quale aggregazione di beni, diritti ed utilità riconnessi alla sfera di proprietà di un soggetto. L’impianto codicistico originario prevedeva, infatti, la punibilità del riciclaggio quale condotta accessoria ad un delitto principale non colposo, inizialmente individuato, con la legge n. 55 del 19 gennaio 1990, nelle fattispecie di rapina aggravata, estorsione aggravata, sequestro di persona a scopo di estorsione e ai delitti concernenti la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.La successiva formulazione del 648 bis codice penale ha sostituito all’elenco specifico di delitti la generica dizione “delitto non colposo”.
La condotta è rimasta immutata consistendo nella sostituzione nel trasferimento o in qualsiasi altra operazione anche in forma omissiva.
Tali, accennati, elementi strutturali della fattispecie in analisi manifestano l’accessorietà del riciclaggio. L’intento politico criminale è sempre stato quello di escludere la punibilità per un post factum che si viene a configurare come sbocco naturale e tipico dell’attività delittuosa principale, la quale esaurisce in sè il disvalore della fattispecie.
Ma dove si rinviene una tale ratio giustificatrice? Forse nella necessità di evitare una violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, ossia nel divieto della doppia punibilità per uno stesso fatto, principio generale del nostro ordinamento ?
All’occhio attento di un giurista una tale giustificazione non pare degna di nota.
Non v’è chi non sappia infatti che il divieto del ne bis in idem ha come base indefettibile l’omogeneità dei beni giuridici tutelati rispettivamente dal delitto principale e da quello accessorio.
Solo in tale caso è, infatti, giustificabile la non punibilità fondata sul meccanismo della progressione criminosa e del post factum non punibile.
Detta omogeneità si verifica, ad esempio, nel caso specifico della ricettazione, posto che il soggetto che commette un delitto non colposo, ove non decida di tenere il corpo del reato per sé, quasi certamente si determinerà a far circolare il bene per ottenerne maggior vantaggio.
In tale seconda evenienza, il colpevole del delitto principale non sarà punito per l’eventuale successiva condotta di ricettazione, poiché quest’ultima vede già esaurito il disvalore penale del fatto nella punibilità del delitto cui il 648 cp accede.
Quanto sin qui correttamente dedotto non può dunque estendersi nella fattispecie di riciclaggio ex art. 648 bis cp. che si distingue dalla ricettazione per la molteplicità ed eterogeneità dei beni giuridici tutelati.
Accanto alla tutela del patrimonio dei soggetti passivi del delitto si rinvengono nuovi beni giuridici fondamentali, posti a presidio di interessi fondamentali nella società contemporanea, fondata sul libero mercato e sulla concorrenza come accennato in apertura.
Trattasi di una corretta amministrazione della giustizia, compromessa dall’occultamento o dalle operazioni sostitutive del denaro e dei beni provenienti da delitto (operazioni comportanti seri deficit di tracciabilità dei flussi finanziari) nonché la tutela del libero mercato concorrenziale distorto dal reinvestimento delle somme provenienti dal delitto principale, le quali consentono agli investitori una doppia agevolazione, ossia di “ripulire” il denaro sporco e ottenere, al tempo stesso, una paradossale posizione di privilegio sul mercato.
Posizione certamente privilegiata quella dovuta alla maggiore disponibilità di liquidi immediati, una disponibilità che diventa maggiormente preziosa in un periodo di crisi globale dell’economia e degli investimenti privati.
Suddetti beni giuridici non si rivelano affatto omogenei rispetto al bene “patrimonio” degradato esso stesso a bene secondario rispetto ai superiori interessi tutelati di rilevanza pubblicistica. Quanto sin qui in commento che incentra l’attenzione sulla molteplicità ed eterogeneità degli interessi protetti dalla norma del riciclaggio consente di carpire l’attenzione del giurista all’avanguardia circa l’esigenza di superare la ormai anacronistica e statica concezione del 648 bis cp inteso come reato monoffensivo contro il patrimonio.
Ne consegue che, venendo meno la “ratio” della clausola di esclusione della punibilità “fuori dai casi di concorso nel reato”, erroneamente fondata sul rispetto del “ne bis in idem”, la fattispecie del 648 bis c.p. diventa autonoma perché in grado di esprimere un disvalore decisamente più inteso e pregnante rispetto a quello del delitto presupposto, il quale spesso si manifesta come mero presupposto indipendente per la commissione del riciclaggio, potendo a volte consistere in un reato bagatellare o lesivo di beni giuridici di minore rilevanza per l’ordinamento rispetto al 648 bis cp e de iure condendo si auspica un tempestivo intervento leglislativo volto alla repressione del fenomeno sempre più attuale e dirompente.
In altri termini, la scelta di politica criminale operata dal legislatore e qui commentata dovrà essere rivista alla luce della evoluzione della società contemporanea, le cui esigenze di trasparenza e tracciabilità dei flussi finanziari sono fondate sulla necessità di garantire agli operatori l’interazione in un libero mercato concorrenziale, privo di storture, ed agevolate dalla normativa vigente, ad oggi impropria, in quanto carente ed atecnica.