Il trust-interno: inquadramento civilistico (E. W. Di Mauro)

 

IL TRUST-INTERNO: INQUADRAMENTO CIVILISTICO

Ettore William Di Mauro

 

 

  1. Il negozio fiduciario.

Si parla di negozio fiduciario quando un soggetto, detto fiduciante, trasferisce (senza corrispettivo) o fa trasferire da un terzo[1] ad un fiduciario la titolarità di un bene[2], ma il patto (factum fiduciae) che l’intestatario utilizzerà e disporrà del bene esclusivamente in conformità alle istruzioni che il fiduciante gli ha già impartito o si riserva di impartirgli successivamente.

Nel negozio fiduciario le parti vogliono effettivamente che il fiduciario acquisti la titolarità del diritto trasferitogli, ma vogliono al contempo che egli non utilizzi questa titolarità nel proprio interesse, bensì solo nell’interesse del fiduciante e attenendosi alle sue istruzioni[3].

Il negozio fiduciario non è regolato nel codice civile, tranne per quanto riguarda le disposizioni fiduciarie contenute in un testamento ex art. 627 c.c., ma non si dubita che sia consentito nell’ambito della generale autonomia contrattuale riconosciuta ai privati ex art. 1322, comma 2, c.c., a meno che sia diretto a realizzare finalità illecite (artt. 1344 e 1345 c.c.).

La giurisprudenza tende a fissare la distinzione tra negozio fiduciario e negozio simulato appunto in dipendenza del fatto che i relativi effetti siano o meno stati voluti dalle parti: mentre il negozio simulato è fittizio, e non trasferisce alcuno diritto al simulato acquirente, il negozio fiduciario è “vero e reale”, ossia voluto dalle parti: il fiduciario, perciò, diviene effettivamente titolare del bene a lui fiduciariamente trasferito, ma è gravato dall’obbligo di gestire il bene e di disporne secondo le istruzioni del fiduciante.

Queste due diverse ricostruzioni hanno precise conseguenze sotto il profilo delle azioni di tutela esercitabili: il simulato alienante può esercitare nei confronti del simulato acquirente un’azione di accertamento, volta a fare dichiarare l’inefficacia del trasferimento simulato, e dunque la perdurante proprietà a suo favore; il fiduciante può agire, allegando il patto fiduciario, per ottenere l’esecuzione coattiva dell’obbligo del fiduciario, di trasferire (o ritrasferire) la proprietà al fiduciante medesimo: pretesa che è suscettibile di tutela mediante esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, ai sensi dell’art. 2932 c.c.

 

  1. Una forma di fiducia: il Trust.

Dal 1 gennaio 1992 è entrata in vigore anche in Italia (a seguito della Legge n. 364 del 16 ottobre 1989, che ne ha autorizzato la ratifica) la Convenzione internazionale relativa alla legge regolatrice dei trusts ed al loro riconoscimento, firmata all’Aja il 1 luglio 1985.

Il trust, vigente nei Paesi di Common Law, è un complesso di rapporti giuridici, istituiti da una persona (settlor of the trust) con atto inter vivos o mortis causa, intestandoli a un fiduciario (trustee) che viene investito del potere e dell’obbligo di amministrare, gestire e disporre dei beni secondo le istruzioni del setto, cui deve rendere conto[4].

La Convenzione dell’Aja era stata stipulata al fine di regolare il riconoscimento, da parte dei Paesi il cui ordinamento interno non conosce il trust, dell’efficacia giuridica dei trusts costituiti nei paesi anglosassoni; il problema si poteva porre quando, per esempio, un cittadino straniero avesse conferito in un trust, costituito secondo la propria legge nazionale, beni siti in Italia, cosicché ci si domandava quali poteri e prerogative giuridiche si potessero riconoscere al trustee nel caso in cui fosse insorta in Italia una lite relativa ai beni conferiti nel trust.

La ratifica della Convezione ha però aperto un delicato interrogativo, concernente l’ammissibilità della costituzione di un trust anche da parte di cittadini italiani e relativamente a beni siti in Italia ( c.d. “trust interno”).

La questione è oggetto di dibattito[5]. Alcune opinioni dottrinali[6] e provvedimenti giurisdizionali[7] hanno preso posizione nel senso dell’ammissibilità sia della costituzione di siffatti trusts interni sia della loro trascrizione nei registri immobiliari, qualora abbiano per oggetto beni immobili; altri, invece, hanno espresso posizione contraria, ritenendo un tale strumento negoziale non compatibile con l’assetto attuale del nostro ordinamento, e in particolare, con il peculiare regime della trascrizione immobiliare.

La tesi favorevole all’ammissibilità del trust interno è ormai prevalente, soprattutto nella prassi applicativa[8]. La discussione ha ricevuto ulteriori spunti dall’introduzione nel codice civile dell’art. 2645ter (ad opera della Legge n.51 del 23 febbraio 2006), che ammette la trascrizione di determinati atti di destinazione di beni, con effetti che più di un interprete individua come assimilabili a quelli propri di un trust, deducendone che, con quella norma, il legislatore avrebbe definitivamente sancito la compatibilità del trust con l’ordinamento italiano.

 

 

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