Questioni attinenti all’istituto tracciato dall’art. 1578 c.c. (L. Presutti)

 

QUESTIONI ATTINENTI ALL’ISTITUTO TRACCIATO DALL’ART. 1578 C.C.

Luca Presutti

 

 

Nell’intento di affrontare alcuni aspetti specifici della disciplina attinente normativa di cui all’art. 1578 c.c.,  è opportuno esordire illustrando sinteticamente un caso di specie.

Si prenda l’ipotesi di un rapporto locatizio intercorrente tra Tizio (locatore)  e Caio (locatario), avente ad oggetto un bene immobile destinato allo svolgimento di un’attività commerciale aperta al pubblico (attività di gelateria). Al riguardo, il sig. Tizio fornisce al conduttore anche certificato di agibilità. Tuttavia, dopo un anno, il conduttore Caio scopre che l’immobile da esso condotto risulta essere sprovvisto di collegamento con la rete fognaria Comunale: ciò ha determinato un ristagno di acqua putrida e liquami all’interno del locale commerciale, con conseguenti ripercussioni negative soprattutto in ordine alla propria immagine. Peraltro, nel corso del rapporto locatizio, il locatore ottiene convalida di sfratto per morosità in ordine ad alcune mensilità. Solo a seguito del rilascio dell’immobile, il sig. Caio intende adire l’autorità giudiziaria per la tutela delle proprie ragioni.

Non v’è dubbio che  il caso appena descritto, per gli attenti operatori del diritto, sollevi alcune questioni di carattere pratico – giuridico relativamente  agli strumenti di tutela da apprestare al conduttore, che abbia condotto un bene strutturalmente viziato.

Innanzitutto, sarebbe opportuno distinguere la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. da quella prevista e riconosciuta dall’art. 1578 c.c.

La risoluzione ex art. 1453 c.c., infatti, troverebbe fondamento nella circostanza che il locatore, al momento della definizione del negozio contrattuale, abbia consegnato un bene immobile che, di fatto (contrariamente a quanto risultante dal certificato di agibilità allegato al contratto), non risultava idoneo all’uso dedotto in contratto, con ciò venendosi a configurare un’ipotesi di cui all’art. 1197 c.c. (prestazione in luogo di adempimento).

Al riguardo, si richiama la Cass. Civ. Sez. III, n. 4598/2000, laddove precisa quanto segue: “ la destinazione d’uso – il cui mutamento, con o senza opere, può essere richiesto solo da proprietario – è un elemento che caratterizza l’immobile in relazione alla sua capacità di assolvere una determinata funzione economico – sociale e, quindi, di soddisfare in concreto il bisogno che ha indotto il conduttore a chiederlo in locazione; ne discendo che, quando detto bisogno non può essere soddisfatto perché l’immobile concesso non possiede le caratteristiche garantite dal locatore, questi deve essere considerato inadempiente per consegna di “alidud pro alio” …”.

A tale tipo di azione risolutiva, come si diceva, si contrappone quella prevista e disciplinata dall’art. 1578 c.c., che attribuisce al conduttore il diritto potestativo di chiedere ed ottenere la risoluzione del contratto (oltre che una riduzione del corrispettivo), per il semplice fatto che la cosa sia affetta da vizi che ne diminuiscano apprezzabilmente il godimento. In altre termini, la disposizione suddetta prefigura quindi l’immunità da vizi della cosa come una vera e propria obbligazione, il cui inadempimento o inesatto adempimento porta alla risoluzione del contratto (o alla riduzione del corrispettivo).

La distinzione tra di due tipi di azioni di risoluzione, peraltro, potrebbe essere rilevante sotto il profilo dell’eventuale domanda risarcitoria nel caso in cui si volesse dare credito al principio espresso dalla Cassazione Civile Sez. III, n. 6580 del 14/03/2013, secondo cui “ ….la domanda di danni ex art. 1578 c.c., comma 2, per vizi della cosa, oltre a non essere configurabile autonomamente da quella di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo […].

Con tale pronuncia la Cassazione ha voluto evidenziare in maniera chiara che gli istituti in esame non sarebbero identici o comunque sovrapponibili.

Ciò a maggior ragione se si considera che la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale (proposta ex art. 1453 c.c.) può essere proposta congiuntamente o separatamente da quella di risoluzione: dunque la tutela risarcitoria prescinde da un’eventuale pronuncia di risoluzione (Cass. Sez. III, 19 luglio 2008, n. 20067).

Ciò posto, occorre altresì evidenziare come l’azione di risoluzione che il conduttore dovesse intraprendere (ex art. 1453 c.c. e/o ex art. 1578 c.c.) possa essere intrapresa anche a seguito di una convalida di sfratto. Sul punto si richiama la Cass. Civile Sez. III, 17 luglio 2008, n. 19695: “l’ordinanza di convalida di sfratto è un provvedimento giurisdizionale irrevocabile che ha valore di cosa giudicata sostanziale per la risoluzione del contratto di locazione e per la condanna al rilascio; tale provvedimento, tuttavia, non preclude la pronuncia, in un successivo e distinto giudizio, della sentenza di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento anteriormente verificatosi, la cui domanda ha contenuto e presupposti diversi,e  tale pronuncia, sebbene di carattere costitutivo, avendo efficacia retroattiva al momento dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1458 c.c., prevale rispetto alle altre cause di risoluzione del medesimo rapporto contrattuale per la priorità nel tempo dell’operatività dei suoi effetti “.

Un’ultima questione che lo scrivente intende affrontare (precisando che il presente scritto vuole offrire con umiltà un possibile contributo interpretativo) concerne la possibile azione di riduzione dei canoni prevista dall’art. 1578 c.c., in alternativa a quella di risoluzione.

Infatti, se si dà per pacifico che la risoluzione ex art. 1578 c.c. possa essere richiesta anche a seguito del intervenuta convalida di sfratto, e dunque dopo che il contratto di locazione si è estinto – con conseguente accertamento retroattivo al momento dell’eventuale inadempimento de locatore – a mio sommesso parere non sembra condivisibile l’orientamento  giurisprudenziale che sembra escludere la possibilità di esperire l’azione di riduzione dei canoni corrisposti (con conseguente restituzione dell’indebito) a contratto già concluso e/o estinto.

Sul punto è stato possibile rinvenire soltanto due sentenze pronunciate dal Tribunale di Salerno (del 18/01/2006 e del 18/01/2008), dove si esprime quanto segue: “ la sentenza che pure accolga la domanda di riduzione del canone può retroagire al momento della proposizione di essa, e non già a quello dell’evento o della scoperta dei vizi, non comportando perciò mai una riduzione dell’intero rapporto e lasciando comunque intatte le prestazioni già eseguite”.

In realtà, a ben vedere, la suddetta pronuncia sembra esprime una contraddizione giuridica laddove richiama indirettamente  il principio di cui all’art. 1458 c.c. (“la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite”).

Infatti, se è vero che nei contratti come quelli di locazione, che si definiscono ad esecuzione continuata o periodica, i canoni corrisposti non possono essere ripetuti, non si comprende come il Tribunale di Salerno possa derogare (parzialmente) a tale principio riconoscendo una ripetizione dei canoni (nella misura ridotta che può essere stabilita dal Giudice) a partire dalla proposizione della domanda di riduzione ex art. 1578 .c.c.

In ogni caso, sembrerebbe che la suddetta domanda non goda di sufficiente carica tutelare in ordine alla posizione del conduttore, che si sia trovato a non godere pienamente dell’immobile concesso in locazione e che, pur tuttavia, è costretto comunque a corrispondere i canoni di locazione, non essendo ammessa la cd. Autoriduzione.

In definitiva, alla luce di ciò sembra che al conduttore sia preclusa la possibilità di domandare la ripetizione in misura ridotta e proporzionata dei canoni versati,  laddove la relativa domanda sia avanzata a conclusione del contratto di locazione.

Tuttavia, a mio sommesso parere, una possibile soluzione contraria a quanto appena asserito (in deroga, dunque, a  quanto sancito dall’art. 1458 c.c) potrebbe trovare fondamento in un ragionamento giuridico espresso nella sentenza  Cass. Civile Sez. I, 24 giugno 1995, n. 7169.

In quest’ultima infatti si legge che “per prestazioni già eseguite da non restituirsi, ai sensi dell’art. 1458 c.c., debbono intendersi soltanto quelle che abbiano un autonomo e completo valore satisfattivo per le ragioni del creditore, nel senso che non si estende l’inefficacia retroattiva della risoluzione solo a quelle prestazioni in cui il debitore abbia pienamente soddisfatto le ragioni del creditore.”

Dunque, applicando il suddetto principio al caso di specie, a fronte della dedotta inadempienza (del locatore,   di aver dato in godimento un bene non funzionalmente idoneo all’uso pattuito), il conduttore, che aveva eseguito – durante l’esecuzione del contratto – la propria prestazione periodica consistente nel versamento dei canoni, si porrebbe nella posizione del creditore non pienamente soddisfatto a causa di vizi strutturali che inficiavano il bene locato.

 

 

 

 

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