Accordo CARD: sulla inopponibilità/inammissibilità

ACCORDO CARD: SULLA INOPPONIBILITÀ/INAMMISSIBILITÀ

Giudice di Pace di Civitanova Marche, 02 dicembre 2013

(Giudice di Pace Avv. Giuseppe Fedeli)

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’intervento spiegato dalla ……… ……… SpA è inammissibile sotto molteplici angolature. In ordine alla eccepita carenza di legittimazione della costituita ……… ……… SpA, parte attrice ha contestato la costituzione chiedendo l’estromissione di questa per carenza di legittimazione avendo, ab origine escluso, per scelta del danneggiato la facoltà di ricorrere all’indennizzo diretto, volendo agire secondo il disposto di cui all’art.2054 c.c. ed anche in virtù dell’invocata sentenza della Corte Costituzionale n.180/2009 che ha contemplato la facultas agendi in favore del danneggiato ( GdP di Bologna 10538/2011;GdP Torino 10842 del 28.11.2011; GdP Prato 1564/2011). Parte convenuta ha eccepito dal canto suo che la legittimazione sarebbe sussistente in virtù della Convenzione tra imprese di assicurazioni per il risarcimento diretto (C.A.R.D.), producendo a sostegno delle proprie asserzioni sentenza del Tribunale di Milano n.13052/11 del 28.10.2011. Osserva il giudicante che il principio prevalente è quello di assicurare al danneggiato la migliore tutela, aspetto cristallizzato anche nella citata sentenza della Consulta. Con la sentenza 389 del 22 gennaio 2013 del Tribunale di Torino è stata ribadita l’inammissibilità dell’intervento, anche “dissimulato” attraverso il sistema di deleghe incrociate. Oltre a non trovare fondamento normativo nel CdA, l’intervento spiegato dall’assicuratore del danneggiato nel giudizio promosso da quest’ultimo nei confronti del responsabile civile pare infatti carente (…) dei presupposti di cui agli artt. 105 e 100 c.p.c., non avendo l’assicuratore del danneggiato alcun interesse alla soccombenza del suo assicurato di fronte al responsabile civile evocato in giudizio. Quanto, poi, agli accordi intervenuti fra assicuratori (convenzione CARD, invocata dall’odierna convenuta), “trattasi di atti di natura privatistica che non possono legittimare l’esercizio di diritti davanti all’Autorità Giudiziaria in contrasto con le norme che disciplinano la materia”; diversamente opinando, l’azione ex art. 149 CdA che la Corte Costituzionale ha chiarito essere facoltativa ed aggiuntiva nell’interesse dell’assicurato diventerebbe -per effetto di un accordo cui l’assicurato è estraneo che impone all’assicuratore del responsabile di ‘rinviare’ il danneggiato al suo assicuratore –obbligatoria in contrasto con l’insegnamento della Corte. Anche il Tribunale di Prato, nella recentissima sentenza 774 del 6 giugno 2013 (reperibile sul sito www.unarca.it) ha censurato la condotta della compagnia del danneggiato che ”si è costituita nel predetto giudizio “in proprio e quale mandataria ex art. 1 bis Convenzione Card 2011 della” altra compagnia “ come testualmente indicato in comparsa di costituzione e quindi in una duplice veste, spiegando pertanto in un unico atto un anomalo intervento volontario, nonostante l’attrice abbia optato per l’azione ordinaria ex art. 144/148 nei confronti del responsabile civile e del suo assicuratore e non per l’azione diretta nei confronti del proprio assicuratore. Tale intervento volontario non rinviene alcuna previsione nella normativa specifica di settore rappresentata dal Codice delle Assicurazioni e difetta altresì dei presupposti ex artt. 100 e 105 c.p.c., non individuandosi –per l’appunto- alcune interesse dell’assicuratore del danneggiato alla soccombenza del proprio assicurato di fronte al responsabile civile evocato in giudizio. Per quanto attiene più specificamente agli accordi intervenuti fra gli assicuratori e cristallizzati nella Convenzione Card del 2011 indicata dalla compagnia del danneggiato, trattasi di atto di natura privatistica, privo di efficacia esterna nei confronti dei terzi ed inidoneo pertanto a legittimare l’esercizio in giudizio di diritti altrui al di fuori dei casi e dei modi consentiti per legge. La convenuta Fondiara ……… SpA  non risulta inoltre munita di valida ed efficace procura speciale che le consenta ex art. 77 c.p.c. di agire in giudizio in nome e per conto della compagnia del responsabile civile, atteso che il documento prodotto e recante l’intestazione “mandato irrevocabile di rappresentanza” attribuisce genericamente alla impresa assicuratrice del danneggiato, anche questa genericamente intesa, il potere di agire in nome e per conto o solo per conto dell’impresa che risulti di volta in volta essere assicuratrice del responsabile. E’ evidente che tale atto, pur nell’autenticazione da parte di un notaio della firma del legale rappresentante dell’ altra compagnia, non possiede i requisiti di forma né di sostanza per essere qualificato come procura suscettibile di produrre un fenomeno di rappresentanza sostanziale che legittimi quella processuale e quindi si pone patente in violazione dell’art. 81 c.p.c. Ora, ulteriore conferma giunge dalla sentenza 4618/13 sempre del Tribunale di Torino che ribadisce l’inammissibilità dell’intervento per carenza di interesse, chiarendo come la costituzione in giudizio della compagnia “quale mandataria della …in forza di mandato con rappresentanza” costituisca comunque un intervento e come tale inammissibile, ribadendo all’un tempo come la convenzione Card rimanga atto tra privati privo di rilevanza giuridica esterna, id est il “mandato irrevocabile di rappresentanza” non sia tale da generare un fenomeno di rappresentanza sostanziale tale da fondare a sua volta quello della rappresentanza processuale (“pugnaci” in tale direzione Giud. Pace Bologna, sent. non def. 5 aprile 2013, n. 1688; conformi Giud. Pace Bologna ord. 12 gennaio 2012; Giud. Pace Imola, ord. 21 dicembre 2011; Giud. Pace Bologna, ord. 21 giugno 2011; Giud. Pace Fidenza, sent. 24 gennaio 2012, n. 34; Giud. Pace Torino, sent. 28 novembre 2011, n. 10842; Giudice di Pace di Torino, sent. 18 aprile 2011, n. 3781; Trib. Torino, IV sez., sent. 22 gennaio 2013, n. 389; Giudice di Pace di Taranto, ord. 11 agosto 2010). Il Tribunale di Torino rileva espressamente che la struttura negoziale delineata dall’accordo Card non appare (nemmeno) riconducibile all’art. 1268 c.c., in quanto “non risulta avere ad oggetto l’assunzione del debito altrui con subentro nella medesima posizione del debitore originario e, oltretutto, non risulta prevedere il consenso del delegatario”. In altre parole, non possono trovare in subiecta materia diritto di cittadinanza gli artt. 1273 e 1268 c.c. (Cass. 19090/2007; sul versante della giur. di merito Trib. Prato 06.06.2013 n. 774;  Trib. Torino sez. IV 22.01.2013 nn. 389 e 4618). Dunque né delegazione (cumulativa non liberatoria), né tampoco accollo ai sensi dell’art. 1273 c.c.  in quanto, nella specie, gli accordi interni tra le compagnie, cui il creditore è estraneo, hanno ad oggetto –ripetesi- un “rinvio” del danneggiato al suo assicuratore, in totale contrasto con la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 149 cod. ass.” -Trib. Torino 22 gennaio 2013, n. 389). Sul versante di Legittimità, si veda ex multis Cass., sez. I, n. 19090, 11.09.2007: “L’assunzione dell’obbligazione da parte del delegato, nei termini previsti dal citato art. 1268, non richiede di per sé sola speciali requisiti di forma, onde neppure può escludersi che essa derivi da accordi conclusi per facta concludentia (essendo richiesta la forma espressa solo per l’eventuale dichiarazione liberatoria formulata dal creditore), ed il perfezionamento del negozio delegatorio può raggiungersi anche attraverso una formazione progressiva e non contestuale, se alle dichiarazione del delegante o del delegato o del delegatario si aggiunge in un momento successivo quella delle altre parti”(già, in tal senso, Cass. 20-10-1965, n. 2314). E’ dunque chiaro che il sistema delle imprese assicurative, che dopo il dictum di Corte Cost. n° 180/2009, pur prendendo atto della facoltatività del sistema del risarcimento diretto, non ha inteso adeguarsi alla legge, non potrà continuare a ignorare che i propri comportamenti sono antigiuridici. E ancor più non jure atque contra jus appaiono alla luce delle ineludibili pronunce dei Tribunali le soluzioni che a livello Ania si sono adottate “a livello convenzionale” con gli accordi “CARD”, che hanno il conclamato illegittimo lo scopo “di risolvere le criticità conseguenti alla sentenza della Corte Costituzionale 180 / 2009, la quale, pur con qualche ambiguità ha sostanzialmente sostenuto la natura facoltativa del risarcimento diretto: ordunque, tenuto conto che la efficacia della procedura di risarcimento non può prescindere dalla natura obbligatoria del sistema, si è tentato di risolvere a livello convenzionale il problema non risolto a livello legislativo”. Ad implendum, “Il fine ultimo dell’intervento, da nessuna parte richiesto, risulta, peraltro, per sua esplicita dichiarazione, da individuarsi nell’intento di evitare le conseguenze negative che potrebbero derivare dal mancato rispetto delle convenzioni con le altre imprese di assicurazione (tipo Card): inopponibile dunque per le ragioni sin qui doviziosamente illustrate (sul fronte del merito, la limitata efficacia della CARD solo tra le parti sipulanti è ribadita dal citato Tribunale di Torino, il quale non ha mancato di sottolineare che “l’accordo CARD è sorto in forza di una norma regolamentare -il reg. 254/2006- diretta a disciplinare la procedura di risarcimento diretto di cui all’art. 150 C.d.A.; esso non può quindi trovare legittimazione normativa quando, come nel caso di specie, si sia al di fuori di tale ambito” -Trib. Torino 22 gennaio 2013, n. 389. Infatti, è bene ricordarlo, la CARD non è regolata dal DPR 254/2006, è solamente in esso prevista, all’art. 13, ove è disposto che “le imprese di assicurazione stipulano fra loro una convenzione ai fini della regolazione dei rapporti organizzativi ed economici per la gestione dei risarcimento diretto”. Inoltre, la CARD è un accordo nemmeno obbligatorio per le imprese di assicurazioni, tanto che –inter alias- Probus Insurance company ltd ed Euro Insurances Limited non vi hanno aderito). In definitiva, se l’accordo di cui si discute non è obbligatorio per le compagnie di assicurazione che operano della responsabilità civile auto, men che meno esso può ritenersi tale per un consociato (quivis). In soldoni, l’atto relativo alla convenzione CARD, pur nell’autenticazione da parte del Notaio della firma del legale rappresentante della intervenuta, non possiede i requisiti né di forma né di sostanza per essere qualificato come procedimento suscettivo di produrre un fenomeno di rappresentanza sostanziale che legittimi quella processuale: di qui la concreta violazione dell’art. 81 cpc: si veda in senso nomofilattico Cass. sez.Un. 2479/2009. Né tanto meno, come già illustrato, la legittimazione può rinvenirsi dall’art. 77 cpc, al lume dell’art. 1917 c.c., dacché l’interesse in ipotesi esistente ai sensi dell’art. 100 cpc sarebbe quello a tenere indenne l’assicurato e non già a contrastarlo (come nei fatti intende fare l’interveniente: in tal caso, si verrebbe cioè a creare il paradosso per cui l’assicuratore del danneggiato avrebbe “interesse” alla soccombenza del proprio assicurato di fronte al responsabile civile evocato in giudizio: cfr. Trib. Torino 22 gennaio 2013, n. 389, cit.; sul fronte “laico” Giud Pace Taranto, ord. 11 agosto 2010; peraltro, l’art. 9 del D.P.R. 254/2006, rubricato “Assistenza tecnica e informativa ai danneggiati”, al comma 1, prima parte, stabilisce che “L’impresa, nell’adempimento degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, fornisce al danneggiato ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione al risarcimento del danno”.). A chiudere il cerchio, il fine ultimo dell’intervento della ……… ……… SpA, da nessuna parte richiesto, risulta peraltro, per esplicita dichiarazione dell’interessato, da individuarsi nell’intento di evitare le conseguenze negative che potrebbero derivare dal mancato rispetto delle convenzioni con le altre imprese di assicurazione (tipo Card ): talché non può avere alcun rilievo sulla materia del contendere del presente giudizio. Si deve quindi convenire con la difesa attorea che la compagnia intervenuta in causa non risulta avere un proprio interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. e quindi l’intervento volontario è inammissibile ex art. 105, comma 2, c.p.c.” (Giudice di pace  Torino,  23 aprile 2010,  n. 5588); ancora: “Nessun interesse giuridicamente tutelabile, e comunque tale da giustificare un interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., può essere ravvisato nell’intervento, mirato alla esclusiva tutela di interessi associativi privati quali quelli espressi con la c.d. Card , nell’ambito di accordi tra aziende associate all’Ania e non promosso per far valere un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo nei confronti di altre parti.” (Giudice di pace  Mascalucia, 01 luglio 2010); e ancora:“Non è ammissibile l’azione diretta contro la compagnia assicuratrice del veicolo, per difetto di legittimazione passiva, ……”. (Uff. Indagini preliminari, Milano, 25 febbraio 2009, non essendo stato prescelto il modulo di cui all’art. 149 cod. ass.: parte attrice ha inoltre dichiarato di non accettare il contraddittorio nei confronti della intervenuta reclamando la vanificazione della pronuncia della Consulta (il che è in palese violazione anche della normativa italiana ed europea in materia). Una siffatta ammissione, peraltro, appare anche preclusiva del diritto di difesa posto che il libello introduttivo della litiscontestatio è cristallizzato nella posizione assunta dal danneggiato anche in riferimento al disposto di cui all’art.2054 c.c. richiamato dall’attore. In definitiva, l’intervento volontario è da considerarsi contra legem sotto molteplici profili processual-sostanziali, oltre che da considerarsi inammissibile causa lo stravolgimento della funzione sottesa al contratto assicurativo RCA che ne deriva, essendo evidente il conflitto di interesse -sostanziale e processuale. Va da ultimo rammentato come il Decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209 regoli solo ed esclusivamente l’ipotesi opposta a quella qui verificatasi, con contestuale estromissione della compagnia evocata in giudizio e che si sia regolarmente costituita. In particolare, l’art. 149 comma 6 C.d.A.. dispone che “l’impresa di assicurazione del veicolo del responsabile può chiedere di intervenire nel giudizio e può estromettere l’altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato fermo restando, in ogni caso, la successiva regolazione dei rapporti tra le imprese medesime secondo quanto previsto nell’ambito del sistema di risarcimento diretto”. La norma pertanto prevede che sia la compagnia del responsabile civile a poter intervenire nel giudizio per estromettere la seconda e non prevede affatto l’intervento ad adiuvandum in giudizio della compagnia del danneggiato che, peraltro, ha obbligazioni di ausilio nei confronti del proprio assicurato ex art. 9 D.P.R. n. 254/2006 esattamente opposte a quelle che con l’atto di intervento vengono dispiegate. Dalla decisione segue la condanna alle spese ai sensi di legge, nonché al risarcimento per temere litigare ex art. 96 cpc: norma che, a seguito della recente novella, è divenuto uno strumento officioso, nel senso che prescinde da qualsiasi istanza della controparte. Infatti l’inserimento del nuovo comma dell’art. 96, avendo valenza generale, ha reso superflua e superata la corrispondente previsione per la sola Cassazione ed è stato così abrogato il quarto comma dell’art. 385 c.p.c., si è in questo modo eliminato il criterio parametrato sulle tabelle forensi per sancire la piena discrezionalità del giudice. Posto che la novella si inserisce in un generale progetto di modifica in materia di spese processuali, in cui si è provveduto a ritoccare le norme sottese alla regolamentazione delle spese di lite ed innalzare i poteri sanzionatori del Giudice per chi, a vario titolo, rallenti la durata fisiologica e ragionevole del procedimento, nella stessa ratio l’art. 92 c.p.c., interviene sulla possibilità, fuori della soccombenza reciproca, della compensazione delle spese e aggiunge un altro elemento restrittivo, ovvero, che concorrano “altre gravi ed eccezionali ragioni”. Si cerca, cioè, di ridurre il sin troppo diffuso fenomeno della compensazione delle spese di lite; infine, con l’art. 96 c.p.c., il giudice può condannare il soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata. E’ questa l’attribuzione al giudice di uno mezzo ulteriore per punire eventuali comportamenti scorretti dei litiganti nel procedimento, con uno strumento automatico, nel senso che è prevista una condanna al pagamento della somma di denaro, ulteriore rispetto alle spese di lite, che consegue ipso facto all’accertamento della condotta illecita, ed officioso, nel senso che si prescinde da qualsiasi istanza della controparte. La norma risponde anche all’esigenza di preservare l’interesse pubblico ad una Giustizia sana e funzionale, scoraggiando il contenzioso fine a sé stesso che, aggravando il ruolo del magistrato e concorrendo a rallentare i tempi di definizione dei processi, crea nocumento alle altre cause in trattazione mosse da ragioni serie e, spesso, necessità impellenti o urgenze nonché agli interessi pubblici primari dello Stato che, in conseguenza dei ritardi, è sottoposto alle sanzioni previste dalla Legge 89/2001, giusta l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo(Tribunale Varese, Ordinanza 23.01.2010)

PQM

Il Giudice di Pace, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile l’intervento. Condanna la convenuta a rifondere all’attrice le spese di lite, che, stante l’adaequatio dei criteri generali della valutazione all’importanza e complessità delle questioni trattate, quantifica in complessivi € 800,00, oltre al risarcimento ai sensi dell’art. 96/1 e 3 cpc che reputasi equo quantificare in € 200,00. 

Ordina la comunicazione di copia della sentenza all’IVASS, Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni, con sede in Via del Quirinale, 21 – 00187 Roma.

Civitanova Marche, addì  02 dicembre 2013

Il Giudice di Pace

Avv. Giuseppe Fedeli

 

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