Il discrimen intercorrente tra il delitto di truffa e quello di furto aggravato dal mezzo fraudolento (G. Zampogna)

Nota della dott.ssa Giovanna Zampogna a Corte di Cassazione penale, sentenza n. 18968 del 20 aprile 2017.

Con la pronuncia n. 18968 del 20 aprile 2017, la V Sezione della Corte di Cassazione traccia i confini tra il delitto di furto aggravato dal mezzo fraudolento ex art. 625 n. 2 c.p. e quello della truffa ex art. 640 c.p. .

IL CASO

L’analisi trae origine da una condanna per furto aggravato, poi confermata dalla Corte di Appello di Milano, nei confronti di un funzionario di banca.

Originariamente il fatto era stato qualificato in imputazione in termini di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. .

L’imputato era stato ritenuto colpevole del prelievo di una somma ingente di denaro contante dai conti correnti bancari intestati a madre e figlia minore di età. Tale prelievo era avvenuto mediante l’utilizzo di moduli forniti dalla banca su cui veniva apposta la firma falsa del titolare del conto. L’imputato ricorreva così in Cassazione e tra i vari motivi lamentava la violazione di legge penale dovuta ad errata qualificazione della propria condotta come furto aggravato.

Detta deduzione era motivata sulla considerazione che il fatto sarebbe stato semmai riconducibile al reato di truffa ex art. 640 a causa dell’induzione in errore del soggetto preposto allo sportello bancario a danno delle correntiste.

Il ricorrente, avallando la più recente giurisprudenza in tema, evidenziava come nell’ipotesi di truffa il soggetto passivo, vittima di raggiri e artifizi, possa essere anche un soggetto differente da colui che subisce il danno, in presenza di un nesso causale tra condotta ed evento lesivo, anche quando difetti il legame diretto tra truffato e truffatore.

Inoltre il ricorrente lamentava la menomazione del suo diritto di difesa a causa della diversa qualificazione giuridica del fatto, ritenuta non prevedibile al momento della condanna e comportante un trattamento sanzionatorio più gravoso, ciò in contrasto con i criteri guida della Corte EDU.

LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE.

La Suprema Corte mette in luce il criterio di distinzione tra furto aggravato mediante utilizzo del mezzo fraudolento e truffa: questo sarebbe dato dal diverso modo di atteggiarsi della condotta. Nel furto aggravato infatti si realizza un impossessamento attraverso la sottrazione “invito a no domino”.  Nella truffa, invece, quest’ultimo elemento difetta; piuttosto il possesso della cosa lo si ottiene mediante il consenso della vittima, tanto che si suole parlare di reato a “cooperazione artificiosa”in cui il soggetto passivo degli artifici e dei raggiri compie l’atto di disposizione patrimoniale foriero di un profitto ingiusto per il truffatore e un danno per se stesso.

Nel caso di specie le vittime non hanno compiuto alcun atto di disposizione patrimoniale: è stato il ricorrente a commettere la sottrazione dal loro conto corrente attraverso la falsificazione delle distinte bancarie, la simulazione di autorizzazioni telefoniche al prelievo dai conti correnti e con la non veritiera assicurazione di una successiva compilazione della distinta.

Il collegio prende le distanze dal precedente orientamento avallato dal ricorrente che rintraccia il delitto di truffa anche nei casi in cui il soggetto passivo sia differente dalla vittima del danno, anche in assenza di un contatto diretto tra truffatore e truffato, ma sempre in presenza di un nesso eziologico tra raggiri e artifizi, profitto e danno patrimoniale. Se si dovesse aderire a tale tesi_ sostiene il collegio- ne discenderebbe la naturale conseguenza che l’atto dispositivo patrimoniale possa essere compiuto dal terzo.

Tale conclusione non è coerente, in quanto un delitto come la truffa, essendo a cooperazione artificiosa, necessariamente richiede la collaborazione della vittima che patisce i raggiri e gli artifizi, mediante un atto dispositivo. La circostanza che il terzo funga da aiuto involontario nel compimento di artifizi e raggiri non comporta la modifica del titolo di reato, in quanto la “non volontà” della sottrazione da parte del soggetto ingannato caratterizza il furto aggravato dal mezzo fraudolento e non la truffa.

A differenza del caso di specie, l’atto dispositivo del terzo ingannato sarebbe stato rilevante per la qualificazione giuridica del fatto come reato di truffa solo ove l’agente avesse avuto la piena e libera gestione del patrimonio della vittima.

Nel caso in analisi, la banca non possiede la libera disponibilità del patrimonio, essendo gravata dall’obbligo di restituzione del tanduntem; ai fini penalistici è il correntista l’unico proprietario e l’istituto di credito detiene il denaro in nome alieno.

Dunque, il terzo, non avendo potere dispositivo, funge unicamente da aiuto ai fini della consumazione del reato mediante artifizi e raggiri.

La Corte rigetta anche il motivo con cui il concorrente lamentava la menomazione del suo diritto di difesa in processo a causa dell’inaspettato mutamento del titolo di reato. La Corte sottolinea che tale essenziale diritto rimane integro, come sostenuto in sentenza Drassich/Italia, anche ove il giudice di prime cure proceda alla riqualificazione dei fatti in sentenza senza sentire l’imputato, poiché quest’ultimo conserva la piena facoltà d’impugnazione. Nel caso specifico, poi, la originaria contestazione di appropriazione indebita si basava sul presupposto, rivelatosi poi erroneo nel corso dell’istruzione dibattimentale, che l’imputato avesse la libera disponibilità dei conti dai quali aveva prelevato le somme. La modifica della qualificazione giuridica del fatto sarebbe stata pertanto, ad avviso della Corte, largamente prevedibile.

E proprio nel caso di specie tale epilogo sarebbe stato auspicabile data la non volontarietà della sottrazione e del ruolo rivestito dal terzo di semplice ausilio per la perpetrazione di artifizi e raggiri.

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