AFFIDAMENTO DEGLI INCARICHI LEGALI ESTERNI NELLA P.A.

AFFIDAMENTO DEGLI INCARICHI LEGALI ESTERNI

NELLA P.A.

 

Per la Corte di Giustizia U.E. l’affidamento del singolo incarico

ha carattere fiduciario e riservato

ed è estraneo alla applicazione del Codice dei Contratti Pubblici.

Avv. Angelo Pasquale Masucci

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La materia dell’affidamento degli incarichi legali esterni da parte della Pubblica Amministrazione è un argomento da sempre connotato da carattere di estrema delicatezza.

Infatti, soprattutto la difesa degli atti amministrativi, coinvolge in maniera particolarmente significativa l’attuazione dell’azione di governo dell’Ente e, pertanto, la realizzazione effettiva dei programmi medesimi con risvolti immediatamente ricadenti sugli Organi esecutivi. Da ciò consegue la connotazione di tali affidamenti da un elevato grado di fiducia tra l’Amministrazione ed il Professionista incaricato.

In tale ottica si era venuta a formare, nella vigenza del “vecchio” Codice dei Contratti pubblici, la giurisprudenza del Giudice Amministrativo secondo la quale le previsioni del D.Lgs. 163/2011 erano applicabili esclusivamente alle ipotesi di affidamento di “servizi legali” – ossia rapporti professionali di natura continuativa – nel mentre il contratto di conferimento di un singolo incarico legale era riconducibile, in aderenza allo schema civilistico di cui all’art. 2230 cc, alla tipologia del contratto di prestazione d’opera intellettuale e affidabile intuitu personae[1].

Tuttavia, più di recente, con l’avvento del novellato Codice di cui al D.Lgs. 50/2016, nel mentre il Giudice Amministrativo confermava, sostanzialmente, il proprio orientamento, anche sul presupposto della espressa esclusione applicativa, di tale genere di affidamenti dalla portata applicativa della novella, si sono fatte strada interpretazioni volte a dare invece prevalenza alla tutela dei principi di trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa, a completo discapito del criterio fiduciario, che si sono quindi contrapposte alla interpretazione “classica”.

Invero, la stura alla contrapposizione di che trattasi, trae origine dalle note Linee guida n.12 dell’ANAC[2], approvate con  Delibera  del  Consiglio  n.907,  del  24  ottobre  2018 che, in aperta contrapposizione rispetto alle valutazioni del G.A. e valorizzando la previsione di cui all’art. 4 del D.Lgs 50/2016, che in effetti prevede che: “L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”,  è giunta alla conclusione che tali principi potessero trovare concreta applicazione esclusivamente a mezzo di procedure comparative.

Inoltre l’ANAC radicava la ratio del “superamento” rispetto ai principi espressi nella citata Giurisprudenza del Consiglio di Stato sulla sopravvenienza a tale Decisone risalente al 2012 delle specifiche direttive europee del 2014 in materia, e, segnatamente: la direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici; la direttiva 2014/25/UE del 26 febbraio 2014 sugli appalti nei settori  c.d. speciali – artt. 21 e 91; la direttiva 2014/23/UE del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione – artt. 10  e 19.

Su tale scia si è inserita la Corte dei Conti che si è, in buona sostanza, allineata a tale nuova impostazione[3].

In questo contesto è giunta la dirompente Sentenza della Corte di Giustizia Europea, del 6 giugno 2019, emessa nella causa C-264/18 avente ad oggetto proprio la questione pregiudiziale sollevata dalla Corte Costituzionale Belga, in merito alla dubitata violazione dei principi comunitari conseguente la mancata inclusione tra i servizi rilevanti per la direttiva appalti, di specifici servizi legali.

La Corte ha statuito che l’art. 10, lett. d), i) e ii), della Dir. n.2014/24 (4) esclude dal proprio ambito di applicazione “unicamente la rappresentanza legale del suo cliente nell’ambito di un procedimento dinanzi a un organo internazionale di arbitrato o di conciliazione, dinanzi ai giudici o alle autorità pubbliche di uno Stato membro o di un paese terzo, nonché dinanzi ai giudici o alle istituzioni internazionali, ma anche la consulenza legale fornita nell’ambito della preparazione o dell’eventualità di un siffatto procedimento”. Pertanto “simili prestazioni di servizi fornite da un avvocato si configurano solo nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza”. Il giudice giustifica tale presa di posizione mettendo in rilievo che “da un lato, un siffatto rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla libera scelta del suo difensore e dalla fiducia che unisce il cliente al suo avvocato, rende difficile la descrizione oggettiva della qualità che si attende dai servizi da prestarela riservatezza del rapporto tra avvocato e cliente, il cui oggetto consiste, in particolare nelle circostanze descritte al punto 35 della presente sentenza, tanto nel salvaguardare il pieno esercizio dei diritti della difesa dei singoli quanto nel tutelare il requisito secondo il quale ogni singolo deve avere la possibilità di rivolgersi con piena libertà al proprio avvocato (v., in tal senso, sentenza del 18 maggio 1982, AM & S Europe/Commissione, 155/79, EU:C:1982:157, punto 18), potrebbe essere minacciata dall’obbligo, incombente sull’amministrazione aggiudicatrice, di precisare le condizioni di attribuzione di un siffatto appalto nonché la pubblicità che deve essere data a tali condizioni”. Conseguentemente la questione sollevata dalla Corte costituzionale del Belgio viene rigettata in quanto “alla luce delle loro caratteristiche oggettive, i servizi di cui all’articolo 10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24, non sono comparabili agli altri servizi inclusi nell’ambito di applicazione della direttiva medesima. Tenuto conto di tale differenza oggettiva, è altresì senza violare il principio della parità di trattamento che il legislatore dell’Unione ha potuto, nell’ambito del suo potere discrezionale, escludere tali servizi dall’ambito di applicazione di detta direttiva”.

Pertanto il Giudice Comunitario travolge in maniera più o meno violenta, tutte le precedenti interpretazioni.

Infatti, a parere della Corte, l’aspetto fiduciario, in uno alla riservatezza, impongono drasticamente ed irrimediabilmente di escludere ogni possibilità di porre in essere procedure comparative, giustificando così in toto l’esclusione applicativa della direttiva appalti a dette tipologie di incarichi.

Dalla lettura della detta Sentenza della Corte U.E. il ragionamento appare ancor più radicato, sfiorando addirittura la sostanza del concetto stesso di “diritto di difesa” inteso, secondo l’Assise Comunitaria, anche come vero e proprio diritto di determinarsi liberamente nella scelta del proprio difensore. Riconoscendolo in tale inviolabile ed incondizionabile portata, anche alla P.A. attraverso la fiduciarietà.

Significativi in tale prospettiva sono i passaggi in cui il Giudice Comunitario afferma che il: “rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla libera scelta del suo difensore e dalla fiducia che unisce il cliente al suo avvocato, rende difficile la descrizione oggettiva della qualità che si attende dai servizi da prestare” e che: “la riservatezza del rapporto tra avvocato e cliente potrebbe essere minacciata dall’obbligo, incombente sull’amministrazione aggiudicatrice, di precisare le condizioni di attribuzione di un siffatto appalto nonché la pubblicità che deve essere data a tali condizioni”.

Orbene la portata delle Decisioni della Corte sovrannazionale è pacifica.

Infatti le Decisioni della Corte della dell’Unione Europea hanno valenza di fonte del diritto[4].

Inoltre vi è un pedissequo obbligo da parte del Giudice interno di conformarsi a tali statuizioni, tant’è che l’omissione da parte del giudice interno, di attenersi ad un precedente della Corte, ove accertato è causa di procedura di infrazione. Inoltre, in tali ipotesi, l’art. 258 TFUE consente alla Commissione l’attivazione anche del c.d. “ricorso di inadempimento”.

Ma a questo punto appare di tutta evidenza che non sono “solo” le procedure comparative ad essere state definitivamente accantonate, ma è proprio l’applicazione dell’art. 4 del D.Lgs. 50/2016 ad essere stato di fatto travolto dalla statuizione del 6 giugno 2019, emessa nella causa C-264/18 della Corte U.E.

Infatti, se era vero che, così come sosteneva l’ANAC, la concreta verifica dei criteri di: “economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica” (cfr art. 4 cit.) non era attuabile se non a mezzo di procedure comparative, la medesima Autorità dovrà necessariamente convenire sulla conclusione inversa ossia che all’attualità, attesa la incompatibilità delle procedure de quibus con la natura fiduciaria e riservata degli incarichi legali, il venir meno della possibilità di porre in essere procedure comparative travolge definitivamente ed in toto, il contenuto dell’art.4 medesimo.

Conferma di ciò la si ha proprio analizzando, nel merito, tali criteri in uno al supporto motivazionale della Sentenza in oggetto. Cosicché ci si accorge che la strada è segnata.

Ad esempio l’economicità necessita per forza di cose di un confronto tra offerte, tipica solo delle procedure comparative. Così come la pubblicità e la trasparenza risultano lapalissianamente incompatibili con la riservatezza, diritto fortemente affermato dalla Corte nel caso di specie. Ma anche l’efficacia, calata in concreto nella valutazione della libera scelta del difensore, si rileva tipicamente prognostica e pertanto soggettiva.

Eclatante infine appare l’esempio della attuazione che l’ANAC indicava per l’attuazione del principio di pubblicità: “… richiede che i soggetti interessati abbiano un agevole accesso, in tempo utile, a tutte le informazioni necessarie relative alla procedura prima che essa sia aggiudicata, in modo da consentire l’eventuale manifestazione di interesse da parte dei professionisti interessati. L’amministrazione deve scegliere il mezzo più adeguato a garantire la pubblicità dei propri affidamenti ai sensi dell’articolo 17 del Codice dei contratti pubblici avuto riguardo all’importanza dell’appalto per il mercato, tenuto conto in particolare del suo oggetto, del suo importo nonché delle pratiche abituali nel settore interessato. Una forma di pubblicità adeguata è data da un avviso pubblico sul sito istituzionale della stazione appaltante, che si caratterizza per l’ampia disponibilità e facilità di utilizzo e per la convenienza sotto il profilo dei costi. Il mancato ricorso ad adeguate forme di pubblicità è giustificato negli stessi casi in cui il Codice dei contratti pubblici consente deroghe specifiche che autorizzano, a talune condizioni, procedure senza previa pubblicazione di un avviso pubblicitario, a condizione di rispettare le condizioni enunciate per una di tali deroghe. Il principio di pubblicità in esame richiede anche la pubblicazione dell’avviso sui risultati della Selezione”.

Attività senza dubbio incompatibile con la riservatezza professata dalla Corte CE.

Insomma tali criteri senza dubbio restano in concerto inapplicabili.

Va segnalato che a tale interpretazione si contrappone alcuna dottrina[5] che ha ritenuto l’art. 4 del d.lgs. n. 50/2016, norma flessibile, che consente l’affidamento secondo modalità diversificate e adattabili a seconda delle specificità dei contratti. Tuttavia benché sia certamente condivisibile la teoria della flessibilità non è invece condivisibile la conclusione, in quanto, come si è esposto sopra, nella impossibilità di attivazione di procedure comparative tale teoria resta una enunciazione di principio non attuabile. Infatti sul punto va evidenziato che prima della pronuncia del Giudice Comunitario in parola, anche il Consiglio di Stato, seppur in Sede consultiva, proprio in occasione del procedimento di emanazione delle Linee Giuda n.12 ANAC cit. aveva affermato nel proprio parere n.2017/2018 che l’affidamento del singolo incarico di difesa in giudizio è un contratto d’opera intellettuale diverso dall’appalto ma che questa circostanza a differenza del passato non comporta più la possibilità  di  affidamento – salve eccezioni – in via fiduciaria. Cosicché necessitavano le procedure comparative “suggerite” dall’Autorità Nazionale Anticorruzione.

Invero, come è stato osservato[6], il contratto di prestazione d’opera professionale di difesa in giudizio nel caso singolo o in una pluralità di contenziosi già insorti o futuri, sopravvive al codice dei contratti ed è estraneo allo stesso e non meramente escluso, non rientrando nell’ambito di applicazione dell’art. 17, comma 1, lett. d), riferito a contratti d’appalto di servizi (legali); l’affidamento diretto al di fuori dei canoni di cui all’art. 4 ad un libero professionista iscritto all’albo è giustificato dall’intuitu personae e dalla fiduciarietà che in sede di selezione sono elementi essenziali (secondo la sentenza in commento) ai fini dell’esercizio del diritto ad una difesa adeguata; ove il committente pubblico rinunci alla valorizzazione dell’intituitu personae, affida contratti di appalto di servizi legali per la difesa in giudizio, dovendo in tal caso applicare l’art. 4 (e non gli artt. 140 e ss. d.lgs. 50/16). I contratti di prestazione d’opera professionale, invece, assolti in via personale dal professionista sono totalmente estranei al codice.

Fermo restando, comunque, l’obbligo di motivazione della scelta, sia pure fiduciaria, in applicazione dei principi generali dell’azione amministrativa.

In tal senso potrebbe essere accolto con favore un intervento normativo che nel regolamentare tali procedimenti amministrativi nel rispetto dei criteri statuiti dalla Corte di Giustizia Europea, possa anche fornire adeguati requisiti soggettivi e specifici parametri economici che, in considerazione del prestigio e dell’accrescimento professionale che la difesa della Pubblica Amministrazione porta all’Avvocato onorato di occuparsi dell’interesse pubblico, possa anche portare un contenimento della spesa pubblica senza passare attraverso un sostanziale sacrificio qualitativo, così come accadeva con le procedure comparative che spesse volte si risolvevano, in concreto, in vere e proprie “gare al massimo ribasso”, con estremo sacrificio della dignità della Professione Forense, della qualità della difesa fornita all’Ente e più in prospettiva anche estremante più onerose, in considerazioni dei costi effettivi che il nefasto esito di un giudizio sovente dopo lungi anni produce.

[1] Consiglio di Stato, Sez. V, 11 maggio 2012, Sentenza n.2730, in Foro amm. – CdS, 2012, 1241 ss

[2] In G.U. n. 264 del 13 novembre 2018

[3] Corte dei Conti, Sez. Emilia Romagna, Deliberazione n.144/2018

[4] Corte Costituzionale Sentenza n.113, del 23 aprile 1985.

[5] STEFANO COLOMBARI, Diritto di Difesa della Pubblica Amministrazione e Patrocinio Legale (anche alla luce di una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea), in Federalismi.it, 18 settembre 2019.

[6] FRANCO BOTTEON, L’incarico di difesa in giudizio nel singolo caso come contratto fiduciario e quindi, per natura, “estraneo” al codice dei contratto e non semplicemente “escluso”: la CGUE batte un colpo a favore, in Lexitalia.it, 11 giugno 2019.

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