Conflitto di interessi e affidamento di consulenze legali (Avv. I. Maione)

CONFLITTO DI INTERESSI E AFFIDAMENTO DI CONSULENZE LEGALI

 

La questione oggetto di analisi concerne il tema del conflitto di interessi in cui l’avvocato, in qualità di libero professionista, può incorrere nell’accettazione e svolgimento contemporaneo di più incarichi professionali coinvolgenti la stessa parte, seppure in posizioni difensive diverse.

Come noto, ai sensi dell’art. 24 del nuovo Codice deontologico forense, pubblicato in GU n. 241 del 16-10-2014, si stabilisce che “1. L’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale. 2. L’avvocato nell’esercizio dell’attività professionale deve conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale.3. Il conflitto di interessi sussiste anche nel caso in cui il nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altra parte assistita o cliente, la conoscenza degli affari di una parte possa favorire ingiustamente un’altra parte assistita o cliente, l’adempimento di un precedente mandato limiti l’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento del nuovo incarico.4. L’avvocato deve comunicare alla parte assistita e al cliente l’esistenza di circostanze impeditive per la prestazione dell’attività richiesta.5.Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale.6.La violazione dei doveri di cui ai commi 1, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni. La violazione dei doveri di cui ai commi 2 e 4 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.”

Ciò posto, occorre, fin da subito, osservare che il suindicato articolo sia teso ad assicurare che il mandato professionale sia svolto in assoluta libertà e indipendenza da ogni vincolo, ossia in piena autonomia,  non fornendo, tuttavia, alcuna definizione dello stesso, né provvedendo a elencarne in via generale le caratteristiche e i presupposti di esistenza; ne consegue che sia rimesso al difensore la valutazione (soggettiva) in ordine al se dall’accettazione di un tal officio possa scaturire un conflitto.

Ciononostante, procedendo ad una più attenta lettura della norma, quest’ultima pare fornire una valida bussola all’avvocato; essa, in realtà, innovativamente, prevede, al comma 1, che lo stesso si astenga dal prestare attività professionale quando questa “possa determinare” un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente o interferire con lo svolgimento di altro incarico, anche non professionale e non già, come invece sancito nella disposizione del previgente Codice, allorché l’attività da assumere “determini” il conflitto.

In tal modo  il CNF ha preso posizione sulla vexata quaestio della rilevanza di un conflitto non ancora attuale (ma meramente potenziale), chiarendo che non sarebbe ipotizzabile un conflitto qualora l’assistenza a un cliente contro altro assistito dallo stesso difensore, sia svolta in merito a vicende eterogenee o che non espongano, in ogni caso, connessioni o interferenze, essendo la “migliore difesa in una pratica compatibile con la migliore difesa nella diversa e non connessa pratica“.

Alla stregua di quanto illustrato, sembra ragionevole ritenere che il conflitto valido a inibire l’assenso a una nuova pratica ex art. 24 del Codice deontologico, pur meramente potenziale, risulti concepibile soltanto nelle evenienze in cui l’assistenza a un cliente contro altro sia prestata in relazione allo stesso affare o comunque a questioni che siano tra loro connesse.

Per maggiore completezza espositiva,  giova menzionare una recente sentenza amministrativa di merito (T.A.R. Aosta), il cui contributo cerca di ricostruire la non semplice quaestio dell’avvocato aggiudicatario di una consulenza legale a seguito di procedura competitiva, indetta da un consorzio di comuni, il cui provvedimento di aggiudicazione definitiva era stato impugnato da altro candidato, che contestava la mancata esclusione dell’avvocato affidatario che si trovava, a suo avviso, in situazione di incompatibilità, per essere già patrocinante di un incarico professionale in antagonismo con la P.A. appaltante.

Ebbene, il  decisum del T.A.R. aostano ha richiamato l’ordinanza cautelare del Cons. Stato, Sez. V, 28 gennaio 2015, n. 431, precisando, all’uopo, che non possa ritenersi sussistente alcun conflitto d’interessi tra la posizione di chi patrocina (nell’attualità del conferimento dell’incarico) una controversia contro la P.A. e quella di chi solo aspiri (nel frangente) a divenire affidatario dei servizi di assistenza legale di un soggetto pubblico riconducibile alla stessa amministrazione, per il futuro e solo in caso di esito vittorioso della procedura competitiva.

Ne consegue, pertanto, che l’amministrazione, a valle dell’aggiudicazione o effettuata la scelta del professionista fra quanti figurino nell’albo dei consulenti, potrebbe imporre al prescelto la rinuncia non già a tutti gli incarichi svolti per conto di parti antagoniste alla medesima, bensì esclusivamente a quanti che, in relazione allo specifico oggetto dell’appalto o della controversia da affidare, risultino, anche solo potenzialmente, idonei a far emergere il conflitto.

Tale operazione, certamente più agevole nell’ipotesi di affidamento di un singolo ufficio, appare più complessa in relazione alla vicenda dell’affidatario di un appalto di servizi legali di assistenza e consulenza giuridica. Se non altro perché è inverosimile che la P.A., nel tratteggiare l’oggetto dell’opus intellettuale nel contesto della legge di gara, stili il decalogo dettagliato degli incarichi che il professionista svolgerà in esecuzione dell’incarico, frequentemente limitandosi a pretendere, in via generale, l’assistenza e la consulenza giuridica in ordine a determinate materie interessate dall’attività amministrativa.

E allora, non emergendo ex ante quella identità (o medesimezza) dell’affare, cui tuttavia sembra connettersi la sussistenza del conflitto, potrebbero non escludersi rinunce in corso di svolgimento del contratto, ove le situazioni di contrasto, ab initio insussistenti, poi affiorino. Diversamente è a dirsi quanto agl’incarichi che siano comunque capaci, benché in assenza del richiamato presupposto, di palesare il conflitto, pure ipotetico, già prima dell’inizio della sua esecuzione. Si pensi all’avvocato che al momento della stipulazione del contratto, con oggetto la prestazione d’opera dell’assistenza e consulenza giuridica, in materia di urbanistica, edilizia e lavori pubblici, patrocini un ricorso dinanzi al G.A., avverso il provvedimento di diniego opposto dalla stazione appaltante alla richiesta di permesso di costruire promossa da un privato.

Sotto un diverso ma connesso profilo emerge altresì un altro tipo di problematica e segnatamente la possibilità che la P.A. possa  rifiutare  di stipulare il contratto di affidamento dell’incarico fruendo della violazione dell’art. 24 del Codice deontologico forense.

La risposta reclama concordia in ordine a una pregiudiziale che da sempre ha animato il dibattito, tanto dottrinale quanto giurisprudenziale: la natura, giuridica o meno, delle regole contenute nel Codice deontologico forense.

In particolare, un primo, minoritario orientamento aveva sostenuto come le stesse non avessero natura giuridica, qualificandosi, invero, alla stregua di precetti definiti ora extragiuridici, ora quali norme interne, e sì da costituire espressione di attività normativa propria (autarchia).

Si era rilevato come le disposizioni dei Codici predisposte dagli ordini (o dai collegi) professionali, se non recepite direttamente dal legislatore, non possedessero né la natura né le caratteristiche di provvedimenti normativi, restando in tal ché sussumibili tra le fonti extra ordinem.

Una parte della dottrina e altra giurisprudenza sono giunti invece ad addurre il contenuto giuridico delle stesse, pur in mancanza di una previsione di legge volta a riconoscere agli organi di autogoverno, nel caso di specie al CNF, il potere di emanare comandi concreti e singolari, affinché tanto la produzione della regola quanto la coercizione al suo rispetto, trovassero fondamento nella legge positivamente data.

Se tanto è condiviso, allora, oggidì, non può più dubitarsi dell’indole intrinsecamente giuridica delle norme incluse nel Codice deontologico forense, atteso che il legislatore vi ha fatto espresso riferimento nella recente legge professionale, altresì individuando, nel CNF, l’autorità pubblica chiamata a redigerlo e, nel tempo, ad aggiornarlo.

Avv.Immacolata Maione.

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