DIRITTO AMMINISTRATIVO – LA PRIVAZIONE DELLA PROPRIETA’ AD OPERA DELLA P.A. E L’ISTITUTO DELLA ACQUISIZIONE SANANTE, ANCHE ALLA LUCE DELL’ULTIMA PRONUNCIA RESA DALLA CORTE COSTITUZIONALE (SENTENZA N.71/2015).
Ai sensi dell’art.117 co.terzo della Costituzione, tra le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, è indicato il “governo del territorio”, nel cui ambito rientra la normativa sulla urbanistica, edilizia ed espropriazione; ne consegue che, su concorso della legislazione statale e regionale, si riconosce l’esigenza di poter fare ricorso alla tecnica espropriativa dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili, per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, considerando, in particolare, per opera pubblica o di pubblica utilità, la realizzazione degli interventi necessari per l’utilizzazione, da parte della collettività, di beni o terreni appartenenti ad altri soggetti.
In tal senso, occorre evidenziare che la procedura espropriativa è avviata con l’indicazione di appositi vincoli espropriativi, contenuti nel piano regolatore urbanistico comunale o in quello attuativo o prima ancora in uno strumento urbanistico generale; in altri termini, un bene è sottoposto al vincolo preordinato all’esproprio quando diventa efficace l’atto di approvazione del piano urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, che ha la durata di cinque anni, entro il cui termine è emanata la dichiarazione di pubblica utilità.
Inoltre, va subito dato atto che alla dichiarazione di pubblica utilità segue il definitivo decreto di esproprio, emanato entro il termine indicato nella sovramenzionata dichiarazione ovvero, se non espressamente indicato, entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l’atto, che dichiara la pubblica utilità dell’opera.
Parimenti, nell’atto che dichiara la pubblica utilità è, altresì, determinata, in via provvisoria, la misura della indennità di espropriazione, notificata al proprietario, che può accettarla ovvero concordare una nuova determinazione, nel successivo decreto di esproprio.
In tale ultimo caso, si evidenzia che la relativa indennità di espropriazione, per un’area edificabile, deve essere determinata nella misura pari al valore venale del bene, mentre nel caso dell’ espropriazione di un’area non edificabile, l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo, tenendo conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e del valore dei manufatti edilizi, legittimamente realizzati.
A seguito di un importante intervento della Corte Edu (Convenzione Europea sui diritti fondamentali dell’uomo), sul giusto indennizzo da riconoscere al proprietario, privato di un bene espropriato, ricorrendo ad un bilanciato e ragionevole calcolo del valore effettivo del bene, la Corte Costituzionale del 2007 ha dichiarato illegittima l’antecedente normativa che, in fase di quantificazione dell’indennità di esproprio, determinava nella misura pari all’importo, diviso per due e ridotto nella misura del quaranta per cento, la relativa somma del valore venale del bene e del reddito dominicale netto.
Ad ogni modo va, altresì, osservato che non sempre l’Ente pubblico segue l’anzidetto iter sulla ordinaria procedura di espropriazione.
Il T.U. sull’espropriazione contempla, difatti, l’ipotesi della occupazione temporanea (art. 49 D.P.R. n.327/2001), secondo cui l’autorità espropriante può disporre dell’occupazione temporanea di aree, non soggette al procedimento espropriativo, se ciò risulta necessario per la corretta esecuzione dei lavori previsti e salvo indennità dovuta al legittimo proprietario, nonché il caso della occupazione di urgenza (art.22 bis D.P.R. n.327/2001), che permette l’emanazione, senza particolari indagini e formalità, qualora l’avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, di un decreto motivato che determina, in via provvisoria, l’indennità di espropriazione e che dispone anche l’occupazione anticipata dei beni immobili necessari.
Sulla base di queste considerazioni, la dottrina e la giurisprudenza arrivano alla elaborazione di altre figure espropriative, di dubbia liceità, in quanto riscontrabili nella realtà affettiva, ma non giustificate da alcuna previsione di legge; trattasi della ipotesi della occupazione appropriativa e di quella usurpativa.
Con riferimento alla fattispecie della occupazione appropriativa, viene detto che l’espropriazione de qua si verifica ogniqualvolta la P.A. proceda alla dichiarazione di pubblica utilità, si immetta nel possesso del bene, realizzi la trasformazione irreversibile del bene a cui non fa seguire, tuttavia, l’emanazione del decreto di esproprio.
Da segnalare la soluzione giurisprudenziale offerta in favore della espropriazione appropriativa, la quale ha opinato che, nel caso di specie, trattasi di una ipotesi di accessione invertita, ove la costruzione esistente sul suolo, anziché appartenere al proprietario di questo, si trasferisce, assieme alla proprietà del suolo, alla P.A., che abbia effettuato la costruzione, in quanto soggetto agente di un interesse pubblico superiore.
Sul punto, si sono, dall’altro lato, elaborati diversi rimedi a favore del proprietario leso dalla illegittima alienazione subita; secondo un orientamento maggioritario, trattasi di una occupazione “contra ius”, a fronte della quale il privato può esperire azione di risarcimento del danno e il cui termine di prescrizione decorre fin quando dura l’occupazione illecita (se la si intende come illecito permanente), ovvero da quando si è compiuta la trasformazione del bene (se si intende l’occupazione come illecito immediato con effetti permanenti).
In senso decisamente contrario, un altro indirizzo interpretativo afferma che, in sede di espropriazione acquisitiva, l’occupazione assunta dalla P.A. è lecita, dovendo l’Ente procedente semplicemente assicurarsi che al soggetto, precedente proprietario, venga reso il controvalore del bene.
Questione da sempre dibattuta è, altresì, quella che concerne l’occupazione usurpativa, realizzata dalla P.A., su un fondo altrui, senza previa dichiarazione di pubblica utilità o la cui dichiarazione sia poi annullata per illegittimità. A ben guardare, nella occupazione usurpativa, in carenza di un idoneo titolo alla espropriazione, il privato rimane proprietario del bene, potendo tutelarsi con le tradizionali azioni possessorie o petitorie, rivolte alla restituzione del bene.
Una prima sanatoria sugli istituti de quibus è stata tentata con la previsione dell’art.43 T.U. sull’espropriazione, applicabile ogniqualvolta sia stato occupato un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato, non in maniera irreversibile, in assenza di un valido provvedimento di esproprio o di dichiarazione di pubblica utilità.
Si disciplina, a tal riguardo, un primo rimedio stragiudiziale, in cui la P.A. dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e determinandone la misura del risarcimento, da corrispondere entro il termine di trenta giorni dall’emanazione del provvedimento in sanatoria.
Giova osservare che al comma terzo del suindicato articolo è, altresì, previsto un rimedio di tipo giurisdizionale, qualora sia impugnato l’atto di acquisizione sanante o sia proposta azione di restituzione del bene dal privato proprietario, potendo il giudice amministrativo, su richiesta espressa della P.A., pronunciare una condanna al risarcimento del danno a suo carico, con esclusione, tuttavia, della restituzione del bene, senza limiti di tempo.
Va sottolineato, in proposito, che la previsione legislativa di cui sopra è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per eccesso di delega da parte della Corte Costituzionale del 2010,in quanto espressione di una procedura in sanatoria innovativa all’interno del T.U. sull’espropriazione.
A sostegno della tesi sulla incostituzionalità dell’art.43 T.U. sull’espropriazione, si è spesso adottato un argomento ulteriore, parlando di contrasto con i principi di legittima difesa ed uguaglianza nonché di giusto processo (artt.2, 24 e 111 Cost.), nella parte in cui si legittimava il giudice amministrativo a sostituirsi alla P.A. nella pronuncia di rigetto dell’azione del privato, volta alla restituzione del bene immobile, potendo adottare un sindacato discrezionale di scelta di trattenimento del bene, anziché di restituzione, perché corrispondente a scopi di pubblico interesse.
Significativi, inoltre, sono stati i passaggi motivazionali della giurisprudenza che, a seguito di declaratoria di incostituzionalità, dell’art.43 T.U. sull’espropriazione, ha offerto soluzioni di stampo civilistico, per giustificare il fenomeno della occupazione illecita, guardando, all’uopo, agli istituti della specificazione, ex art.940 c.c., secondo cui “se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva, per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà, pagando al proprietario il prezzo della materia”, e nuovamente a quello della accessione invertita.
Si è poi giunti ad un recente intervento legislativo del 2011 che inserito l’art.42 bis nel T.U.sull’espropriazione, in forza del quale è possibile l’acquisizione di un bene immobile da parte della P.A., per scopi di interesse pubblico, a cui siano state apportate modifiche, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, purchè l’anzidetta acquisizione al patrimonio indisponibile dell’ente pubblico non risulti retroattiva e purchè al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito.
Al successivo comma quarto viene ulteriormente specificato che il provvedimento di acquisizione in sanatoria, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali regioni di interesse pubblico, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione.
A ben vedere, le suesposte considerazioni sono state considerate prive di pregio da parte della Corte Edu, in quanto risultanti in contrasto con il principio della legalità, avendo il legislatore introdotto un rimedio in sanatoria, per giustificare atti illeciti compiuti dalla P.A.
Quanto al Consiglio di Stato, si è prospettato, in primo luogo, una posizione a favore della “utilizzazione senza titolo di un bene” da parte della P.A., perché condizionata dalla previsione di un risarcimento dei danni, a favore del proprietario ed avente efficacia non retroattiva.
Dall’altro lato, la Cassazione ha messo in evidenza che persiste nuovamente il conflitto dell’art.42 bis T.U. sull’espropriazione, in quanto fedele riproduzione del disposto normativo contenuto nell’art.43 T.U. sull’espropriazione, seppur formulato con qualche modifica, con i principi costituzionali di cui agli artt.24, 42, 111, 117 Cost.
Per concludere, giova considerare la recente sentenza del Giudice delle Leggi, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.42 bis T.U. sull’espropriazione.
A parere della Corte, difatti, la nuova procedura di acquisizione sanante è valida in quanto contiene, a differenza della precedente disciplina, un obbligo motivazionale rinforzato, con cui la P.A. giustifica il ricorso a tale tipologia di occupazione. Si tratta, dunque, di una situazione che nasce illecita e su cui non vi è sanatoria ma che, su intervento successivo dell’Ente procedente, può avere efficacia solo per il futuro (ex nunc).
A tal proposito, si prevede, altresì, che al privato sia corrisposto un congruo indennizzo, comprensivo dei danni patrimoniali e non patrimoniali, la cui dazione è condizione di efficacia della sanatoria.
Quanto all’apparente assenza di un termine, per poter proporre l’acquisizione sanante, la Corte Costituzionale chiarisce che al privato è riconosciuta la possibilità, in ogni tempo, di richiedere la restituzione del bene.
Se la P.A. non provvede sulla istanza, nel termine ordinario di novanta giorni (ex art.2 L.241/1990), il privato impugna il silenzio- rifiuto della P.A., a cui segue il provvedimento di acquisizione, se ritenuto necessario dall’Ente pubblico.
Ovviamente resta esclusa la possibilità che sia demandato al g.a. il sindacato di scelta tra acquisizione ovvero restituzione del bene immobile, come illegittimamente previsto dalla precedente disciplina (art.43, comma terzo, T.U. sull’espropriazione).
A tal proposito, quanto alla presunta violazione dell’art.42 Cost., la Consulta ha precisato che l’adozione dell’atto acquisitivo è concessa alla P.A. esclusivamente allorchè costituisca l’ultimo rimedio per la soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico. La Corte ha scritto infatti che, per risultare conforme alla Costituzione, l’ampiezza della discrezionalità amministrativa deve essere delimitata alla luce dell’obbligo giuridico di far venire meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto.
Quindi, l’adozione dell’atto acquisitivo è consentita esclusivamente allorchè costituisca l’extrema ratio per la soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico, come recita lo stesso art.42 bis del T.U. delle espropriazioni; e dunque, solo quando siano state escluse, all’esito di un’effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, altre opzioni, compresa la cessione volontaria mediante atto di compravendita, e non sia ragionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino, al privato illecitamente inciso nel suo diritto di proprietà.
Avv.Maione Immacolata