Il diritto umano universale all’acqua (dott.ssa C. Pezza)

 Il diritto umano universale all’acqua.

           

            L’acqua quale elemento fisico costituisce fonte insostituibile di sostentamento e sopravvivenza per ogni individuo, contribuendo alla sua evoluzione ed al suo mantenimento in vita e fungendo al contempo come risorsa imprescindibile per garantire lo sviluppo del nostro pianeta.

            La tutela di questo bene comune indispensabile, la sua utilizzazione e la sua reperibilità sono temi sempre più pressanti, cui la comunità internazionale sta rivolgendo attenzione soprattutto in un contesto sociale come quello contemporaneo, con una tecnologia in continua evoluzione ed un incessante aumento dei consumi individuali e collettivi.

            In particolare, non può tacersi dell’elevata asimmetria esistente fra i paesi economicamente più sviluppati e quelli del cosiddetto “terzo mondo”, estremi nei quali si contrappone la mancanza dei servizi primari necessari (potabilità, accesso effettivo, fruizione per consumo ed igiene personale[1]) ad un incontrollato utilizzo pro capite, spesso tendente all’abuso e non adeguatamente monitorato né tantomeno perseguito (sotto il profilo amministrativo o penale).

            A livello sovranazionale, l’accesso all’acqua quale diritto fondamentale dell’individuo ha trovato una regolamentazione nella storica risoluzione 64/292 del 28 luglio 2010 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la quale ne enuclea la natura di diritto umano universale. Come si legge nel testo della risoluzione, l’Assemblea Generale riconosce “l’importanza di un’equa disponibilità di acqua potabile sicura e pulita e di servizi igienici come parte integrante della realizzazione di tutti i diritti umani”, dichiarando “il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani[2]”.

A questa disciplina hanno poi fatto seguito due ulteriori interventi ONU: la risoluzione 68/157 del 18/12/2013 sul diritto all’accesso ed al consumo di acqua potabile, e da ultimo la risoluzione 70/1 del 25/09/2015, che contiene le raccomandazioni per l’agenda europea fino al 2030 in materia di sviluppo sostenibile (acqua compresa).

            Anche il Consiglio dei Diritti dell’Uomo si è espresso sulla natura fondamentale del diritto all’acqua (ed ai servizi igienico-sanitari), affermando nella risoluzione 15/9 del settembre 2010 come lo si debba associare al “diritto ad una vita dignitosa [..] indissolubilmente legato a migliorare lo stato della salute fisica e mentale” dell’individuo.

            Già in precedenza, naturalmente, diverse iniziative nazionali erano state portate avanti in un’ottica di protezione e salvaguardia dell’acqua. Ex multis, si pensi alla “Dichiarazione degli Enti Locali” approvata a Città del Messico il 21 marzo 2006 in occasione del IV Forum Mondiale dell’Acqua, in cui tale elemento viene definito come bene comune e patrimonio dell’umanità, ed esplicitamente qualificato come risorsa limitata[3].

            L’Unione Europea d’altro canto – che già nel 2006 era intervenuta con una direttiva sui servizi – attraverso il Piano di Salvaguardia delle Risorse Idriche Europee si è mossa in tal senso, elaborando una disciplina programmatica delle scelte dell’Europa fino al 2030 in questa materia.

            La regolamentazione prevista dalla risoluzione ONU, tuttavia, pur costituendo approdo significativo ed evidente segnale di una compiuta presa di coscienza sulla rilevanza del tema in ambito internazionale, non ha portato all’elaborazione di piani concreti, coordinati e condivisi per attuare una tutela efficace a livello mondiale.

            D’altronde, proprio in relazione a quest’ultimo profilo, la questione maggiormente problematica si riferisce al valore giuridico delle risoluzioni citate.

A livello di effettività, infatti, esse non sono vincolanti per gli stati aderenti, costituendo unicamente raccomandazioni; spetta poi alle singole realtà nazionali legiferare di conseguenza per inserire i diritti che le risoluzioni riconoscono nell’ordinamento interno ed, eventualmente, ampliarli, armonizzandoli col proprio sistema giuridico mediante specifiche disposizioni ad hoc.

            A questi rilievi occorre aggiungere inoltre la considerazione per cui il diritto all’acqua non può considerarsi come un unicum definito e cristallizzato: l’enucleazione di un generico “diritto all’acqua” deve infatti tenere conto delle molteplici sfaccettature concrete nelle quali lo stesso può frammentarsi. A titolo esemplificativo, può farsi rientrare all’interno del diritto all’acqua non solo quello all’accesso a tale elemento, ma anche il diritto alla sua utilizzazione, sia a fini personali che alimentari; all’ottenimento di un’acqua potabile e non manomessa, con criteri minimi di accertamento della qualità; all’informazione sulle modalità di accesso; al reperimento indipendentemente dal luogo geografico di residenza; ad un sistema di garanzie di tutela a protezione dello stesso diritto, possibilmente con legittimazione attiva generale non connessa a situazioni giuridiche soggettive individuali.

            Rispetto a quest’ultimo aspetto, e specialmente in riferimento alla rilevanza del ruolo che la giurisprudenza nazionale potrebbe assumere, si segnala un recentissimo intervento di alcune associazioni dei consumatori italiane, secondo le quali una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio[4] contrasterebbe proprio con la risoluzione ONU del 2010: la pronuncia del giudice amministrativo ha sancito la liceità della sospensione del servizio idrico al cittadino moroso, senza permettere al sindaco di emanare un’ordinanza di riallaccio della fornitura. La censura mossa riguarderebbe in particolare la limitazione all’uso dell’acqua, che costituirebbe una violazione della qualificazione del bene come risorsa comune – n ossequio alla dettato della risoluzione – e quindi in quanto tale non mercificabile.

            Recentemente, anche l’Esposizione Universale del 2015 tenutasi a Milano ha contribuito a mantenere accesi i riflettori sulla questione, coerentemente con il tema scelto: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”.

            In particolare, il diritto all’accesso all’acqua ha trovato spazio all’interno della Carta di Milano, che racchiude alcune raccomandazioni e principi.

            Nel preambolo viene anzitutto sancito come i sottoscriventi (“donne e uomini, cittadini di questo pianeta”) considerino “una violazione della dignità umana il mancato accesso a cibo sano, sufficiente e nutriente, acqua pulita ed energia”.

            Anche se principalmente il riferimento e la funzione dell’elemento acqua sono in questo contesto relazionati all’alimentazione[5], asse portante dell’Expo 2015, nella Carta l’acqua viene presa in considerazione anche singolarmente, in più di un punto.

            Nella parte dedicata agli impegni facenti capo a cittadini e cittadine si fa riferimento allo spreco di tale risorsa, non solo dal punto di vista personale (“attività quotidiane e domestiche”) ma anche collettivo-agricolo-industriale (“attività produttive”), in una prospettiva di futuro sostenibile.

            Fra gli impegni specificamente sottoscritti dalle imprese, inoltre, figura il miglioramento della produzione, della conservazione e della logistica, per “evitare (o eliminare) la contaminazione e [..] minimizzare lo spreco, anche dell’acqua, in tutte le fasi della filiera produttiva”.

            Da ultimo, nella parte finale dedicata alle esortazioni rivolte ai governi, si sottolinea il ruolo determinante della risorsa in un’ottica di sistema, incentivando a “considerare il rapporto tra energia, acqua, aria e cibo in modo complessivo e dinamico, ponendo l’accento sulla loro fondamentale relazione, in modo da poter gestire queste risorse all’interno di una prospettiva strategica e di lungo periodo in grado di contrastare il cambiamento climatico”.

            A fronte di quanto emerso, appare evidente come il riconoscimento del diritto all’accesso all’acqua quale principio imprescindibile dei singoli ordinamenti contemporanei sia ormai non più procrastinabile, richiedendosi un intervento mirato che identifichi le facoltà da riconoscere ai singoli e precisi i contorni dei comportamenti inammissibili, per delimitare l’ambito di applicazione del diritto, la sua operatività e la sua salvaguardia.

            Occorre un piano politico-legislativo di attuazione, che elabori un sistema di tutele da articolarsi non solo sulla base di protocolli preventivi, ma che sia dotato di concreti rimedi di natura giustiziale (nazionale come sovranazionale) atti a garantirne una protezione non meramente nominale e sostanziale, ma anche procedimentale e procedurale.

Dott.ssa Chiara Pezza


[1]La reperibilità e fruizione dell’acqua sono infatti funzionali alla tutela del diritto alla salute.

[2]Diritti umani che essendo tali vanno considerati, secondo quanto riportato nella risoluzione, “universali, indivisibili, interdipendenti ed interconnessi”.

 

[3]La natura non perpetua dell’acqua assume decisiva importanza nella dichiarazione, come emerge anche dal principio enucleato al punto 3: “il diritto all’acqua di ciascun individuo e il suo utilizzo devono esercitarsi nel rispetto delle necessità delle generazioni presenti e future”.

[4]Sentenza del TAR Lazio, sezione staccata di Latina, n. 711 del 2 novembre 2015.

[5]Una corretta gestione delle risorse idriche, ovvero una gestione che tenga conto del rapporto tra acqua, cibo ed energia, è fondamentale per garantire a tutti il diritto al cibo.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here