LA RESPONSABILITÀ GENITORIALE: DANNO ENDOFAMILIARE E DANNI NEI RAPPORTI TRA “FAMILIARI”.

Breve studio a cura dell’Avv. Antonio Torre.

(Breve) ricostruzione dell’iter logico giuridico della disciplina.
Il concetto di danno endofamiliare unisce due grandi temi, quello della famiglia e quello dell’illecito, che spesso sono stati reputati dalla dottrina e dalla giurisprudenza come sistemi autonomi e non comunicanti.
L’emergere di esigenze di tutela, soprattutto dei minori coinvolti, ha spinto la giurisprudenza, prima di merito e poi di legittimità, a superare le resistenze ideologiche, riconoscendo sempre più spesso il diritto al risarcimento del danno .
Tuttavia, la categoria del danno endofamiliare, mal si concilia con l’eterogeneità delle fattispecie coinvolte, rendendo spesso difficile l’individuazione di caratteri comuni alle diverse ipotesi. Sarebbe forse opportuno allora, di là da generici ed eccessivi ampliamenti anche oltre il consentito del concetto di famiglia, un richiamo al pragmatismo e alla effettiva verifica della lesione degli interessi coinvolti, riconoscendo che se la persona e lo sviluppo della sua personalità sono prioritari, allora un qualunque comportamento che leda questi principi può essere considerato fonte di risarcimento del danno .
L’indagine oggetto di questo saggio di ricerca, non può non considerare la recente attenzione della dottrina e della giurisprudenza sulla attuale tematica, tanto che la stessa si colloca in quel processo di ampliamento del concetto di danno ingiusto, al quale la stessa giurisprudenza ha significativamente contribuito con importanti sentenze, che hanno, negli anni, segnato il passo di una notevole evoluzione interpretativa .
L’orientamento tradizionale, saldamente consolidato e condiviso fino a una decina di anni fa, escludeva qualsivoglia forma di tutela risarcitoria all’interno della famiglia.
In un primo momento a tenere separati la responsabilità civile dalla disciplina della famiglia era la visione pubblicistica di quest’ultima ; in un secondo momento – nonostante l’affermarsi di una considerazione della famiglia come luogo di espressione e sviluppo della persona, in aderenza ai valori della Costituzione – la disciplina della responsabilità civile non era comunque applicata ai rapporti familiari in forza del principio “lex specialis derogat generali”.
Secondo detta impostazione, infatti, la presenza di specifiche norme, deputate a sanzionare i comportamenti posti in essere dai familiari in violazione dei doveri nascenti dai vincoli parentali, precludeva la concomitante tutela risarcitoria .
Tale orientamento è mutato.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza oggi prevalenti, la tutela della persona non può ammettere una limitazione e/o sospensione all’interno di quello che è il luogo principale di espressione della personalità di ciascun individuo .
I diritti inviolabili della persona rimangono tali anche nell’ambito della famiglia, “cosicché la loro lesione da parte di altro componente della famiglia può costituire presupposto di responsabilità aquiliana” .
La condotta inadempiente assume dunque un duplice rilievo: per l’applicazione delle specifiche regole previste in materia di famiglia e per l’applicazione delle regole sulla responsabilità aquiliana .
Sulla base di tale rinnovato sentimento, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato la nozione di illecito endofamiliare , con la quale si tende ad accorpare tutte le ipotesi in cui all’interno di relazioni familiari si sia consumata una lesione ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, in conseguenza di una violazione dei doveri familiari.
Importanti applicazioni del concetto di danno endofamiliare riguardano per esempio la lesione dei diritti della persona subiti dal coniuge a causa della violazione dei doveri nascenti dal matrimonio ad opera dell’altro.
In quest’ambito la giurisprudenza ha in più occasioni specificato i requisiti necessari per la configurazione dell’illecito e gli elementi, anche probatori, che devono sostenere la domanda risarcitoria, soprattutto al fine di evitare una sovrapposizione e/o confusione con la domanda di addebito della separazione, la quale, sebbene anch’essa tragga origine da una violazione dei doveri matrimoniali, ha presupposti (e di conseguenza esigenze probatorie) differenti.
La domanda di addebito e quella risarcitoria sono autonome tanto che la mancanza di addebito non è preclusiva di separata azione per il risarcimento del danno .
L’azione di addebito, infatti, avendo il fine di indagare se vi sia colpa nella separazione, impone all’interprete di verificare: i) la sussistenza di una violazione dei doveri coniugali; ii) il nesso causale tra condotta e l’intollerabilità della convivenza.
Diverso fine ha l’azione risarcitoria la quale impone all’interprete di verificare la sussistenza di una condotta illecita, di una lesione alla persona e del nesso di causalità nonché del dolo e/o colpa; essa come detto non è preclusa dalla mancanza di addebito, ma, al tempo stesso non può essere ammessa soltanto in forza dell’accertamento della violazione dei doveri coniugali .
Un altro ambito applicativo molto importante riguarda i danni subiti dai figli per la violazione da parte dei genitori dei loro doveri genitoriali. Tra le ipotesi configurabili si riscontra la responsabilità del genitore che ostacola i rapporti tra il figlio e l’altro genitore, la responsabilità per il riconoscimento non veritiero di paternità, per cattivo esercizio della responsabilità genitoriale , per le decisioni prese dai genitori riguardanti la salute del minore .

E, analogamente al caso in esame, l’ipotesi, certamente di maggiore rilievo, che riguarda il mancato riconoscimento del figlio e la violazione dell’obbligo di mantenere, assistere e educare i figli.
Infatti, l’art. 147 c.c. statuisce che ciascuno dei genitori ha il dovere autonomo, e concorrente con quello dell’altro, di provvedere al mantenimento della prole in ragione delle proprie sostanze.
Tale obbligo trova la sua fonte nella procreazione perché è legato al fatto di essere genitore e per tale ragione esso sorge con la nascita del figlio e dura fino a quando il figlio, ancorché maggiorenne, non abbia raggiunto l’indipendenza economica .
L’obbligo sussiste anche nei casi in cui sia intervenuto un provvedimento di decadenza e/o sospensione della responsabilità genitoriale, il quale se per un verso autorizza i rappresentanti del minore ad esercitare in via esclusiva le prerogative genitoriali certamente non consente al genitore decaduto di esimersi dall’obbligo di provvedere ai figli.
In aderenza all’indirizzo giurisprudenziale prevalente la Corte afferma che l’obbligo di mantenimento è ineludibile, nel senso che non viene meno anche nei casi in cui l’altro genitore si sia preso interamente cura del figlio .
Infatti, l’art. 30 della Costituzione statuisce che <<È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.
La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità>>.
Ne consegue che, il predetto articolo pone a carico dei genitori l’obbligo di mantenere istruire ed educare i figli indipendentemente dal loro riconoscimento. La fonte dell’obbligazione è la stessa procreazione.
Per tale ragione la sentenza dichiarativa della filiazione produce effetti retroattivi comportando per il genitore tutti i doveri propri della procreazione fin dalla nascita del figlio .
La sentenza in commento ribadisce tale principio e, sulla base del ragionamento condiviso sotto la vigenza della disciplina antecedente, richiama l’applicazione dell’art. 261 c.c. – oggi abrogato – in forza del quale il riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i doveri e tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi.
Il rinnovato assetto sistematico delle disposizioni codicistiche conferma e rafforza il principio su enucleato, oggi applicabile non già in forza del richiamo ai doveri nascenti dalla filiazione legittima (ex artt. 261, 147, 148 c.c.) bensì in forza dell’unitaria disciplina del rapporto di filiazione.
L’attuale normativa distingue, infatti, chiaramente l’accertamento dello status di figlio e/o genitore ed il contenuto del rapporto tra genitori e figli .
La recente riforma del diritto di famiglia (D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 in vigore dal 7 febbraio 2014) ha unificato lo stato giuridico della filiazione, sancendo, all’art. 315 c.c., che <<Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico>>.
Come ampiamente noto il legislatore ha tentato di rimuovere tutti i residui ostacoli all’attuazione del principio di piena uguaglianza enunciato nella Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 21), nella nostra Carta fondamentale (art. 3) e di promuovere la protezione, la cura e il benessere del minore nonché la preminente valutazione dei suoi interessi, tutto ciò in aderenza anche alle fonti europee ed internazionali come l’art. 24 della già citata Carta di Nizza, la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo di New York e la Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori del 1996 .
Inoltre, nel dichiarato intento di tradurre il mutato sentimento sociale – che vede nella figura genitoriale colui che si fa carico dell’accudimento e della cura morale e materiale dei figli, nel rispetto delle loro inclinazioni, e non colui che esercita un potere decisionale autoritario – la parola “potestà” è stata sostituita con “responsabilità” ed è stato modificato il Titolo IX del libro I del codice civile, il quale oggi si intitola “Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio” e non più “Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri dei figli”.
L’operazione non è meramente linguistica.
La terminologia adottata riprende quella già da tempo in uso in ambito europeo (si pensi soltanto al regolamento europeo n. 2201/2003) e sottolinea che i poteri attribuiti ai genitori sono finalizzati allo sviluppo della personalità del figlio, al suo benessere e che devono essere esercitati di comune accordo nel preminente interesse del minore .
Al pari della potestà anche la responsabilità genitoriale rimane figura complessa, composta di elementi di potere e dovere, vicina all’idea di munus di diritto privato orientato alla salvaguardia e promozione dell’interesse del minore, già elaborata attorno al concetto di potestà.
Dunque, l’unicità dello status di figlio porta con sé l’acquisizione della tutela della filiazione come valore indipendente dal matrimonio: il contenuto del rapporto tra genitori e figli è indifferente al legame, sia esso giuridico o di fatto, presente tra i genitori stessi.
La distinzione tra figli nati in costanza di matrimonio e figli nati al di fuori del matrimonio rileva soltanto sotto il profilo dell’accertamento dello status – che opera per i primi con l’applicazione delle presunzioni legali ex art. 231 e segg. c.c. e per i secondi con il riconoscimento e/o dichiarazione giudiziale di paternità ex artt. 250 e 269 c.c.– ma non per il contenuto del rapporto: i diritti del figlio ed i connessi obblighi genitoriali sorgono per tutti i figli indistintamente al momento della procreazione .
Specificatamente, entrambi i genitori hanno il dovere di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’art. 315 bis c.c., il quale sancisce che <<Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.>>.
Quindi, gli obblighi genitoriali sorgono alla nascita del figlio per il sol fatto di averlo generato, ma sono azionabili in seguito all’accertamento dello status di genitore, quest’ultimo costituisce, infatti, soltanto un elemento pregiudiziale su cui si fonda la domanda risarcitoria .

La violazione dei doveri genitoriali e la responsabilità civile: i requisiti dell’illecito.
L’acceso dibattito che ancora oggi continua a riempire le aule di tribunale e le pagine delle riviste giuridiche sul c.d. danno endofamiliare rappresenta un sintomo della permeabilità del sistema giuridico alle istanze sociali dovuta alla sempre presente necessità di adeguamento della regola giuridica ai cambiamenti della società civile .
Per questa ragione, e forse perché la famiglia è più di ogni altro un istituto difficile da regolamentare, (perché il concetto stesso trova un presupposto sociale che, com’è noto, spesso prevale sulle rigide scelte legislative) il problema del danno endofamiliare appare, soprattutto nelle pagine di dottrina, ingigantito da presupposti dogmatici che complicano la soluzione di problemi i quali avrebbero invece, in altra sede , trovato più facile composizione .

Inquadrare la violazione dei doveri genitoriali nella responsabilità extracontrattuale implica l’applicazione del principio del nemidem laedere, per tale ragione l’osservazione assume come punto centrale la lesione subita dall’istante, la quale obbliga il danneggiante al risarcimento ove ricorrano i presupposti di cui agli artt. 2043 e 2059 c.c.: danno ingiusto, condotta colposa e/o dolosa e nesso di causalità.
Ciò giustifica i diversi piani di regolamentazione che l’ordinamento prevede: per un verso le specifiche norme in materia di famiglia (separazione, addebito, provvedimenti di decadenza e/o sospensione responsabilità genitoriale) per la violazione degli obblighi coniugali e/o familiari; per altro le norme in tema di responsabilità extracontrattuale, chiamate non già a sanzionare la violazione di detti obblighi – perché altrimenti la funzione risarcitoria svierebbe verso uno scopo punitivo, ad oggi non ammesso nel nostro ordinamento – bensì a tutelare la persona e dunque imporre il risarcimento della lesione di un diritto costituzionalmente garantito, anche nelle ipotesi in cui tale pregiudizio avvenga all’interno delle relazioni familiari .
In questo modo la condotta illecita può comportare conseguenze risarcitorie soltanto ove la stessa abbia cagionato la lesione di un interesse della persona, costituzionalmente garantito .
Così per esempio, in una pronuncia del Tribunale di Parma si legge che: (…) “Affinché sussista peraltro responsabilità del genitore non affidatario, assenteista, nei confronti del figlio, è necessario che questi abbia subito un danno consistente per esempio alla lesione della sua serenità personale, o in un pregiudizio allo sviluppo della sua personalità, verificando che tale comportamento abbia inciso in maniera negativa sul corretto sviluppo della personalità del figlio”.
In questo caso il Tribunale ha escluso la responsabilità del padre, il quale aveva riconosciuto il figlio sin da piccolo intrattenendo con lui periodici incontri ed aveva contribuito al mantenimento, sebbene in maniera inadeguata ed insufficiente. Inoltre, a parte generiche situazioni di conflittualità e malessere, l’istante non aveva allegato e provato la concreta lesione alla serenità personale subita .
Dunque, pur giudicando la condotta paterna carente e pur condannandolo ad una integrazione del contributo al mantenimento nonché al rimborso delle spese fino a quel momento sostenute in prevalenza dalla madre, l’inadempimento dei doveri genitoriali non è stato giudicato idoneo a configurare un’ipotesi di illecito endofamiliare.

Altro requisito necessario per l’accoglimento della domanda risarcitoria è l’elemento psicologico, per cui la condotta inadempiente deve essere colpevole e/o dolosa.
Presupposto fondamentale a tal fine è la consapevolezza dello status genitoriale, ossia del concepimento.
Sul punto la giurisprudenza di merito ha chiarito che la consapevolezza non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si può comporre di una serie d’indizi univoci, generati dall’indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all’epoca del concepimento .
Dunque il genitore ignaro della nascita di un figlio proprio non può essere considerato colpevole del proprio inadempimento. Sarà colpevole, invece, il genitore che avendo avuto la piena possibilità di conoscere e verificare la probabilità della propria paternità ne abbia ignorati tutti i segnali, negando in tal modo al minore la propria cura e assistenza.
Inoltre, l’interprete dovrà valutare la gravità della condotta, attraverso il giudizio delle concrete modalità di attuazione della medesima, per esempio il prolungato disinteresse del genitore, oppure il netto diniego del mantenimento. La gravità della condotta assume rilievo sia sotto il profilo psicologico ai fini della configurazione della colpa e del dolo, sia ai fini della idoneità della medesima a concretare la lesione di un interesse meritevole di tutela .

Il risarcimento del danno. Danno evento – danno conseguenza.
L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. alla luce dei principi enucleati dalle Sezioni Unite nell’importante decisione n. 26972/2008 , muove dalla questione affrontata dalle Sezioni Unite nella citata sentenza riguardante la configurabilità del c.d. danno esistenziale, ossia di un pregiudizio non patrimoniale, diverso tanto dal danno morale quanto dal danno biologico, consistente nella lesione del fare areddituale della vittima e scaturente dalla lesione di valori costituzionalmente garantiti .
Come ampiamente noto, la pronuncia prende posizione non soltanto sulla questione su detta, ma più in generale sull’assetto della responsabilità civile aquiliana; essa è parte di un approfondito dibattito, giurisprudenziale e dottrinario, inaugurato da altre due importanti sentenze – la n. 8827 e n. 8828/2003 – cui le Sezioni unite dichiarano di aderire.
La sentenza n. 26972/2008 conferma l’unitarietà del danno alla persona e nega la configurabilità di autonome categorie di danno, le quali possono essere utili soltanto a fini descrittivi; in particolare precisa che l’art. 2059 c.c., non delinea una distinta fattispecie di illecito produttiva di danno non patrimoniale, ma consente la riparazione anche dei danni non patrimoniali, nei casi determinati dalla legge, nel presupposto della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile, che si ricavano dall’art. 2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva).
Di conseguenza sul piano della struttura dell’illecito, le due ipotesi risarcitorie (ex artt. 2043 e 2059 c.c.) si differenziano in punto di evento dannoso, e cioè di lesione dell’interesse protetto.
E sotto tale aspetto, la sentenza afferma che il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, implicando l’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 c.c., la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante, mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona .
In questa pronuncia le Sezioni unite pongono un fondamentale criterio ermeneutico secondo cui: “La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell’ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria”.
La sentenza in commento afferma che sulla base delle risultanze probatorie acquisite, la Corte d’appello di Palermo ha verificato la sussistenza di una lesione dei diritti inviolabili della persona, specificatamente la ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione tutelati dalla Carta Costituzionale (artt. 2 e 30) e dalle fonti internazionali.
In sostanza la Corte Suprema difende l’operazione ermeneutica svolta nella fase di merito in quanto essa ha motivatamente verificato nel caso concreto l’ingiustizia del danno, facendo attenzione a vagliare la rilevanza costituzionale del diritto leso e non del tipo di pregiudizio (danno conseguenza) che la parte abbia subito.
Coerentemente a quanto asserito dalle sezioni unite nella citata sentenza del 2008 non deve infatti essere confuso il piano del pregiudizio da riparare con quello dell’ingiustizia da dimostrare.

Il richiamo operato nella sentenza in commento conferma che il risarcimento può essere accordato soltanto per il ristoro del c.d. danno conseguenza e sottolinea che la funzione del risarcimento è riparatoria e non punitiva .
Tale pronuncia sembra in tal modo smentire definitivamente quella giurisprudenza di merito che talvolta in tema di illecito endofamiliare afferma che il danno può essere è in re ipsa .
Sul punto occorre ricordare che una delle prime sentenze di legittimità , che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno subito dal figlio per il prolungato ed ostinato rifiuto del padre di fornirgli i mezzi di sussistenza, qualificava il danno come esistenziale. Secondo tale pronuncia la lesione dei diritti della persona collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, doveva essere risarcita, ex art. 2043 c.c. in combinato disposto con l’art. 2 Cost., per il fatto in sé della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza) .
Tale impostazione è stata presto superata e già nella importante sentenza del 2005 è stato affermato che l’accertamento della lesione del diritto fondamentale della persona a realizzarsi pienamente nella famiglia, nel suo ruolo – che nella fattispecie era di madre e moglie, ma ugualmente può dirsi per il figlio – vale a qualificare il danno subito in termini di ingiustizia, mentre restano da accertare le conseguenze pregiudizievoli derivati sia sotto il profilo del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale.
Dunque, il danno deve essere allegato e provato dal danneggiato, secondo la regola generale ex art. 2697 c.c. .
L’allegazione deve concernere fatti precisi e specifici del caso concreto, essere cioè circostanziata e non già purchessia formulata, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico e astratto, eventuale ed ipotetico .

La valutazione equitativa del giudice
Alla luce di quanto sopra esposto, l’interprete dovrà dunque valutare il danno conseguenza subito dal figlio, il quale potrà essere di natura patrimoniale e non patrimoniale.
Sotto il primo aspetto la voce risarcitoria più evidente deriva dalla mancata percezione di quanto dovuto a titolo di mantenimento, tuttavia non è escluso che il Giudice possa riconoscere anche il ristoro derivante dalla perdita di chance per la privazione della prospettiva di inserimento sociale e lavorativo adeguato alla classe socio economica di appartenenza del genitore inadempiente.
A proposito di tale tipo di danno è interessante la decisione del Tribunale di Parma (già sopra richiamata) , la quale pur rigettando la domanda dell’attrice di risarcimento del danno subito dal figlio per il mancato godimento della posizione sociale del padre, ha tuttavia motivato il rigetto perché nel caso concreto non era stato provato e allegato il vantaggio correlato alla posizione economica e sociale del padre che il figlio non avrebbe conseguito a causa dell’inadempimento paterno .
Pertanto si può desumere che l’impedimento a conseguire una possibile e concreta utilità economica a causa della violazione dei doveri genitoriali potrebbe essere ristorata ove adeguatamente provato .
Sotto il profilo non patrimoniale, la valutazione è in massima parte affidata al prudente apprezzamento del giudice, il quale è chiamato a determinare la compensazione economica socialmente adeguata del pregiudizio, quella che l’ambiente sociale accetta come compensazione equa .
Secondo un indirizzo consolidato in giurisprudenza, infatti, l’indennizzo non ha e non può avere funzione reintegrativa nemmeno delle sofferenze morali e dei “torti giuridici” subiti, essendo invero volto a tutelare l’esigenza di assicurare al danneggiato un’adeguata riparazione come utilità sostitutiva .
La valutazione equitativa deve dunque essere condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, considerandosi in particolare la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e i vari fattori incidenti sulla gravità della lesione. Il giudice è obbligato a motivare adeguatamente il proprio convincimento.

Ed infatti il controllo motivazionale consente di giustificare razionalmente a posteriori la decisione giudiziale, la quale è censurabile in sede di legittimità solamente laddove risulti non congruamente motivata .
L’esperienza delle corti di merito consente di enucleare alcuni criteri di giudizio , come per esempio: a) la dimensione temporale, ossia il tempo per cui si è protratta la lesione esistenziale e morale ; b) il grado di sensibilità e/o condizione del soggetto leso; c) la gravità della condotta; d) il profitto conseguito dal danneggiante.
Specificatamente riguardo al mancato riconoscimento e/o mantenimento del figlio, i criteri maggiormente considerati sono il primo ed il terzo, i quali spesso sono anche correlati, in quanto il rifiuto ostinato e protratto nel tempo viene considerato particolarmente lesivo della sfera esistenziale del figlio.
Una parte della giurisprudenza di merito ricorre poi al metodo tabellare e adotta come parametro di riferimento l’ammontare del risarcimento per la perdita totale di un genitore a causa di decesso. Tale importo viene tuttavia rideterminato in considerazione del fatto che nel caso di inadempimento dei doveri genitoriali la perdita subita dal figlio non costituisce una perdita definitiva e talvolta potrebbe non essere totale.
Ne consegue che non sembra ipotizzabile un’indicizzazione tabellare che consenta di predeterminare le voci di danno; la costante aspirazione di questi anni alla prevedibilità delle voci risarcitorie non appare realizzabile in questa materia, giacché le sfumature di ciascun caso concreto sono in grado di influenzare sensibilmente il giudicante.
Pertanto, soltanto il controllo motivazionale può garantire che la decisione sia ispirata ad equità e non ad arbitrarietà.
Gli illeciti endofamiliari e le unioni civili.
Per quanto riguarda le formazioni sociali para-familiari, diverse dalla famiglia basata sul matrimonio, la giurisprudenza di legittimità e costituzionale, in diverse pronunce, già prima dell’introduzione della L. 76/2016 aveva riconosciuto alle stesse rilevanza costituzionale. Per di più, la Suprema Corte di Cassazione, già nel 2013 aveva affermato che “La violazione dei diritti fondamentali della persona è configurabile anche all’interno di un’unione di fatto, purché avente le caratteristiche di serietà e stabilità, in considerazione dell’irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti, ai sensi dell’art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo” (Cass. Civ. n. 15481/2013).

La L. 76/2016, che ha introdotto nel nostro ordinamento le figure dell’unione civile fra persone dello stesso sesso e delle convivenze di fatto, ha consacrato le stesse come specifiche formazioni sociali ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, positivizzando molte delle conclusioni a cui la giurisprudenza era già giunta.
Ai sensi dell’art. 1 comma 11 della L. n. 76/2016, l’unione civile tra persone maggiorenni dello stesso sesso comporta che le parti di tale consorzio sociale siano obbligate reciprocamente all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione e alla contribuzione ai bisogni comuni, in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo .
A differenza che nel matrimonio, non sussiste per le parti dell’unione civile alcun obbligo di fedeltà; ne consegue che, la violazione dei doveri espressamente previsti, analogamente a quanto avviene nel rapporto matrimoniale, (configurino una violazione delle situazioni giuridiche soggettive fondamentali), sono riconducibili alla figura dell’illecito endofamiliare e dunque idonee a cagionare un danno risarcibile ai sensi degli artt. 2043 e 2059 cod. civ.

Conclusioni
Dunque a seguito delle pronunce esaminate nel presente saggio, l’orientamento ermeneutico riconosce l’illecito endofamiliare e di conseguenza il ristoro dei danni patiti in conseguenza della lesione ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, subiti a causa di una violazione dei doveri genitoriali.
Tale impostazione appare coerente con i valori costituzionali dell’ordinamento e risulta a tutt’oggi avvalorata dai recenti interventi normativi in materia di filiazione.
A fronte di ogni rivendicazione di libertà, appare doveroso affiancare una matura assunzione di responsabilità.
Quindi non è contraddittorio , bensì necessario, che in un tempo in cui si discute di ampliamento dei modelli familiari, si rifletta altresì su un concetto di responsabilità “rafforzato” (nel senso che i comportamenti inadempienti possano essere censurati sia sotto il profilo delle regole proprie del diritto di famiglia sia sotto il profilo aquiliano) proprio perché le varie scelte possibili, da tutelare in un’ottica di libera espressione della personalità umana, non vadano a pregiudicare gli interessi e la sfera affettiva degli altri familiari .

 

NOTE A MARGINE:

Anna Carla Nazzaro, Danno endofamiliare e danni nei rapporti tra familiari, Rivista Giustizia Civile, Giuffrè Editore 2016.
Anna Carla Nazzaro, Danno endofamiliare e danni nei rapporti tra familiari, Rivista Giustizia Civile, Giuffrè Editore 2016.
Particolarmente significativa la sentenza della Cass., Sez. un., 22 luglio 1999, n. 500.
Intesa quale nucleo chiuso la cui unione doveva essere salvaguardato in via prioritaria. È famosa la similitudine di Arturo Carlo Jemolo secondo il quale l’intera famiglia appare come “un’isola che il mare del diritto può lambire, ma lambire soltanto”. A.C. Jemolo, La famiglia e il diritto, ora in Id., Pagine sparse di diritto e storiografia, scelte e coordinate da L. Scavo Lombardo, Milano, 1957, 241. Su questa osservazione, che “… ha incontrato una fortuna inquietante”, cfr. le dotte note di S. Caprioli, La riva destra dell’Adda, lettura a F. Vassalli, Del Ius in corpus del debitum coniugale e della servitù d’amore ovverosia la dogmatica ludicra, ristampa anastatica, Bologna, 1981, 4-12.
Vedi per tutti P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006; Id., Sulla famiglia come formazione sociale, in Rapporti personali nella famiglia, a cura di Perlingieri, Napoli, 1982. V. Cuffaro – M. Sesta, Persona, famiglia e successioni nella giurisprudenza costituzionale, Napoli, 2006.
Cfr. due pronunce che negano entrambe il diritto al risarcimento del danno, esprimendo tuttavia due sensibilità molto diverse tra loro, stante la diversa collocazione temporale: Trib. Milano, 12 dicembre 1957, in Riv. Dir. Matr. e Persone, 1958, 272, con nota di Cortese, È una “facoltà” o un “obbligo” il riconoscimento del figlio naturale da parte del genitore; Trib. Belluno, 23 marzo 2004, in Gius., 2004, 2598.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Così Cass., 15 settembre 2011, n. 18853.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Importanti le pioneristiche riflessioni svolte da S. Patti, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, 15 e segg.; più recenti AA.VV., La responsabilità nelle relazioni familiari, a cura di Michele Sesta, in Nuova Giur. Dir. Civ. Comm., Torino, 201, 46 e segg.; M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile endofamiliare, in Fam. Pers. e Succ., 2011, 1, 15; G. Facci, I nuovi danni nella famiglia che cambia, Milano, 2009; G. Ferrando, Il contributo della Corte europea dei diritti dell’uomo all’evoluzione del diritto di famiglia, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2005, 263 e segg.; Id., Responsabilità civile e rapporti familiari alla luce della l. n. 54/2006, in Fam. Pers. e Succ., 2007, 594; A. Fraccon, La responsabilità dei genitori per i danni arrecati ai figli, in Trattato della responsabilità civile e penale in famiglia, a cura di Paolo Cendon, IV, Padova, 2004.
Per i primi riconoscimenti giurisprudenziali: Trib. Milano, 29 settembre 2002; Trib. Milano, 7 marzo 2002, in Corr. Giur., 2002, 1211, con nota di De Marzo; Trib. Firenze, 13 giugno 2000; Trib. Venezia, 30 giugno 2004; App. Bologna, 10 febbraio 2004. In sede di legittimità importanti Cass., 7 giugno 2000, n. 7713 e Cass., 10 maggio 2005, n. 9801.
Per una ricostruzione delle tappe giurisprudenziali che hanno portato all’elaborazione di tale nozione vedi M. Bona, Illeciti endo-familiari, in Gli interessi protetti nella responsabilità civile, III, Torino, 2005, 256 e segg.; C. Petta, Infedeltà coniugale e responsabilità civile: la risarcibilità dell’illecito endofamiliare nella recente giurisprudenza di legittimità, in Dir. Famiglia, 2012, 4, 1448-1472.
Non esente da qualche notazione critica secondo taluni le ipotesi ricomprese nella nozione sono varie e diverse tra loro, tanto da rendere la figura “assai multiforme e disomogenea” così F. Santosuosso, Il matrimonio. Libertà e responsabilità nelle relazioni familiari, Torino, 2011, 466-469; G.F. Basini, Infedeltà matrimoniale e risarcimento. Il danno “endofamiliare” tra coniugi, in Fam. Pers. e Succ., 2012, 2, 92.
Cfr. Cass. civ., 15 settembre 2011, n. 18853, in Fam. Pers. e Succ., 2012, 2, 92 con nota di Basini, Infedeltà matrimoniale e risarcimento. Il danno “endofamiliare” tra coniugi; nonché in Il Diritto di famiglia e delle persone, 2012, 4, 1448-1472, con nota di Petta, Infedeltà coniugale e responsabilità civile: la risarcibilità dell’illecito endofamiliare nella recente giurisprudenza di legittimità. Tra la giurisprudenza di merito App. Firenze, sentenza 17/21 maggio 2013, n. 802; App. Napoli, sentenza 18 luglio 2013, n. 2945, in Guida al Dir., 2013, 42, 73; Trib. Roma, sentenza 22 novembre 2013, n. 23543, in De Jure; App. Firenze, sentenza 31 dicembre 2011, n. 1725.
Vedi Cass. civ., 15 settembre 2011, n. 18853.
Tuttavia, ai fini dell’accertamento del fatto, può avere rilievo l’accertamento effettuato in sede di valutazione dell’addebito quando la sentenza, decidendo sull’addebito, escluda la sussistenza di una violazione dei doveri coniugali, sicché essa comporta il rigetto della domanda risarcitoria ove il richiedente non alleghi ulteriori specifiche condotte poste in essere dal coniuge lesive di un diritto costituzionalmente garantito (in tal senso vedi sentenza App. Firenze n. 288/2011).
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Su tali ipotesi vedi G. Facci, La responsabilità dei genitori per violazione dei doveri genitoriali, in La responsabilità nelle relazioni familiari a cura di Michele Sesta, Torino, 2008, 204 e segg.; L. Davoli, Violazione dei doveri genitoriali e risarcimento dei danni (Nota a Trib. Lecce sez. distaccata Maglie 3 settembre 2008), in Fam. Pers. e Succ., 2009, 10, 785-797; C. Dini, Tutela risarcitoria della posizione genitoriale e danno endofamiliare, (Nota a Trib. Roma sez. I civ. 3 settembre 2011), in Responsabilità civile e previdenza, 2012, 4, 1329; R. Di Cristo, Il danno subito dal figlio naturale per il mancato riconoscimento da parte del genitore, in Fam. Pers. e Succ., 2012, 10, 695-700.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
La giurisprudenza già da tempo afferma che “l’obbligo del genitore naturale di concorrere nel mantenimento del figlio insorge con la nascita dello stesso, ancorché la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (Cass., 20 novembre 2011 n. 27653, Cass., 3 novembre 2006 n. 23596) [omissis]…..sicché nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, (Cass., 2 febbraio 2006 n. 2328)” Così Cass., 10 aprile 2012, n. 5652 conforme Trib. Milano, 5 settembre 2014, n. 10790; App. Ancona, 16 maggio 2014, n. 363, Trib. Roma, 1 aprile 2014, n. 7400.
Fra le varie Cass., 6 novembre 2009, n. 23630.
Nella parte in cui afferma che “l’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza” (Cass., 20 dicembre 2011, n. 27653; Cass., 3 novembre 2006 n. 23596).
G. Ferrando, Diritto di famiglia, Bologna, 2015, 253, la quale osserva che: “La disciplina della filiazione affronta due ordini di problemi: quello dei modi di costituzione dello status – o, come altrimenti si dice, il problema dell’accertamento della filiazione – e quello del contenuto del rapporto tra genitori e figli, dei reciproci diritti e doveri”.
Sottolinea con toni critici le residue disparità di trattamento tra figli nati in costanza di matrimonio e non, in ordine all’inserimento del figlio nato fuori dal matrimonio nella famiglia del suo genitore ed alla disciplina del cognome, G. Ferrando, Diritto di famiglia, cit., 258.
Approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176.
Attuata in Italia con L. n. 77/2003.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Tra gli altri F. Bartolini, La riforma della filiazione, Piacenza, 2014, 67 e segg.; G. Ferrando, Diritto di famiglia, cit., 277; M. Velletti, Dei diritti e doveri dei figli e della responsabilità genitoriale, in AA.VV., Modifiche al codice civile e alle leggi speciali in materia di filiazione, Napoli, 2014, 75 e segg.; A. Figone, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino, 2014, 67-75; T. Auletta, Diritto di famiglia, Torino, 2014, 327-379. Critico G. De Cristofaro, Dalla potestà alla responsabilità genitoriale: profili problematici di una innovazione discutibile, in Nuove Leggi Civ. Comm., 4, 2014, 782 e segg.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
La prescrizione dell’azione risarcitoria decorre dal momento in cui il diritto può essere esercitato e dunque dal momento dell’accertamento dello status. In tal senso Cass., 26 maggio 2004, n. 10124, in Giust. Civ., 3, 2005, 730 con nota di G. Giacobbe, Responsabilità per la procreazione ed effetti del riconoscimento del figlio naturale.
Parzialmente difforme Trib. Roma, 1 aprile 2014, n. 7400.
Non è certo questa la sede per richiamare i numerosissimi autori che si sono occupati del tema, basti quindi un rinvio, necessariamente incompleto, alle opere più risalenti rinviando gli aggiornamenti al prosieguo della trattazione: S. PATTI, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984, spec. 32 ss; P. MOROZZO DELLA ROCCA, Violazione dei doveri coniugali: immunità o responsabilità, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 605 ss.; R. PARTISANI, Sulla risarcibilità del danno cagionato in violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, in Resp. comunic. e impr., 2003, 87; A. FRACCON, La responsabilità civile fra coniugi: questioni generali e singole fattispecie, in P. CENDON (a cura di), in Trattato della responsabilità civile e penale in famiglia, vol. III, Padova, 2004, 2801; M. PALADINI, Responsabilità civile nella famiglia: verso i danni punitivi?, in Resp. civ. e prev., 2007, 2005 ss.; T. MONTECCHIARI, Violazione dei doveri familiari e risarcimento del danno, Napoli, 2008, 184 ss.; F. NICOLUSSI, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, in Eu. e dir. priv., 2008, 929; G. FACCI, I nuovi danni nella famiglia che cambia, Milano, 2009, 16 ss.; A. ASTONE, Crisi coniugale e responsabilità civile, in G. FERRANDO-M. FORTINO-F. RUSCELLO (a cura di), Famiglia e matrimonio, in P. ZATTI (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Vol. I, Padova, 2011, 1813 ss.; M. PARADISO, Famiglia e responsabilità civile endofamiliare, in Fam. pers. e succ., 2011, 14.
La locuzione unisce due grandi temi, quello della famiglia e quello dell’illecito, che forse più degli altri rappresentano il segno della connessione tra realtà sociale e realtà giuridica. Sul punto, in special modo per il dinamismo del sistema della responsabilità civile v., P. PERLINGIERI, Le funzioni della responsabilità civile, in Rass. dir. civ., 2011, 115 ss. Per il rapporto tra regola giuridica e realtà sociale d’obbligo il rischiamo a S. PUGLIATTI, Fiducia e rappresentanza indiretta, in ID., Diritto civile. Metodo, teoria e pratica. Saggi, Milano, 1951, 216 ss. Di recente, v., P. GROSSI, Oltre le mitologie giuridiche della modernità, in ID., Mitologie giuridiche della modernità, Milano, 2007, 58 ss.; A. FALZEA, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, III°, Milano, 2010, 416 ss.
Per una approfondita riflessione sui cambiamenti sociali che hanno mutato il concetto anche giuridico di famiglia v., P. STANZIONE, Rapporti personali nella famiglia: l’esperienza europea, in Familia, 2001, 1097. È noto, peraltro, il lungo e oramai risalente dibattito sulla socialità del concetto di famiglia e sul ruolo (guardiano o propositivo) dello Stato. Si veda per una recente riflessione, E. GIACOBBE, Le persone e la famiglia, Torino, 2011, 12 ss.
Per ripercorrere il lungo cammino che da una concezione pubblicistica ha condotto all’attuale idea privatistica della famiglia, cfr., G. OBERTO, I contratti della crisi coniugale, I, Milano, 1999, 104 ss.; M. DOGLIOTTI, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore, in A. CICU-F. MESSINEO-L. MENGONI-P. SCHLESINGER (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, VI, 2, Milano, 2007, 512 ss.; G. VETTORI, Diritti della persona e unità della famiglia trent’anni dopo, in Pers. fam. e succ., 2007, 197 ss. Il passaggio da una visione pubblicistica ad una privatistica sarebbe il principale fattore che ha indotto gli interpreti ad ammettere il rimedio risarcitorio; a tal riguardo cfr., G.F. BASINI, Infedeltà matrimoniale e risarcimento. Il danno «endofamiliare» tra coniugi, in Fam. pers. e succ., 2012, 97 ss.; G. FERRANDO, Crisi coniugale e responsabilità civile, in F. LONGO (a cura di), Rapporti familiari e responsabilità civile, Torino, 2004, 48 ss.; M. RICCIO, Violazione dei doveri coniugali e risarcimento del danno, in Danno e resp., 2006, 585 ss.; G. FERRANDO, Violazione dei doveri familiari tra inadempimento e responsabilità civile, cit., 398 ss.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Ciò deriva da un malinteso concetto di immunità della famiglia, per il quale basti qui il riferimento a A.C. JEMOLO, La famiglia e il diritto, in Annali della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania, ora in ID., Pagine sparse di diritto e storiografia, Milano, 1957, 241. La dottrina è tuttavia orientata comunque, da tempo, in senso opposto. V., per tutti, P. RESCIGNO, Immunità e privilegio, in Riv. dir. civ., 1961, I, 438 ss. Il tema dell’applicabilità delle norme sulla responsabilità civile ai rapporti familiari non è comunque nuovo e anzi è anche già stato affrontato dal legislatore con la l. 8 febbraio 2006, n. 58, che ha introdotto l’art. 709-ter nel Codice di procedura civile il quale, com’è noto, prevede espressamente la possibilità che al minore o ad uno dei coniugi venga riconosciuto un risarcimento dei danni derivanti dal comportamento di un coniuge che sia contrario ai canoni definiti nel provvedimento di affidamento. I rapporti tra la modifica della norma processuale e la nozione di danno endofamiliare sono indagati da F. DANOVI, Gli illeciti endofamiliari: verso un cambiamento della disciplina processuale?, in Dir. fam. e pers., 2014, II, 293 ss.; L. AMBROSINI, La responsabilità del genitore “inadempiente”: accordi fra genitori e poteri del giudice anche alla luce della l. n. 219/2012, in Dir. fam. e pers, 2013, II, 1133 ss.; C. PIRRO, Art. 709 ter c.p.c.: note sull’esercizio della potestà genitoriale, in Giur. it., 2013, 843 ss.; D. AMRAM, Cumulo dei provvedimenti ex artt. 709-ter e 614-bis c.p.c. e adempimento dei doveri genitoriali, in Danno e resp., 2012, 783 ss.; G. FACCI, I nuovi danni nella famiglia che cambia, cit., 4 ss..
Critico sul punto M. Paradiso, Famiglia e responsabilità civile endofamiliare, in Fam. Pers. e Succ., 2011, 1, 14-22.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Trib. Parma, 23 dicembre 2013, n. 1659.
Nella motivazione si legge: “Nessun danno consistente alla serenità personale, pur nella delicata e conflittuale situazione che ha accompagnato la crescita di Gi., è emerso dalle risultanze istruttorie né dalle stesse allegazioni della attrice, la quale, invero, sul punto si è limitata a dedurre unicamente che il figlio aveva contratto in età adolescenziale un’alopecia da stress, la quale, oltre ad avere origini da cause multifattoriali, non è di per sé, in assenza si ribadisce di ogni riscontro o circostanza rappresentativa di disequilibri o sofferenze relazionali, rappresentativa di un pregiudizio correlabile al comportamento del padre. Ne viene che, a prescindere dalle astratte considerazioni della difesa di parte attrice, non è dato in concreto riscontrare un pregiudizio alla serenità personale, o allo sviluppo della personalità del figlio o comunque ad un diritto costituzionalmente tutelato che sia stato pregiudicato dal comportamento paterno”.
In tal senso Cass., 22 novembre 2013, n. 26205.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Cass. civ., Sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, in Resp. Civ. e Prev., 1, 2009, 63, con nota di E. Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali; in Giust. Civ., fasc. 4-5, 2009, 930, con nota di M. Rossetti, Post nubila phoebus, ovvero gli effetti concreti della sentenza delle sezioni unite n. 26972 del 2008 in tema di danno non patrimoniale; in Resp. Civ. e Prev., fasc.1, 2009, 94, con nota di P. Ziviz, Il danno non patrimoniale: istruzioni per l’uso.
Il danno esistenziale consiste nel pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, che alteri le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, inducendolo a scelte di vita diversa quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. In altri termini, nel “danno conseguenza della lesione”, sostanziantesi nei “riflessi pregiudizievoli prodotti nella vita dell’istante attraverso una negativa alterazione dello stile di vita”. Così Cass., Sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Sul punto si rinvia ad alcuni dei contributi sul tema: R. Scognamiglio, Il danno morale mezzo secolo dopo, in Riv. Dir. Civ., 2010, 5, 609-634, ivi bibliografia; P. Perlingieri, L’onnipresente art. 2059 c.c. e la “tipicità” del danno alla persona, (Nota a Cass. sez. un. 11 novembre 2008, n. 26972), in Rass. Dir. Civ., 2009, 2, 520-529; M. Franzoni, I diritti della personalità, il danno esistenziale e la funzione della responsabilità civile, in Contratto e Impresa, 2009, 1, 1-23; M. Costanza, Le sezioni unite e il danno esistenziale: meno tutela della persona o la proposta di un “nuovo” danno patrimoniale, in Iustitia, 2009, 1, 95-101; P. Ziviz, I danni non patrimoniali, Milano, 2012, 202-218.

Sul punto vedi anche Cass., 23 gennaio 2014, n. 1361.
Così per esempio una decisione della Corte d’Appello di Ancona afferma che (…) “il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela. Tale danno è in re ipsa e ne va ritenuta la sussistenza a prescindere dal rilievo – attraverso indagini medico-scientifiche – di lesioni nella psiche del soggetto che l’ha subito, perché non può dubitarsi che l’assenza, nella vita di un bambino, di una figura genitoriale, influisce sulla sua crescita comportando l’insorgenza di problematiche che si traducono in rischi di instabilità psichica ed affettiva e comportano, come è noto, maggiori difficoltà nella costruzione della personalità, nell’approccio alle relazioni interpersonali, nell’affrontare le problematiche connesse alle varie fasi della crescita e del processo evolutivo, nel consolidare le basi del processo di ingresso nella vita adulta.” App. Ancona, 16 maggio 2014, n. 363.
Cass., 7 giugno 2000, n. 7713.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Cass., 10 maggio 2005, n. 9801.
V. Cass., 16 febbraio 2012, n. 2228; Cass., 13 maggio 2011, n. 10527.
V. Cass., 13 maggio 2011, n. 10527; Cass., 25 settembre 2012, n. 16255.
Sentenza 23 dicembre 2013, n. 1659.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.
Sulla perdita di chance tra le più recenti cfr. Cass. civ., 12 febbraio 2015, n. 2737, la quale precisa che: il danno patrimoniale da perdita di “chance” è un danno futuro, consistente nella perdita non di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione “ex ante” da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale; l’accertamento e la liquidazione di tale perdita, necessariamente equitativa, sono devoluti al giudice di merito e sono insindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivati.
In ordine al significato che nel caso assume l’equità v. Cass., 7 giugno 2011, n. 12408.
Cfr. Cass., 14 febbraio 2000, n. 1633; Cass., 25 febbraio 2000, n. 2134; Cass., 2 aprile 2001, n. 4783; Cass., 30 luglio 2002, n. 11255; Cass., 23 febbraio 2005, n. 3766; Cass., 25 maggio 2007, n. 12253.
V. Cass., 7 giugno 2011, n. 12408; Cass., 23 gennaio 2014, n. 1361.
Sulla quantificazione del danno non patrimoniale vedi recente G. Ponzanelli, Quale danno? Quanto danno? E chi lo decide poi?, in Danno e Resp., 2015, 1, 71-74; C. Bona, Studio sul danno non patrimoniale, Milano, 2012, 31 e segg.
Cfr. per esempio Trib. Milano, 3 settembre 2012 e App. Milano 5.05.2015, sulla valutazione del danno non patrimoniale subito per la lesione della riservatezza.
Cfr. per esempio Trib. Milano, 5 settembre 2014, n. 10790.
Giuseppina Geraci, Rassegna di Diritto e Giurisprudenza Civile (Giuricivile), 2018.
G. La Malfa Ribolla, La tutela risarcitoria per assenza del genitore, tra conferme della responsabilità civile endofamiliare dubbi sulla coerenza del sistema, in Studium iuris, 2014, 7-8, 877-886, il quale solleva il dubbio se non sia auspicabile una riflessione sulla regolazione più appropriata della tutela dei danni endofamiliari in modo da contenere il relativo contenzioso. Secondo l’autore in un’epoca di crescente flessibilità familiare “tagliare con l’accetta del risarcimento del danno l’ambito delle relazioni familiari travagliate sembra una strada inappropriata, tanto nell’ottica del singolo problema quanto in quella del sistema”.
Daniela Marcello, Filiazione, Danni in materia civile e penale, Giur. It., 2015, 11, 2333.

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