I provvedimenti ablativi e modificativi della responsabilità genitoriale.

I procedimenti ablativi e modificativi della responsabilità genitoriale, la competenza del Tribunale per i Minorenni e la vis actractiva del Tribunale ordinario nel nuovo saggio a cura dell’Avv. Antonio Torre.

Cenni introduttivi e osservazioni preliminari.

L’ordinamento giuridico prevede ampi poteri di intervento dell’autorità giudiziaria nel caso di violazione dei doveri dei genitori nei confronti dei figli o di abuso dei poteri, ove da simili comportamenti possano derivare gravi pregiudizi in capo ai minori.
Infatti, l’art. 330 c.c., prevede che possa essere pronunciata la decadenza della responsabilità genitoriale nei confronti di quel genitore che violi o trascuri i propri doveri, ovvero abusi dei poteri inerenti la responsabilità stessa, arrecando grave pregiudizio nei confronti del figlio.
Ove il comportamento del genitore non sia tale da giustificare la pronuncia della decadenza della responsabilità, ma sia in ogni caso pregiudizievole per il figlio, potranno essere adottati i più opportuni provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c..
Infatti, quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza della responsabilità genitoriale prevista dall’art. 330 c.c., ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore (Giovanni Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, Volume IV°, La Filiazione e l’adozione, Utet Giuridica, 2016).
Pertanto, la sussistenza di una situazione di pregiudizio inerente la sfera familiare di appartenenza del minore rende necessaria la pronuncia di un provvedimento protettivo, in ipotesi di conflittualità familiare grave che incide negativamente sul piano dell’armonico sviluppo della personalità dello stesso, necessitante di serene ed equilibrate relazioni familiari.
Ne consegue che ogni uso della responsabilità genitoriale non finalizzato alle esigenze di crescita umana del minore può essere sanzionato e come tutta la funzione educativa, di cui la responsabilità genitoriale è mero strumento, deve svolgersi tenendo conto in via primaria delle necessità di sviluppo della personalità del figlio anziché delle aspettative genitoriali (sulle tappe che hanno condotto all’approvazione della legge v. M. Sesta, I disegni di legge in materia di filiazione: dalla diseguaglianza all’unicità̀ dello status, in Dir. Fam., 2012, p. 962 ss.; L. Fanni, La filiazione. Verso lo status unico di figlio, in AIAF 2012/Straordinario, 27 ss.; G. Ferrando, Filiazione legittima e naturale: la situazione attuale e il progetto di riforma, ibidem, p. 31 ss. Si veda anche F. D’Allongaro, Prime impressioni sul testo definitivo della legge di Riforma sul diritto di famiglia, in Dir. fam. pers., 1975, p. 593 ss; A. Luminoso, Quale processo per la famiglia. Ricognizione dell’esistente e prospettive di riforma, in Quale processo per la famiglia e i minori,1997, Atti del Convegno. Cagliari, 5-6 dicembre 1997 a cura di Luisella Fanni, p. 27).
I provvedimenti de potestate hanno dunque principalmente lo scopo di tutelare i figli dai possibili pregiudizi derivanti dall’inadempimento dei genitori ai propri doveri e di garantire, la corretta crescita e lo sviluppo fisico e psicologico del minore, evitando la reiterazione e il protrarsi degli effetti pregiudizievoli (AA.VV., Filiazione. Commento al decreto attuativo, a cura di M. Bianca, Milano, 2014).
Di conseguenza, la funzione di detti provvedimenti, è certamente preventiva e protettiva, pur non mancando la giurisprudenza di evidenziare anche una componente sanzionatoria nei confronti dei genitori (Giovanni Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, Volume IV°, La Filiazione e l’adozione, Utet Giuridica, 2016).
Va da sé che, dalla diversa funzione che voglia attribuirsi ai provvedimenti di cui agli artt. 330 e ss. c.c. discende tuttavia una differente valorizzazione dell’elemento soggettivo in capo al genitore.
Se volessimo escludere per un attimo il carattere sanzionatorio, l’accertamento dello stato soggettivo di dolo o colpa diviene rilevante al solo fine di graduare la misura applicabile, ma non rileva quale presupposto della stessa (Corte Cost., 30 luglio 1980, n.135, in Foro It. 1980, I, 2961 ss; Corte Cost., 5 febbraio 1996, n. 23, in Foro it.,1997, I, 61 ss.; Corte Cost., 30 dicembre 1997, n. 451, in Giust. civ., 1998, I, 987).
In questa prospettiva, il solo fatto oggettivo della violazione dei doveri o abuso dei poteri, sommato all’accertamento del pregiudizio del minore, dà luogo all’applicazione della misura protettiva (per approfondimenti si rinvia a G. Ferrando, La nuova legge sulla filiazione profili sostanziali, in Corriere Giur., 2013, p. 525; M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in questa Rivista, 2013, p. 231 e ss.; G. Casaburi, Novità legislative in tema di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio: profili sostanziali, in Foro it., 2013).
Il pregiudizio potrà essere anche meramente eventuale, potendosi applicare la misura nell’ipotesi in cui si sia verificato il mero pericolo di un danno pregiudizievole per il minore, indipendentemente dalla circostanza che il genitore abbia agito con la coscienza di ledere gli interessi della prole, dovendo essere evitato, nei limiti del possibile, ogni obiettivo pregiudizio, non necessariamente attuale, ma anche solo eventuale, per il minore (Cfr. Corte Cass. 21 febbraio 2004, n. 3529, 2005; Corte Cass. 4 febbraio 2000, n. 1213; Corte Cass. 15 marzo 2001, n. 3765; Corte Cass. 10 maggio 1999, n. 4631).
Il venir meno di qualsivoglia pregiudizio in capo al minore e del comportamento del genitore che abbia violato i propri doveri o abusato dei poteri, costituisce presupposto per la pronuncia di reintegrazione nella responsabilità genitoriale.
Parte della dottrina rappresenta che, ai fini della reintegrazione non sarebbe sufficiente, il venir meno della sola gravità del pregiudizio, ma è necessario l’accertamento dell’assenza di qualsiasi ragione, anche eventuale, di pregiudizio per il minore stesso.

I procedimenti ablativi e modificativi della responsabilità genitoriale.
Le ipotesi rubricate negli artt. 330 e 333 c.c. sono differenti sotto l’aspetto quantitativo e non qualitativo.
In altre parole, ove il giudice dovesse accertare il ricorrere di una particolare gravità nel comportamento, ovvero dovesse accertare un grave pregiudizio in capo al minore, dovrà pronunciare necessariamente la decadenza del/dei genitori dalla responsabilità genitoriale (Giovanni Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, Volume IV°, La Filiazione e l’adozione, Utet Giuridica, 2016).
Al contrario, il giudice, ove dovesse ravvisare un comportamento pregiudizievole per il minore, (pur non ricorrendo i presupposti per la pronuncia di decadenza) potrà adottare i provvedimenti convenienti, limitando la stessa responsabilità genitoriale.
La scelta tra le fattispecie di cui agli artt. 330 e 333 c.c. deve essere effettuata sulla base della considerazione dell’entità del pregiudizio in capo al figlio.
Una volta accertata la gravità del comportamento, la pronuncia della decadenza consegue necessariamente all’accertamento, essendo la discrezionalità del giudice limitata alla valutazione della gravità del pregiudizio e non all’applicazione della misura una volta che tale gravità sia stata ravvisata (Vercellone, Il controllo giudiziario sull’esercizio della potestà, in Filiazione, a cura di Collura Lenti-Mantovani, in Trattato Zatti, Milano, 2002).
Ai fini dell’applicazione della misura, è rilevante non solo il comportamento del genitore nei confronti del figlio, ma anche nei confronti dell’altro genitore ove lo stesso possa arrecare pregiudizio al minore, così come deve essere posta alla base del provvedimento di decadenza anche la condotta omissiva del genitore che non si sia adoperato per evitare la violazione dei doveri genitoriali da parte dell’altro genitore o l’abuso da parte di terzi (Villa, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Tratt. Bonilini, Cattaneo, III, Filiazione e adozione, Torino, 2° ed., 2007).
Pertanto, ove non sussistano i presupposti per la decadenza dalla responsabilità genitoriale, ma sia accertata la sussistenza di una condotta pregiudizievole nei confronti del minore, ovvero una notevole inidoneità allo svolgimento del ruolo genitoriale, possono essere pronunciati provvedimenti limitativi ai sensi dell’art. 333 c.c..
In tal caso, sarà il giudice a determinare nella propria discrezionalità quali siano i provvedimenti più adatti, potendo dettare le concrete modalità di esercizio della responsabilità genitoriale, impartendo ai genitori vere e proprie prescrizioni (rectius istruzioni) comportamentali.

Competenza del Tribunale per i Minorenni e vis actractiva del tribunale ordinario.
Non sempre la tutela della prole rispetto a condotte pregiudizievoli dei genitori passa attraverso l’applicazione degli artt. 330 e 333 c.c..
Ove infatti le condotte dei genitori di ostacolo ad una sana e serena crescita dei figli siano posto in essere in fase di separazione e siano dovute alla forte conflittualità che la stessa comporta, i provvedimenti, anche urgenti, relativi all’affidamento della prole, al collocamento della stessa e alla regolamentazione delle visite del genitore non collocatario, possono costituire la risposta dell’ordinamento alla necessità di realizzare e garantire l’interesse materiale e morale della prole (Giordano, Il riparto di competenza tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni ai sensi del nuovo art. 38 disp. Att. c.c. p. 329).
Il discrimen tra la competenza del tribunale ordinario e quello minorile è indicato dalla stessa Corte di Cassazione, nell’esatta individuazione del petitum e causa petendi (Giovanni Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, Volume IV°, La Filiazione e l’adozione, Utet Giuridica, 2016); ne consegue che, rientra nella competenza del giudice specializzato le domande finalizzate ad ottenere provvedimenti cautelari e temporanei idonei ad ovviare a situazioni pregiudizievoli per il minore, restando viceversa al giudice ordinario le pronunce di affidamento dei minori che mirino soltanto ad individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersi cura del figlio, al fine di consentirgli una crescita tranquilla ed equilibrata (Tommaseo, Provvedimenti limitativi de potestate e competenza “per attrazione” del giudice ordinario, in Famiglia e dir., 2014, 7, p. 680).
L’art. 38 disp. att. cod. civ., così come modificato dalla l. n. 219/2012 statuisce che, sono di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del codice civile.
Per i procedimenti di cui all’articolo 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’articolo 316 del codice civile; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al giudice ordinario. Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis del codice civile.
Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria.
Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.
Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni (Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, in Giur. Sist Proto Pisani, I, Torino, 1994).
Ne consegue che, con riferimento ai procedimenti di cui all’art. 333 c.c., la competenza del tribunale per i minorenni resta esclusa ove sia in corso tra le stesse parti un giudizio di separazione, divorzio ex art. 316 c.c..
In tali casi, i provvedimenti ablativi e/o limitativi della responsabilità genitoriale, normalmente di competenza del tribunale per i minorenni, dovranno essere chiesti al giudice ordinario davanti al quale penda il giudizio di separazione, divorzio o tra i genitori non coniugati per la determinazione dell’affidamento e mantenimento dei minori (G. Scarselli, La recente riforma in materia di filiazione: gli aspetti processuali, in Giusto proc. civ., 2013, p. 665).
Che si tratti di pronunciare la decadenza della responsabilità genitoriale sui figli (art. 330 c.c.), che si ratti di reintegrare il genitore decaduto (art. 332 c.c.), di porre limiti all’esercizio della stessa (art. 333 c.c.), di rimuovere o reintegrare i genitori dall’amministrazione dei beni dei figli o di porre condizioni cui attenersi nell’amministrazione (artt. 334 e 335 c.c.), il procedimento applicabile avanti al tribunale per i minorenni è dettato dall’art. 336 c.c., che costituisce il paradigma normativo di tutti i procedimenti a concludersi con provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale (Giovanni Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, Volume IV°, La Filiazione e l’adozione, Utet Giuridica, 2016).
Secondo quanto previsto dall’art. 336 c.c. la legittimazione spetta all’altro genitore, ai parenti o al p.m., oltre che al genitore stesso in caso di richiesta di revoca.
Il procedimento si avvia su ricorso e il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte sommarie informazioni e sentito lo stesso p.m..
Ove il provvedimento sia richiesto contro il genitore, dovrà essere sentito anche quest’ultimo, in virtù del disposto dell’art. 9, 2° comma, della Convenzione dei diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27.05.1991, n. 176 (C. Cost. 30.01.2002, n. 1).
La norma modificata dall’art. 37, l. 28.03.2001, n. 149, prevede pertanto che i genitori e il minore debbano essere assistiti da un difensore e, in caso di urgente necessità, il giudice potrà adottare provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio (Giovanni Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, Volume IV°, La Filiazione e l’adozione, Utet Giuridica, 2016).
Il 2° comma dell’art. 336 c.c. prevede l’obbligo per il giudice di disporre l’ascolto del minore che abbia compiuto 12 anni o sia in ogni caso capace di discernimento, intendendosi per capacità di discernimento la maturità, la capacità di comprendere, di rendersi conto degli eventi che si verificano nella famiglia e di operare scelte autonome (Il Protocollo Tribunale ordinario – Tribunale per i Minorenni di Brescia del 10 aprile 2013 ha affermato i seguenti principi: a) se il giudizio de potestate ex art. 333 c.c. è proposto ex novo da uno dei genitori innanzi al tribunale per i minorenni, quando sia già pendente un giudizio di separazione, divorzio o ex art. 317 bis c.c., il tribunale per i minorenni deve dichiarare la propria incompetenza, essendo competente il tribunale innanzi al quale è in corso tra le stesse parti un giudizio separativo; b) se, invece, il giudizio de potestate ex art. 333 c.c. è proposto da uno dei genitori innanzi al tribunale per i minorenni in assenza di giudizio separativo e questo sia instaurato solo successivamente, le domande de potestate devono essere riunite con quelle di separazione, divorzio o ex art. 317 bis c.c. a norma degli artt. 40 e 274 c.p.c. per l’evidente connessione tra gli stessi; c) se, infine, il giudizio de potestate ex art. 333 c.c. è proposto innanzi al tribunale per i minorenni dai parenti legittimati ex art. 336 c.c. mentre è in corso tra i genitori un giudizio separativo, il tribunale per i minorenni rimane competente poiché la norma afferma la vis attractiva del tribunale ordinario solo se il giudizio di separazione penda tra le stesse parti e sempre che sia effettivamente “in corso”; d) l’art. 38 disp. att. c.c. non attribuisce al giudice ordinario, pur in pendenza di un giudizio separativo tra le stesse parti, la competenza a pronunciare la decadenza dalla potestà di un genitore a norma dell’art. 330 c.c).
Infatti, è noto come l’art. 315 bis c.c. aggiunto dalla legge n. 219/2012, menzioni espressamente tra i diritti del figlio il diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, con ciò sancendo l’esistenza di un vero e proprio diritto del minore.
Alla luce delle su richiamate disposizioni di legge, il minore va considerato non solo e non tanto come oggetto di protezione, quanto piuttosto come soggetto titolare di diritti soggettivi, la cui violazione comporta finanche la nullità della sentenza.
Il giudice, potrà non procedere all’ascolto del minore, ove tale adempimento sia in concreto contrario all’interesse dello stesso; infatti l’art. 336 bis c.c. prevede che il minore sia ascoltato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano, con ciò intendendosi i procedimenti nei quali l’interesse superiore del minore è criterio di giudizio e misura di giustizia della decisione e non qualsiasi giudizio nel quale il minore sia parte (A. Carrato, Tribunale per i minorenni: confermata la legittimità costituzionale dell’art. 38 disp. att. c.c., in Quotidiano giuridico, 2016).
In caso di mancato adempimento dell’ascolto, il giudice dovrà adeguatamente motivarne l’esclusione, evidenziando la sussistenza di un interesse superiore del minore a non essere coinvolto emotivamente nella controversia che oppone i suoi genitori.
Il dettato normativo dell’art. 336 c.c. deve essere dunque integrato con quanto dispone l’art. 38 disp. Att. c.c. il quale, oltra a ribadire che il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, prevede espressamente che i provvedimenti emessi dal tribunale siano immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente.
L’art. 3 della l. 10.12.2012, n. 219 ha modificato l’art. 38 disp. Att. c.c. attribuendo al giudice ordinario tutti i provvedimenti relativi ai minori per i quali non sia espressamente stabilita una diversa competenza (Giovanni Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, Volume IV°, La Filiazione e l’adozione, Utet Giuridica, 2016).
I c.d. giudizi de potestate, ora più correttamente, sulla responsabilità genitoriale, espressamente riservati al giudice minorile, restano dunque di competenza del Tribunale per i minorenni, salvo quanto disposto dallo stesso art. 38 per l’ipotesi in cui sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c. (Per l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 38, 1° comma, disp. att. c.c., nella parte in cui prevede che sono di competenza del tribunale per i minorenni, anziché del tribunale ordinario, i procedimenti introdotti ex art. 317 bis c.c. concernenti il diritto degli ascendenti di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, anche in caso di pendenza di un giudizio di separazione o divorzio tra i genitori dinanzi al tribunale ordinario, in riferimento agli artt. 3, 76, 77 e 111 Cost., v. Corte Cost. 24 settembre 2015, n. 194. id., 2016, I, 1574, con nota di B. Poliseno, La tutela processuale dei diritti degli ascendenti nella crisi familiare sul diritto di famiglia Diritto Civile 2, Diritto di Famiglia e Biodiritto.)
Pertanto, per i procedimenti di cui all’art. 333 c.c. resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 del c.c..
In pendenza del giudizio di separazione, divorzio o ex art. 316 c.c., dunque, il giudice ordinario è competente anche sulle domande proposte ai sensi dell’art. 333 c.c., e cioè in ordine alla pronuncia di eventuali provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale.
Ne consegue che, ove instaurato un procedimento di separazione, o divorzio o ex art. 316 c.c. sia successivamente proposta domanda ai sensi degli artt. 330 e ss., nel qual caso il tribunale per i minorenni declinerà la propria competenza in favore del tribunale ordinario.
Viceversa, nel caso in cui sia dapprima investito il giudice minorile e successivamente sia proposta la domanda davanti al giudice ordinario, nel qual caso la prevalente giurisprudenza esclude la attrazione davanti al giudice della separazione o divorzio e ciò in ossequio non solo al rispetto della lettera della legge, ma anche del principio della perpetuatio jurisdictionis (Giovanni Bonilini, Trattato di Diritto di Famiglia, Volume IV°, La Filiazione e l’adozione, Utet Giuridica, 2016).
I provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 330 e ss. c.c. sono reclamabili alla Sezione per i minorenni della Corte d’Appello, su iniziativa dei genitori, dei parenti e del P.M., nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento impugnato.
I provvedimenti sulla responsabilità genitoriale, essendo espressione di giurisdizione volontaria non contenziosa, non sono impugnabili ai sensi dell’art. 111 Cost..
La Suprema Corte rileva, infatti, come i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale non rivestano alcuna efficacia di giudicato, potendo in ogni momento essere revocati e modificati dal giudice che li ha pronunciati, e ciò non solo con efficacia ex nunc, ma anche con efficacia ex tunc, dunque sulla base di fatti sopravvenuti ma anche per la mera rivalutazione della situazione (F. Danovi, I procedimenti de potestate dopo la riforma, tra tribunale ordinario e giudice minorile, in Dir. Fam., 6/2013, p. 627 ss).
Infine, quanto ai provvedimenti provvisori e d’urgenza che possono essere pronunciati d’ufficio ai sensi dell’art. 336, 3° comma, c.c., si è discusso in dottrina e in giurisprudenza se tali provvedimenti debbano essere considerati immediatamente impugnabili.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, i provvedimenti temporanei ed urgente resi, ai sensi degli artt. 316 e 336 c.c., in tema di affidamento di figli minori possono formare oggetto di impugnazione mediante reclamo alla Corte di appello esclusivamente nei limiti in cui essi risultino già idonei a produrre, “ex se” ed in modo autonomo, uno stabile pregiudizio nei confronti del genitore interessato (Carrato, Tribunale per i minorenni: confermata la legittimità costituzionale dell’art. 38 disp. att. c.c., in Quotidiano giuridico, 2016).

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