La violenza in famiglia: aspetti giuridici sociologici e psicologici

La violenza in famiglia: aspetti giuridici sociologici e psicologici.

a cura dell’avv. Antonio Torre

(Premessa) storica – culturale.

Nella storia dell’uomo il bambino è sempre stato oggetto di minaccia da parte degli adulti.

I maltrattamenti e le violenze ai bambini sono sempre esistiti senza che se ne avesse, però, la consapevolezza, sviluppatasi in tempi recenti grazie ai cambiamenti che si sono verificati a livello sociale[1].

L’abbandono dei minori, le violenze perpetrate su di loro, l’infanticidio sono fenomeni che ritroviamo in ogni epoca e contesto culturale. Montecchi nel suo testo[2] riassume comportamenti abusanti comparsi nei miti e nelle fiabe, ad esempio il mito di Krònos che divora i suoi figli, Edipo abbandonato su una montagna con i piedi legati e feriti, Medea che uccide i figli e Giove che abusa di Ganimede[3].

Nelle fiabe l’elemento del bambino ritorna frequentemente: Pollicino, Cappuccetto Rosso e Hansel e Gretel.

Nelle religione cristiana sono numerosi gli episodi che coinvolgono fanciulli abbandonati o uccisi, frequentemente si fa riferimento alla vicenda di Abramo e Isacco, Mosè abbandonato sul Nilo sebbene per salvarlo, la morte dei primogeniti tra le piaghe d’Egitto, la “strage degli innocenti” ordinata da Erode.

Nell’antica Roma era pratica usuale tra l’aristocrazia avere rapporti sessuali con i ragazzi prepuberi, in Cina riti di iniziazione comprensivi di abusi sessuali, violenza fisica, privazioni di cibo e sonno.

Nel XVII secolo i bambini erano sottoposti a punizioni corporali, nel XVIII tra le famiglie ricche i bambini venivano dati a balia, per cui il legame tra madre e bambino veniva intaccato precocemente.

In ogni epoca storica è possibile individuare condotte abusanti: si pensi alla violenza delle punizioni corporali applicate negli Istituti, al lavoro minorile diffusosi con la rivoluzione industriale e che tuttora viene praticato in molti paesi, lo sfruttamento sessuale minorile nel turismo e l’abuso sessuale online diffusosi dagli anni novanta in poi.

In molti paesi non è raro che i bambini siano accecati o menomati di proposito per ottenere elemosine[4].

Questa è una pratica tutt’oggi frequente in India, dove vi sono vere e proprie organizzazioni che sfruttano bambini che vivono negli Slums delle grandi città, diventando loro “protettori e sfruttandoli[5].

E’ a metà del diciannovesimo secolo che in letteratura scientifica si iniziano ad individuare casi di bambini uccisi o che hanno subito violenze. Nel 1852 il medico legale Auguste Ambroise Tardieu a Parigi descrisse il caso di due bambine morte per le sevizie di un’istitutrice[6].

Il primo caso di salvataggio di una bambina maltrattata risale al 1874 a New York quando Etta Wheeler, un’infermiera preoccupata per i continui pianti di una bambina, vicina di casa, si introdusse di nascosto in casa della piccola scoprendola incatenata al letto con ematomi, ferite ed abrasioni su tutto il corpo[7].

L’unico modo che trovò per aiutare la bambina fu denunciare il caso alla locale Società di Protezione degli Animali che, esaminato il caso, riconoscendo che rientrava nei compiti previsti dal proprio statuto, poté intervenire e salvare la bambina[8].

In seguito a questo evento, l’anno dopo fu fondata la “New York Society for the Prevention of Cruelty to Children,” primo Ente di protezione dei diritti dell’infanzia.

Nel 1946 un radiologo pediatra americano, Caffey, riscontrò in vari bambini la presenza di ematomi subdurali associati di frequente a fratture multiple delle ossa lunghe dovute a cause non accidentali, queste osservazioni furono poi confermate delle esperienze di Silverman (1953), anch’egli radiologo e successivamente da quelle di Kempe e coll. (1962) che, con la definizione di “Battered Child Syndrome” (“Sindrome del Bambino Picchiato”), descrissero una precisa entità nosologica relativa alle diverse forme di maltrattamento fisico ovvero traumi da lesioni non accidentali in bambini molto piccoli, lattanti e divezzi di età[9] compresa tra 15-20 gg ai 2-3 anni.

Kempe e i suoi collaboratori fecero un’ampia ricerca coinvolgendo 71 ospedali e dai dati raccolti e data la serietà del problema coniarono l’espressione di cui sopra definendolo come “termine che noi usiamo per caratterizzare una condizione clinica in bambini che hanno ricevuto serio abuso fisico, in genere dai genitori o da chi si prende cura di loro[10].”

In seguito la definizione venne ampliata e sostituita con quella più completa di “Child Abuse and Neglet” (traduzione italiana “Abusi ed Incuria verso l’Infanzia”) che comprende l’intero quadro dei maltrattamenti: da quelli fisici, a quelli emotivi fino ad indicare incuria e abuso sessuale[11].

Le modalità di attuazione del cosiddetto “Child Abuse” identificate da Kempe nel 1978 e poi riprese da Rezza nel 1983 sono quattro: abuso sessuale; violenza fisica; incuria fisica; maltrattamento ed incuria emozionale.

Ad esse nel tempo si sono aggiunte la distorsione delle cure, la violenza psicologica e la violenza assistita[12].

(Breve) introduzione.

Per abuso all’infanzia e maltrattamento debbono intendersi tutte quelle forme di maltrattamento fisico e/o emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro che comportino un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo, o per la sua dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o potere[13]”.

L’abuso consiste in tutto ciò che impedisce la crescita armonica del bambino e dell’adolescente, non rispettando i suoi bisogni e non proteggendolo sul piano fisico e psichico[14].

Vi rientrano, dunque, non soltanto comportamenti di tipo commissivo, entro i quali vanno annoverati maltrattamenti di ordine fisico, sessuale o psicologico, ma anche di tipo omissivo[15], legati cioè all’incapacità più o meno accentuata, da parte dei genitori, di fornire cure adeguate a livello materiale ed emotivo al proprio figlio[16].

Con l’espressione abusi e maltrattamenti in ambito familiare, nei confronti dei minori si fa riferimento all’esperienza del minore che abbia personalmente subito la violenza, o abbia semplicemente assistito a qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto tramite atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure effettivamente significative, adulte o minori[17].

Sono da considerarsi incluse nelle fattispecie di reati anche le violenze messe in atto da minori su altri minori e/o altri membri della famiglia.

I principali delitti che possono consumarsi nel contesto familiare a danno di minori possono così sinteticamente individuarsi: 1) “Delitti contro l’assistenza familiare”, tra cui i più importanti sono la Violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570 c.p.; Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, ex art. 571 c.p.; Maltrattamenti contro familiari e conviventi, ex art. 572 c.p.; 2) “Delitti contro la morale familiare”, tra cui rientra l’incesto ex art. 564 c.p.; 3) “Delitti contro la vita e l’incolumità delle persone”, tra cui rientra Abbandono di persone minori o incapaci, ex art. 591 c.p.; 3) “Delitti contro la libertà morale”, tra cui rientra la violenza privata, ex art. 610 c.p..

Il minore può considerarsi vittima di uno dei reati sopra elencati, sia laddove faccia esperienza diretta di tali atti, vale a dire quando avvengono nel suo campo percettivo, sia indirettamente, ossia quando il minore ne venga semplicemente a conoscenza e/o ne percepisca gli effetti[18].

Definizione di abuso.

Gli abusi sono gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentando alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono le trascuratezze e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino[19].

Per abuso all’infanzia e maltrattamento debbono invece intendersi tutte le forme di maltrattamento fisico e/o emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro che comportino un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo o per la sua dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o potere[20].

Classificazione delle forme di abuso.

Abuso fisico.

Si parla di maltrattamento fisico quando il genitore o le persone che si prendono cura del bambino mettono in atto violenze fisiche e gli causano danni fisici, non accidentali né determinati da patologie organiche.

Rientrano in questa tipologia di abuso le percosse (es. calci, pugni), gli spintoni, il ricorso a cinghiate/frustate o all’utilizzo di oggetti, le bruciature di sigaretta, fratture provocate intenzionalmente[21].

Il reato di maltrattamenti in famiglia è procedibile d’ufficio e si deve instaurare un procedimento penale anche in assenza della volontà della parte lesa.

Il reato, infatti, non può ritenersi scriminato dal consenso dell’avente diritto, sia pure affermato sulla base di opzioni sub-culturali -in senso legale- relative ad ordinamenti diversi da quello italiano.

Nel caso in cui l’abusante sia uno dei due genitori, rimane controverso il ruolo dell’altro, qualora si astenga dall’intervenire con forme di tutela nei confronti del minore; l’altro genitore è infatti qualificato da una posizione di garanzia ai sensi dell’art. 147 c.c.

Per valutare la posizione del genitore colpevolmente inattivo è importante avviare un’analisi accurata dell’elemento soggettivo, con riferimento alla concreta possibilità e praticabilità delle scelte alternative alla sopportazione familiare per un ritenuto interesse del minore[22].

L’abuso dei mezzi di correzione e di disciplina.

Previsto e punito dall’art. 571 c.p., presuppone un uso consentito e legittimo di tali mezzi, tramutato per eccesso in illecito.

Devono ritenersi leciti i mezzi di correzione tradizionali, mentre vanno puniti solo gli eccessi che possono mettere in pericolo l’incolumità del soggetto e procurargli un concreto danno (anche di tipo psicologico), sempre che il motivo determinante dall’agente sia quello disciplinare e correttivo[23].

Nella cultura dell’infanzia domina il principio che vede nel ricorso alla violenza come mezzo di educazione uno strumento distonico con la crescita.

Così per la Cass., sez. VI° del 16 maggio 1996: (..) “Con riguardo ai bambini il termine correzione va assunto come sinonimo di educazione (…). Non può ritenersi tale l’uso della violenza finalizzato a scopi educativi: ciò sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti (…); sia perché non può perseguirsi (…) un risultato di armonico sviluppo di personalità (…) utilizzando un mezzo violento”.

Il maltrattamento fisico spesso si presenta associato ad altre forme di maltrattamento (violenza assistita, maltrattamento psicologico) e presenta un’incidenza maggiore in nuclei familiari caratterizzati da isolamento, giovane età della madre, psicopatologia e abuso di sostanze da parte di almeno un genitore, difficoltà economiche, incuria[24].

Il maltrattamento fisico può lasciare segni evidenti sul corpo del bambino ma a volte non sono immediatamente interpretabili e a volte non sono visibili senza esami approfonditi.

Le lesioni possono essere a carico di diversi organi e apparati configurando quadri clinici diversi (fratture, lesioni cutanee, concussione cranica e sindrome dello “Shaken baby”, danni profondi viscerali) e pongono complesse questioni di diagnostica differenziale[25].

In ogni caso, una prima visita può essere effettuata dal pediatra che poi andrà a individuare la necessità di ulteriori esami ad opera possibilmente di centri specializzati.

Da alcuni anni è stato inserito a pieno titolo tra i fenomeni di maltrattamento fisico le Mutilazioni Genitali Femminili cui vengono sottoposte bambine e preadolescenti di alcuni gruppi etnici provenienti da paesi dell’Africa, del Medio Oriente e dell’Asia[26].

Violenza domestica assistita.

All’interno dei possibili maltrattamenti e violenze a danno di minori è inclusa anche la categoria del “Testimone di violenza domestica”; con tale etichetta si intendono quelle situazioni in cui uno o più minori si trovano ad assistere ad episodi di violenza all’interno delle mura domestiche.

La legge n. 119/2013 ha introdotto all’art. 61 c.p. il n.11-quinquies, il quale definisce circostanza aggravante nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale, nonché nel delitto di cui all’art. 572 “Maltrattamenti contro familiari o conviventi” l’aver commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni 18.

Tale circostanza aggravante, nota come violenza assistita, si concretizza quando le continue violenze fisiche, verbali, psicologiche, economiche e della dignità personale perpetrate nei confronti della parte offesa sono avvenute o direttamente in danno o anche semplicemente in presenza del minore il quale, assistendo a tali violenze, ha subito ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo[27].

Il minore, pertanto, può essere vittima di violenza assistita, sia in forma diretta, laddove ne sia personalmente destinatario, sia in forma indiretta, qualora, invece, pur non avendo personalmente subito le sopracitate violenze, egli vi abbia assistito o ne abbia avuto percezione.

Per violenza assistita pertanto si intende “ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale che riguarda tanto soggetti che hanno o hanno avuto una relazione di coppia, quanto soggetti che all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo[28]”.

In situazioni di questo tipo, i minori possono subire danni diretti (es. essere colpiti da oggetti), oppure indiretti (es. essere terrorizzati per l’incolumità dei familiari o per la propria).

Secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità un terzo delle donne in tutto il mondo è vittima di violenza domestica psicologica e/o fisica[29].

Le possibili conseguenze.

È importante sottolineare che non esiste una “sindrome del bambino abusato” per nessuna delle tipologie di abuso riportate.

Gli esiti psicopatologici conseguenti ad un evento traumatico, quale può essere un abuso o un maltrattamento in età infantile, sono infatti aspecifici e non riconducibili in maniera inevitabile ad una forma particolare di abuso. Ad esempio, a differenza di quanto comunemente si pensi, i bambini che assistono ad episodi di violenza domestica mostrano sintomi e disturbi molto simili a quelli di bambini direttamente maltrattati o abusati[30].

L’esperienza di un abuso in età infantile può comunque rappresentare una condizione di rischio per una ampia gamma di disturbi e difficoltà di adattamento e può avere conseguenze psicopatologiche anche molto gravi.

Occorre tuttavia ricordare che ogni caso è a sé e che non tutti i bambini vittime di abusi svilupperanno le stesse conseguenze.

Un evento stressante, quale ad esempio subire un maltrattamento o esserne testimone, non è definibile ed interpretabile in modo univoco poiché è costituito da fattori oggettivi e fattori soggettivi[31].

Le conseguenze psicopatologiche derivanti da un abuso non sono predeterminate, ma dipendono dalla durata e dall’invasività dell’abuso subito, dall’eventuale compresenza di più forme di maltrattamento, dall’età del minore al momento dell’abuso, dalla presenza di eventuali fattori protettivi (es. supporto familiare), dal temperamento del bambino[32].

La reazione di un bambino o di un adolescente non dipende dunque esclusivamente dalle caratteristiche dell’evento traumatico, ma anche da altri fattori quali: 1) livello di esposizione all’evento traumatico; 2) condizioni che precedono l’evento traumatico (ad es. età del bambino al momento del trauma, genere, disabilità fisiche o mentali precedenti; precedenti eventi traumatici, stressanti); 3) fattori successivi all’evento traumatico (ad es. supporto ricevuto dopo l’evento traumatico da genitori, familiari, insegnanti, amici, etc.).

Il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP) 2014-2018 pubblicato dal Ministero della Salute riconosce i fattori ambientali (ad es. l’abbandono o i maltrattamenti subiti durante l’infanzia, le rotture familiari, la disoccupazione) quali elementi di rischio per l’emergenza di patologie psichiche.

Fra le strategie indicate per fronteggiare il fenomeno vengono indicate le “azioni di diagnosi e di presa in carico precoce” con specifica durata e intensità.

Studi recenti hanno dimostrato che le reazioni dei bambini e degli adolescenti ad eventi stressanti possono essere tutt’altro che transitorie, anche nei soggetti in età prescolare, e possono persistere a lungo nel tempo.

Le conseguenze possono essere di diversa natura e severità: paure, enuresi notturna, aggressività, irritabilità, depressione, ansia (in particolare, ansia da separazione), difficoltà di attenzione, abuso di sostanze (soprattutto tra gli adolescenti).

Va ricordato che spesso il disagio dei bambini si esprime attraverso il corpo, ad esempio sotto forma di mal di testa o mal di pancia ricorrenti. Un disturbo che potrebbe associarsi all’esperienza traumatica è il Disturbo Post-Traumatico da Stress[33].

 

 

 

Fattori protettivi e resilienza.

La psicopatologia dello sviluppo ricorre al concetto di resilienza[34], ossia la capacità individuale di mantenere un discreto livello di adattamento anche in condizioni di vita particolarmente sfavorevoli e stressanti[35].

La resilienza può essere definita come una caratteristica personale sottesa al possesso delle competenze necessarie a mantenere l’integrità personale anche di fronte a situazioni avverse.

Nella valutazione del minore vittima non bisogna utilizzare un metodo riduzionista o di causalità lineare e bisogna mantenere un atteggiamento critico e falsificazionista.

Abuso psicologico.

Il maltrattamento psicologico è un comportamento ai danni del bambino volto a umiliarlo, svalutarlo e sottoporlo a sevizie psicologiche in modo continuato e duraturo nel tempo, mediante frasi o comportamenti[36].”

Tra le forme di abuso psicologico ed emotivo si riconoscono genitori che ignorano i figli, non dimostrano affetto non forniscono adeguate stimolazioni, rifiuto e negazione del bambino nelle sue risorse e necessità, isolare il bambino e non offrirgli possibilità di socializzazione con i pari e con altri adulti, minacciare, aggredire verbalmente, offendere il bambino, opprimerlo con richieste logoranti[37].

Tra gli indicatori di questa forma di maltrattamento vi sono la tristezza, precocità di comportamenti sessualizzati e vere e proprie attività sessuali, comportamenti adultizzati, rifiuto di accettare la responsabilità per le proprie azioni.

A livello scolastico si possono notare deficit dell’attenzione, ipervigilanza, iperattività, ritardo nello sviluppo del linguaggio e mancanza di interesse. A livello di indicatori fisici può esserci trascuratezza generale nell’aspetto, sintomi psicosomatici, disturbi alimentari, problemi gastro-intestinali che comprendono cronica perdita delle feci o il rifiuto di evacuarle, encopresi, disturbi del sonno.

Infine gli indicatori comportamentali, che sono quelli che meglio racchiudono le difficoltà e disagi riscontrabile in un bambino vittima di violenza psicologica: aggressività, difficoltà ad accettare il nuovo, atarassia e passività.

L’abuso o maltrattamento psicologico implica una ripetuta modalità di comportamento del genitore (o, in generale, dell’adulto) che comunica al bambino/adolescente di essere sbagliato, senza valore, non amato, non voluto, o che il suo valore è legato unicamente alla soddisfazione di bisogni altrui[38].

Il maltrattamento psicologico spesso interferisce con l’identità e l’autostima del minore coinvolto.

Nello specifico, tra i comportamenti che un adulto può rivolgere a un bambino o ad un adolescente che configurano un abuso psicologico troviamo: rifiutare, terrorizzare, negare risposte emozionali, isolare, sfruttare, corrompere, ignorare, trascurare, coinvolgimento in riti e sette sataniche.

 

 

Le patologie della cura.

Il termine trascuratezza fa riferimento ad una inadeguata attenzione da parte delle figure genitoriali rispetto ai bisogni evolutivi e alle necessità di un bambino. É possibile distinguere differenti tipologie: 1) Incuria: il bambino riceve cure insufficienti rispetto ai bisogni fisici e psicologici propri della sua età e del suo momento evolutivo; 2) Discuria: il bambino riceve cure distorte e inadeguate rispetto all’età, attraverso la richiesta di prestazioni superiori alla sua età e o possibilità, l’accudimento tipico di bambini più piccoli o l’iperprotettività; 3) Ipercura: il bambino riceve cure eccessive, caratterizzate da una inadeguata e dannosa medicalizzazione[39].

Nei casi più estremi si arriva all’abbandono di minore. Secondo ricerche internazionali il neglect (trascuratezza) è la forma di abuso più diffusa[40].

Abuso sessuale.

La definizione secondo Kempe (1989) di abuso sessuale è “il coinvolgimento di bambini e adolescenti, soggetti immaturi e dipendenti, in attività sessuali che essi non comprendono ancora completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire con totale consapevolezza o che sono tali da violare tabù vigenti nella società circa i rapporti familiari[41]”.

L’abuso sessuale su minore si può distinguere in due macrocategorie a seconda del rapporto che lega la vittima all’autore: Abuso sessuale intrafamiliare: coinvolgimento di minori maschi o femmine in attività sessuali da parte di membri della famiglia nucleare o allargata, conviventi; Abuso sessuale extrafamiliare: coinvolgimento di minori maschi o femmine in attività sessuali da parte di adulti al di fuori dell’ambiente familiare. E’ più frequente che accada con persone comunque conosciute dal minore piuttosto che da sconosciuti; Abuso sessuale parentale: coinvolgimento di minori maschi o femmine in attività sessuali da parte di membri della famiglia nucleare o allargata ma non conviventi; Sfruttamento sessuale: coinvolgimento di minori maschi o femmine in attività sessuali come pedopornografia, prostituzione, turismo sessuale, esibizionismo[42].

In generale, si intende il coinvolgimento in attività sessuali fisiche o psicologiche chi non è in grado di scegliere perché sottoposto a vera e propria coercizione fisica o psicologica e/o perché non consapevole per età o condizioni delle proprie azioni. Si tratta di rapporti sessuali completi ma anche induzioni all’atto sessuale[43].

Contrariamente a quanto spesso sostenuto, non sono individuabili indicatori comportamentali specifici che informino in maniera inequivocabile e causalmente correlata che un bambino è stato vittima di abuso sessuale.

Affidarsi ai soli indicatori comportamentali può essere quindi estremamente rischioso e fuorviante.

Spesso sono presenti segnali comportamentali aspecifici (es. improvvisi scoppi d’ira, disturbi del sonno) che indicano che il bambino sta vivendo una situazione di disagio, ma non è possibile definire una precisa sintomatologia manifestata da tutti i bambini vittime di abuso (S.I.N.P.I.A., 2007).

A fronte di questa consapevolezza è importante sottolineare che non è compito degli adulti di riferimento accertare se l’abuso sia avvenuto o meno: in caso di sospetto abuso è quindi necessario rivolgersi tempestivamente a persone esperte e specificamente formate ed aggiornate sul tema, che possano effettuare una valutazione medica, psicologica e sociale[44].

Abuso sessuale online.

La Rete e le nuove tecnologie rappresentano oggi un terreno fertile in cui il fenomeno dell’abuso sessuale a danno di bambini e ragazzi trova nuove forme di espressione.

Sexting.

Il sexting (termine che deriva dall’unione delle parole inglesi sex – sesso – e texting – messaggiare) è definibile come l’invio e/o la ricezione e/o la condivisione di testi, video o immagini sessualmente esplicite/inerenti la sessualità.  

La dottrina giuridica distingue fra: Sexting primario in cui è la persona protagonista dell’immagine ad inviarla ad un altro soggetto nell’ambito di un rapporto privato; e Sexting secondario in cui il destinatario iniziale dell’immagine, la diffonde, mettendola in circolazione e offrendola a disposizione di terzi.

Spesso tali materiali vengono prodotti e diffusi tramite smartphone (attraverso l’invio di mms o condivisione tramite app di messaggistica o bluetooth) o all’interno di siti, e-mail, chat etc.

Affinché il sexting e la conseguente diffusione delle immagini prodotte costituisca il reato di diffusione di materiale pedopornografico occorre che «il materiale sia stato formato attraverso l’utilizzo strumentale del minorenne ad opera di terzi[45]».

La condotta non è punibile se il minore cede autonomamente e consapevolmente a terzi immagini a contenuto pornografico realizzate in autonomia e successivamente diffuse.

La cessione del materiale pedopornografico è sanzionata solo se il materiale in questione è stato realizzato mediante l’utilizzo del minore da parte di terzi (art 600-ter, comma 4, c.p.).

La ratio della punibilità della cessione delle immagini pedopornografiche è da rinvenire nell’alterità, ovvero nel fatto che il soggetto sia diverso rispetto al minore; tale diversità non sussiste quando il materiale sia stato realizzato dallo stesso minore, autonomamente (es. selfie).

Qualora si inducesse il minore a produrre materiale pedopornografico, le Sezioni Unite hanno recentemente dichiarato che si configura il reato di produzione di materiale pedopornografico a prescindere dal pericolo che i video o le immagini prodotte vengano diffuse[46].

In periodo preadolescenziale ed adolescenziale questo fenomeno può essere letto come esplorazione della sessualità e può rispondere a diverse esigenze: mantenere vivo l’interesse nella coppia; costituire una prova d’amore all’interno di una relazione; testarsi nelle sfide dell’adolescenza per apparire “più grandi e maturi”; può, infine, offrire un contesto alternativo e percepito come più sicuro a coloro i quali faticano a sperimentarsi nell’incontro con l’altro vis a vis poiché insicuri e vulnerabili.

Le caratteristiche del sexting sono:1) Fiducia: spesso i ragazzi inviano proprie immagini o video nudi o sessualmente espliciti perché si fidano della persona a cui stanno inviando. Mostrano una scarsa consapevolezza che quello stesso materiale potrebbe successivamente essere diffuso come ripicca a fronte di un’eventuale rottura o deterioramento del rapporto; 2) Pervasività: le possibilità che offrono i telefonini di nuova generazione permettono di condividere le foto proprie o altrui con molte persone contemporaneamente, attraverso invii multipli, condivisione sui social network, diffusione online; 3) Persistenza del fenomeno: il materiale pubblicato su Internet può rimanere disponibile online anche per molto tempo. I ragazzi, che crescono immersi nelle nuove tecnologie, non sono consapevoli che una foto o un video diffusi in Rete potrebbero non essere tolti mai più; 4) Non consapevolezza: i ragazzi spesso non sono consapevoli che il materiale scambiato incontra le caratteristiche di materiale pedopornografico.

Le conseguenze del sexting possono essere estremamente pesanti e significative dal punto di vista psicologico: impatto sull’autostima, ripercussioni sulle relazioni interpersonali e sulla reputazione (web e non), paure, ansie, cali del rendimento scolastico.

 Le immagini sessualmente esplicite immesse in Rete acquisiscono inoltre un potenziale di diffusione esponenziale, sia in termini di tempistiche sia di raggio.

Ciò che si invia attraverso la Rete è per sempre, costituendo una minaccia a lungo termine per la propria reputazione; tali immagini, potenzialmente imperiture, potrebbero infatti influire negativamente anche sulle future relazioni sentimentali, così come sui rapporti lavorativi oltreché veicolare un’immagine di sé, connotata sessualmente, e quindi interessante per eventuali adescatori[47].

Sextortion.

Una deriva del sexting è rappresentata dal sextortion termine derivante dalla crasi tra sex (sesso) ed extortion (estorsione).

Si tratta di un’estorsione a sfondo sessuale costituita dalla minaccia di condividere con terzi immagini sessualmente esplicite della vittima, senza che quest’ultima acconsenta; per evitare la condivisione o la diffusione di tale materiale, alla vittima vengono chiesti benefici economici, ovvero la corresponsione di una somma di denaro a quietanza, oppure favori sessuali o ancora la produzione di ulteriori contenuti sessualmente espliciti.

Tali contenuti costituiscono una potente lama a doppio taglio in termini di reputazione: possono divenire il mezzo attraverso il quale ci si vendica di un ex fidanzato/a, in seguito all’interruzione della relazione sentimentale tradendone la fiducia alla base dell’invio originario, così come divenire il contenuto di una presa in giro in una dinamica di cyberbullismo.

Quindi, quando i contenuti sessualmente espliciti diventano oggetto di un ricatto si parla di sextortion definito come “la minaccia di condividere con terzi immagini sessuali della vittima, se quest’ultima non acconsente a fare ciò che le viene chiesto[48]”.

Tale fenomeno vede alla base la violazione della fiducia pre-esistente, più o meno legittima, tra vittima

e ricattatore.

Può avvenire all’interno di una conoscenza o di una relazione face to face, oppure online ed essere sotteso a differenti ragioni di due principali ordini: sessuale/relazionale (quando il ricatto è volto a forzare una riconciliazione, o ad ottenere ulteriore materiale sessualmente esplicito), economico (quanto il ricatto prevede la corresponsione di denaro come conditio per evitare la divulgazione a terzi dei contenuti).

I luoghi digitali ove tale fenomeno può avvenire sono molteplici: social, app (es. di dating online, o di messaggistica istantanea), chat interne ai giochi, mail, siti web.

I dati relativi al sextortion[49] sono piuttosto allarmanti: 1 vittima su 4 ha 12 anni o meno al momento della minaccia, 2 vittime su 3 sono ragazze minacciate prima dei 16 anni.

Online le vittime vengono individuate sulle piattaforme che frequentano abitualmente e la minaccia avviene prima: nel 60% dei casi entro due settimane dal primo contatto. Il 47% delle vittime subisce minacce quotidianamente e nel 65% dei casi cercano in prima istanza di difendersi in autonomia (es. bloccando chi le minaccia) sperando così di interrompere la violenza.

Ciò non avviene nel 45% dei casi e succede così che 6 vittime su 10 decidono di compiacere la richiesta: nel 68% dei casi ciò non basta a fermare la dinamica estorsiva che diviene, al contrario, più frequente. 1 vittima su 3 non ne ha mai parlato con nessuno, per vergogna ed imbarazzo e chi si apre preferisce nel 55% dei casi un amico.

In un grande caso di cronaca raccontato dal New York Times molte famiglie Pakistane hanno segnalato oltre 200 bambini sessualmente abusati da una gang di 15 uomini che in seguito vendevano tali video nel tentativo di estorcere denaro ai familiari[50].

Revenge Porn.

Quest’ulteriore fenomeno, in rapida diffusione, è ancora privo, quantomeno in Italia, di una vera e propria regolamentazione normativa, alcuni Stati, come l’Inghilterra, hanno deciso di punire il revenge porn, come nuova tipologia di reato autonoma.

Si definisce, invece, revenge porn la diffusione di contenuti sessualmente espliciti a terzi con il preciso proposito di vendicarsi per l’interruzione di una relazione sessuale, o amorosa, o per un tradimento.

Esso ha quindi una matrice squisitamente relazionale.

Grooming (o adescamento online). 

L’adescamento online, in inglese grooming, è definibile come il tentativo da parte di una persona malintenzionata o di un pedofilo di avvicinare un bambino o un adolescente per scopi sessuali, conquistandone la fiducia al fine di superare le resistenze emotive e instaurare con lui una relazione intima o sessualizzata[51].

Contrariamente a quanto l’immaginario comune potrebbe pensare, non si tratta infatti di una dinamica losca o violenta, quanto piuttosto di un percorso fine e paziente, in cui il prendersi cura del minore individuato rappresenta la conditio per carpirne la fiducia ed instaurare una relazione connotata come sessualizzata.

Spesso l’adescatore fa leva proprio sui suoi bisogni evolutivi (il bisogno di avere le attenzioni dell’altro, meglio se esclusive, di ottenere rinforzi esterni, di apparire e testare la propria immagine) al fine di abbassarne le difese.

E’ un percorso graduale, fatto di step, a tal punto da permettere di individuare un copione tipico che può svolgersi nell’arco di mesi: il tempo sufficiente affinché il minore si fidi e si affidi.

Le cinque fasi dell’adescamento sono: 1) Amicizia iniziale: l’adescatore effettua ripetuti contatti di socializzazione e conoscenza con la vittima individuata; prima di passare a discorsi espliciti, l’adescatore condivide con il minore argomenti di interesse di quest’ultimo (es. scuola, musica, idoli, giochi preferiti), ponendogli frequenti domande di interessamento ed attenzione grazie alle quali si sintonizza con gli interessi della vittima; 2) Risk-assessment: in seguito ai primi contatti con il minore individuato, l’adescatore testa il livello di privacy nel quale si svolge l’interazione con il bambino o l’adolescente (es. uso esclusivo o promiscuo del dispositivo attraverso il quale il bambino o adolescente sta interagendo). L’adescatore punta, infatti, gradualmente all’(e)sclusività, isolando il minore al fine di passare, ad esempio, da una chat pubblica ad una privata, da una chat alle conversazioni attraverso il telefono, per poterne carpire il numero; 3) Rapporto di fiducia: le confidenze e le tematiche esplorate divengono sempre più private ed intime o comunque molto personali. L’adescatore può iniziare a fare regali di vario tipo alla vittima; in questa fase, può avvenire lo scambio di immagini, non necessariamente a sfondo sessuale[52].

È proprio in ragione della fiducia costruita nell’interazione che le vittime di adescamento riferiscono di sentirsi umiliate, usate, tradite e tendono a sentirsi in colpa e ad auto- svalutarsi per essere cadute nella trappola; 4) Esclusività: l’adescatore rende la relazione con il minore impenetrabile agli esterni, isolandolo dai suoi punti di riferimento anche grazie alla fondamentale dimensione del segreto.

L’obiettivo dell’adescatore è ottenere e mantenere il silenzio della vittima, anche attraverso il ricatto e l’abuso psicologico, per rimanere impunito. La vittima viene indotta a fidarsi ciecamente dell’abusante che appare

essere interessato, attento e premuroso; 5)  Relazione sessualizzata: una volta certo del territorio sicuro, costruito con minuziosa pazienza, la richiesta di immagini o video può divenire esplicita e spesso insistente, così come la richiesta di incontri offline. L’adescatore normalizza la situazione al fine di vincere le eventuali resistenze del minore a coinvolgersi in tale rapporto ed evitare che chieda aiuto all’esterno. La relazione tra vittima ed abusante può avvenire anche attraverso webcam e piattaforme di live streaming; 6) Live distance child abuse: forma di cybercrime che consiste nello streaming di abusi sessuali su minori.

Pedofilia.

Preferenza sessuale per bambini (maschi, femmine o entrambi) generalmente in età pre-puberale» (OMS, 2007). Al netto dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni a livello di classificazioni cliniche, la pedofilia è inquadrata, a livello internazionale, in un disturbo mentale che comprende un interesse di tipo prevalentemente sessuale nei confronti di bambini e bambine[53].

Tale interesse è espresso attraverso pensieri ricorrenti, persistenti fantasie devianti e eccitamento sessuale, che possono sfociare nella messa in atto di comportamenti sessuali nei confronti di piccole vittime[54].

Non tutti i casi di abuso sessuale sono commessi da soggetti pedofili, in senso strettamente clinico.

È probabile che un individuo con una diagnosi di pedofilia non arrivi a commettere reati sessuali espliciti, come è altrettanto probabile che gli adulti che abusano sessualmente di bambini rientrino in disturbi differenti dalla pedofilia[55].

Pedofilia non è quindi sinonimo di abuso sessuale su minore, nonostante questi concetti siano facilmente confusi, soprattutto in contesti pubblici, politici e mediatici. Se l’intenzione è quella di diffondere informazioni corrette sul fenomeno, è dunque indispensabile ricorrere a un rigoroso utilizzo della giusta terminologia. L’approccio al fenomeno dell’abuso sessuale sui bambini e adolescenti è spesso accompagnato da un alone di confusione, che ha inevitabili conseguenze sull’intervento[56].

La diffusione di Internet ha ulteriormente complicato la questione, creando un nuovo mezzo e nuove modalità per veicolare gli abusi sessuali[57].

Recenti linee di ricerca hanno cercato di investigare se l’uso di pedopornografia potesse essere un precursore di reato, senza tuttavia trovare un punto di incontro tra le varie posizioni[58].

Inoltre, sin dalla sua diffusione, Internet è stato usato anche come luogo di aggregazione di soggetti con tendenze pedofiliche.

I siti web che inneggiano, più o meno esplicitamente, alla pedofilia fungono da punto di contatto tra individui con interessi sessuali nei confronti di bambini. E’ questo il caso delle varie “Boy-Love Associations”, il cui fine è quello di creare un’aura di accettabilità intorno alla pedofilia, spesso in nome di rapporti definiti “consensuali”.

In questi contesti comunitari virtuali si normalizza la devianza, parlando di amore verso i bambini, per nascondere la perversione dietro giustificazioni.

Tali scuse possono consistere anche nell’attribuzione di una parte di responsabilità alla vittima (O’Halloran & Quayle, 2010). E’ evidente come Internet e in particolare tali siti possano diminuire il senso di colpa e di inadeguatezza dei pedofili, affidandosi a distorsioni cognitive che minimizzano la gravità del reato e delle conseguenze con il rischio di legittimare l’abuso.

D’altro canto, Internet ha permesso di studiare meglio le dinamiche sottese all’adescamento e alla pedofilia e ha contribuito al rilevamento del fenomeno, attraverso il monitoraggio puntuale dei comportamenti dei potenziali abusanti.

Alcune credenze diffuse in tema di pedofilia, ormai sedimentate nella nostra cultura, andrebbero rivisitate, alla luce delle evidenze scientifiche e dell’affidabilità delle fonti di riferimento.

Il pedofilo è un estraneo, il cosiddetto “stranger danger”: i dati mostrano come la maggior parte dei casi di sospetto abuso sessuale coinvolgano una persona conosciuta dal bambino, all’interno della cerchia delle conoscenze più strette o addirittura della famiglia.

Tutti gli abusi sessuali sono commessi da pedofili: le ricerche indicano che una percentuale molto alta di soggetti con diagnosi di pedofilia non risulta aver commesso crimini[59].

Lo scopo di tutti i pedofili è di abusare sessualmente delle vittime: molti pedofili non arrivano a mettere in atto comportamenti di rilevanza penale. Alcuni potrebbero ricercare principalmente esibizionismo, voyeurismo e altri tipi di gratificazioni.

I pedofili sono solo di sesso maschile: la maggior parte dei sex-offenders verso i bambini risultano essere uomini, nonostante siano noti casi di abuso in cui la donna è l’autore di reato, soprattutto storie di toccamenti ed eccessive manipolazioni di bambini molto piccoli.

Tutti i pedofili mettono in atto lo stesso stile di approccio: le tempistiche e lo stile di approccio variano in base alle caratteristiche del singolo abusante.

Con la legge n. 66/96 “Norme contro la violenza sessuale” i reati sessuali, precedentemente annoverati tra i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, vengono definitivamente inseriti nel Titolo XII del codice penale, vale a dire nel novero dei “delitti contro la persona”, con la conseguenza che il bene giuridico tutelato diviene la libertà sessuale, ovvero il diritto alla libera disposizione del proprio corpo nella sfera sessuale e all’inviolabilità dello stesso da parte di terzi.

I reati che prima rientravano nelle fattispecie “violenza carnale” e “atti sessuali” vengono adesso puniti in quanto violenza sessuale, che comprende ogni atto corporeo idoneo a ledere la libera autodeterminazione della sfera sessuale.

La condotta vietata comprende qualsiasi comportamento connotato da violenza, minaccia o abuso di autorità, a prescindere dal contatto fisico diretto con la vittima, che sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo la libertà dell’individuo attraverso il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’abusante.

Cyberbullismo.

Internet rappresenta oggi un dato di fatto, una presenza quotidiana, un luogo virtuale con numerosi ed importanti risvolti sulla vita reale di ognuno di noi, soprattutto di bambini e ragazzi. Il web, i social network e le app costituiscono una risorsa per le sfide che affrontano ogni giorno: apprendimento, socializzazione, costruzione della propria identità e delle relazioni interpersonali, esplorazione della sessualità solo per menzionare le principali.

La Rete è un terreno fertile in cui si generano infinite opportunità, in vari ambiti dell’esperienza umana e costituisce oggi, soprattutto per i ragazzi, uno spazio in cui si scrive una nuova grammatica delle relazioni che va governata con attenzione e con l’impegno di tutti[60].

Online i ragazzi si confrontano, si testano, crescono, si innamorano, ma possono anche trovarsi a dover gestire situazioni di rischio nelle quali non sempre sanno come muoversi al meglio.

Tra i principali rischi cui i ragazzi possono incappare, oltre ai su richiamati sexting, sextortion, revenge porn, e grooming vi è certamente il cyberbullismo[61].

Tra i rischi che più spesso vedono coinvolti i ragazzi online vi è il cyberbullismo, ovvero la declinazione in Rete di dinamiche di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un singolo (o di un gruppo) nei confronti di una persona percepita come più debole o “differente dai pari[62]”.

Si tratta di dinamiche che si caratterizzano per l’intenzionalità del gesto, la persistenza nel tempo e l’asimmetria nel rapporto tra vittima e bullo/bulli; questo è ciò che distingue il bullismo da altre forme di interazione tra pari (es. scherzi, divergenze di opinione…).

Vittima e bullo non sono le uniche posizioni che i ragazzi possono assumere in una dinamica di bullismo: di centrale importanza è il ruolo dello spettatore; i cosiddetti bystanders, infatti, possono con il proprio agire, o non agire, interrompere gli episodi o consentirne il prolungarsi.

Online il numero di spettatori di episodi di cyberbullismo è esponenzialmente più alto e con esso, da un lato, le possibilità che qualcuno intervenga, dall’altro, la probabilità che la vittima si senta al centro di un pubblico ludibrio.

Il Cyberbullismo ha specifiche caratteristiche che fanno sentire le vittime sempre sotto attacco, in ogni luogo e momento, senza tregua né riparo.

Pervasività. La Rete abbatte qualsiasi confine spazio-temporale, pertanto il cyberbullismo può avvenire in qualsiasi luogo e momento; Persistenza. I contenuti veicolati in Rete rischiano di rimanervi per sempre, oltre ad essere spesso di difficile rimozione; Anonimato e Mancanza di Empatia. Online è spesso possibile rimanere anonimi e, in ogni caso, vi è una distanza fisica che crea una separazione inibente l’empatia tra cyberbullo e vittima.

In Rete, o in ambiente fisico, il bullismo ha un impatto sulle vite dei ragazzi i quali, oltre a manifestare sintomi psico-somatici, rischiano di giungere ad un’autosvalutazione e di aderire all’immagine che tali atti veicolano di loro[63].

Dare una precisa dimensione del fenomeno risulta particolarmente difficile: in quanto dinamica relazionale non è facile per i ragazzi coinvolti parlarne.

Tra le più grandi paure tra gli adolescenti, vi è certamente quella di essere esclusi dagli amici.

I principali motivi dell’esclusione e di discriminazione sono i più vari: orientamento sessuale, razza, caratteristiche fisiche, religione etc.

Child sexual abuse material (CSAM).

In tema di rischi online, merita un approfondimento il cosiddetto materiale pedo-pornografico: l’Interpol, infatti, da tempo promuove l’utilizzo di una terminologia appropriata, invitando a non utilizzare l’espressione “pedo-pornografia” poiché il suffisso pornografia rimanda ad un coinvolgimento volontario e consensuale tra adulti in atti sessuali documentati e successivamente distribuiti al pubblico per motivazioni legate al desiderio sessuale dei singoli.

I minori coinvolti in questo tipo di dinamica e ritratti in tali materiali sono, invece, vittime di un crimine, di uno sfruttamento sessuale: per questo è più adeguato utilizzare espressioni come CSAM o CSEM (Child sexual abuse or exploitation material).

Secondo i più recenti dati dell’International Child Sexual Exploitation (ICSE) database (Interpol, 2018), al quale sono connessi l’Europol e 54 Paesi europei, nel corso del 2017 sono stati identificati 5 bambini ogni giorno e 14.289 vittime ed arrestati oltre 6.200 abusanti.

Nell’identificazione dei minori vittime, ma anche degli abusanti il ruolo della società civile può essere centrale e Trace an Object ne è un esempio. Attraverso l’apposita pagina dedicata a Trace an Object, https://www.europol.europa.eu/stopchildabuse, l’Europol consente infatti a tutti di fornire informazioni utili all’identificazione dei soggetti coinvolti in un contenuto illegale, pubblicando sul sito parti delle foto/video che ritraggono elementi del setting e/o oggetti in esso presenti: “more eyes will lead to more leads and will ultimately help to save these children[64]”.

Live distant child abuse (LDCA).

Un altro fenomeno da attenzionare, così come indicato dall’Europol, è il cosiddetto Live Distant Child Abuse (LDCA), una nuova forma di cybercrime nella quale l’abuso avviene in streaming ed attraverso differenti piattaforme (es. social, app, chat rooms).

Spesso gestito da organizzazioni criminali, l’abuso in streaming può essere svolto secondo specifiche caratteristiche “on demand” e successivamente diffuso in Rete, aumentando così la quantità di CSAM ivi disponibile.

Si tratta di un fenomeno in crescita (IOCTA, 2017), al punto da essere inserito tra le priorità operative da perseguire in tema di sfruttamento sessuale minorile online, attestandosi come la forma prevalente di sfruttamento commerciale online di minori (IOCTA, 2018).

Rappresenta una forma particolarmente complessa di cybercrime poiché questo live streamed CSAM non necessita di essere scaricato o salvato, lasciando quindi limitate tracce digitali.

Coinvolge tipicamente paesi extra europei e sembra mostrare un collegamento con il turismo sessuale: parte dei fruitori di LDCA, infatti, viaggia all’estero in paesi extra europei al fine di commettere in loco abusi sessuali su minori (IOCTA, 2018).

Conclusioni.

La violenza sui minori può assumere diverse forme: abusi, sfruttamento (sessuale o anche del lavoro), abbandono, e che, nella maggior parte dei casi, ha delle gravi conseguenze per la salute dei minori, tanto dal punto di vista fisico quanto psicologico.

Cresce la violenza sui bambini, in un caso su cinque a essere maltrattati e uccisi sono neonati. Mancano monitoraggio e prevenzione. E i costi per lo Stato aumentano.

Aumentano i casi di maltrattamenti sui minori, la legislazione italiana non è né pervasiva né offre adeguati strumenti di prevenzione, ad esempio una banca dati nazionale per il monitoraggio delle violenze.

Abuso e sfruttamento[65].

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini sotto i 18 anni sono stati vittime di episodi di violenza e sfruttamento sessuale nel 2002. Circa il 20% delle donne, e tra il 5% e il 10% degli uomini, hanno subito abusi sessuali da bambini.  Gli studi mostrano che per un terzo delle adolescenti la prima esperienza sessuale è stato un atto forzato. In Zimbabwe, tra i giovani tra i 18 e i 24 anni, solo il 3% delle ragazze e poco più del 2% dei ragazzi che hanno subito violenza sessuale, hanno ricevuto un aiuto specialistico da istituzioni come cliniche o ONG.

In Tanzania, quasi la metà delle ragazze che hanno subito violenza sessuale non hanno rivelato quanto accaduto. Per i ragazzi la percentuale è ancora più alta. Ogni anno centinaia di migliaia di donne e ragazze vengono comprate e vendute come prostitute o ridotte in schiavitù sessuale. Ogni anno migliaia di ragazzi e di ragazze sono reclutati in forze armate governative e gruppi ribelli, venendo così esposti ad un elevato rischio di violenza sessuale, fisica, psicologica ed emotiva.

Violenza armata[66].

Nei conflitti armati i bambini sono esposti a violenze, tra cui uccisioni o mutilazioni; reclutamento o utilizzo come soldati; violenza sessuale, attacchi contro scuole e ospedali, negazione all’accesso di aiuti umanitari e rapimento.

Ogni anno si stima che circa 526.000 persone muoiono violentemente, ma solo 55.000 tra queste perdono la vita in conflitti o in atti terroristici. Nei 53 Stati che compongono la regione europea dell’OMS, 15.000 giovani perdono la vita ogni anno per violenza interpersonale o di gruppo, la terza causa di morte tra le persone di età compresa tra 10-29 anni.

La violenza domestica e familiare[67].

Ogni anno, tra 133 e 275 milioni di bambini sono testimoni di episodi di comportamento violento tra i propri genitori.

Studi effettuati in molti paesi suggeriscono che dall’80 al 98% dei bambini hanno ricevuto punizioni fisiche a casa, con un terzo o più che hanno subito punizioni fisiche gravi mediante l’uso di oggetti.

In Medio Oriente e in Nord Africa, i dati UNICEF tra il 2005 e il 2010 mostrano che il 90% dei bambini tra i 2 e i 14 anni hanno esperienza di educazione violenta (aggressione psicologica e/o punizioni fisiche).

Molti episodi di violenza domestica sono nascosti dietro le porte chiuse o non vengono denunciati a causa della vergogna, della paura o della comune accettazione. A livello globale, quasi la metà degli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni ritengono che un marito sia giustificato quando colpisce o picchia la moglie, in determinate circostanze.

 

 

 

 

Violenza a scuola[68].

Per molti bambini, i contesti educativi non sono spazi sicuri. Al contrario, a volte li espongono alla violenza e possono insegnare loro comportamenti violenti, attraverso punizioni corporali, forme crudeli e umilianti di punizione psicologica, abuso sessuale e di genere e bullismo.

Per molte giovani donne, il luogo più comune dove la coercizione sessuale e le molestie vengono praticate è la scuola.

Il lavoro minorile e la violenza sul posto di lavoro[69].

Si stima che in tutto il mondo 150 milioni di bambini tra i 5 e i 14 anni sono impiegati nel lavoro minorile;115 milioni di bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni sono coinvolti nelle forme peggiori di lavoro minorile, come quelle che prevedono carichi pesanti, contatto con sostanze chimiche e un orario di lavoro prolungato.

Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) circa 10,5 milioni di bambini a livello mondiale sono impiegati come lavoratori domestici, spesso in condizioni pericolose e a volte di vera e propria schiavitù; 6,5 milioni hanno un’età compresa tra i 5 ei 14 anni e più del 71% sono bambine.

Sono tutti vulnerabili alla violenza fisica, psicologica e sessuale e molti potrebbero finire per essere sfruttati sessualmente. Vengono spesso isolati dalle loro famiglie, nascosti agli occhi del pubblico e diventano fortemente dipendenti dai loro datori di lavoro.

Bullismo e cyber-bullismo[70].

Secondo un recente studio effettuato in diversi Paesi in via di sviluppo (Global School-based Health Survey) i bambini in età scolare che sono stati verbalmente o fisicamente vittime di atti di bullismo nei 30 giorni precedenti l’indagine sono – a seconda dei Paesi esaminati – tra il 20% e il 65%.

Gli studenti coinvolti in atti di bullismo corrono elevati rischi di avere conseguenti disturbi psicosomatici: fuga da casa, abuso di alcol e droga, assenteismo e, soprattutto, atti di autolesionismo (lesioni accidentali o perpetrate).

Questi dati obbligano pertanto ad una seria riflessione, sull’effettiva garanzia per tutti i minorenni di godere di pari diritti alla protezione e cura dal maltrattamento. Emerge chiaramente come la dimensione del fenomeno del maltrattamento sui minorenni in Italia non si discosti molto da quella degli altri Paesi europei[71].

Questi risultati, impongono pertanto una riflessione approfondita, sulla necessità di un intervento incisivo, di portata anche culturale, sugli autori del maltrattamento. È indispensabile prevenire ogni forma di violenza contro tutte le persone di minore età, ma utilizzando strategie ancora più mirate alla riduzione dei fattori di rischio delle fasce più vulnerabili: le bambine e le adolescenti e i minorenni di origine straniera[72].

In conclusione, questi risultati dimostrano quanto sia indispensabile e necessario un sistema di monitoraggio, per poter meglio orientare gli operatori sociali e di diritto, al fine di prevenire, proteggere e curare i minorenni maltrattati, e intervenire correggendo le disomogeneità territoriali che tuttora sembrano segnare uno spartiacque, nella piena fruizione dei diritti di tutte le persone di minore età che vivono nel nostro Paese.

[1] http://www.centrodonnalisa.it.

[2] Montecchi F. “Dal bambino minaccioso al bambino minacciato. Gli abusi e la violenza in famiglia: prevenzione, rilevamento e trattamento”, Franco Angeli, Milano, 2011, pag. 16.

[3] Dott.ssa Battelli L., La valutazione delle cure parentaliIl servizio sociale nell’ambito della tutela minorile – Università Cà Foscari Venezia, A.A. 2014/2015.

[4] Montecchi F. “Dal bambino minaccioso al bambino minacciato. Gli abusi e la violenza in famiglia: prevenzione, rilevamento e trattamento”, Franco Angeli, Milano, 2011, pag. 17.

[5] Tema trattato tra gli altri anche nel film di Bollywood The millionaire” 2008, regia di Danny Boyle.

[6] Dott.ssa Battelli L., La valutazione delle cure parentaliIl servizio sociale nell’ambito della tutela minorile – Università Cà Foscari Venezia, A.A. 2014/2015.

[7] Dott.ssa Battelli L., La valutazione delle cure parentaliIl servizio sociale nell’ambito della tutela minorile – Università Cà Foscari Venezia, A.A. 2014/2015.

[8] Montecchi F. op. cit. pag. 20.

[9] http://it.doctmag.com/professioni-sanitarie/Sindrome-da-bambino-battuto/.

[10] Alterio S. “L’abuso infantile. Definizioni e linee d’intervento in Gran Bretagna.”, Armando Editore, Roma, 2005, pag. 25.

[11] Dott.ssa Battelli L., La valutazione delle cure parentaliIl servizio sociale nell’ambito della tutela minorile – Università Cà Foscari Venezia, A.A. 2014/2015.

[12] http://win.salutare.info/pdf/51_12.pdf.

[13] OMS, 2002.

[14] Luberti R. “Abuso sessuale intrafamiliare su minori” in R. Luberti, D. Bianchi, “…E poi disse che avevo sognato”, Cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Firenze), 1997.

[15] Cass. sez.VI°, 16 maggio 1996.

[16] Dott.ssa Battelli L., La valutazione delle cure parentaliIl servizio sociale nell’ambito della tutela minorile – Università Cà Foscari Venezia, A.A. 2014/2015.

[17] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[18] Cheli M.A., Campieri M., Fini A., Montenegro M. E., Piccioni A., Pincanelli F., Ricciutello C. “Esperienze traumatiche in età evolutiva e fattori di rischio familiari: un’indagine sugli esiti nello sviluppo” in “Maltrattamento e abuso all’infanzia” – Rivista interdisciplinare Vol. 14 n. 3 Novembre 2012. Franco Angeli, Milano, 2012.

[19] Consiglio d’Europa, 1978.

[20] OMS, 2002.

[21] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[22] Roia, 2004.

[23] Cass., sez. V°, 23 settembre – 5 novembre 2002.

[24] Cummings, Davies, Campbell (2000) adattato da Di Blasio P. in Di Blasio P., a cura di “Tra rischio e protezione. La valutazione delle competenze parentali” Unicopli, Milano, 2005 p. 74 e ss.

[25] http://www.consultoriemiliaromagna.it/file/user/BO_RER_L.Nicoli.pdf.

[26] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[27] Luberti R. “Abuso sessuale intrafamiliare su minori” in R. Luberti, D. Bianchi, “…E poi disse che avevo sognato”, Cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Firenze), 1997.

[28] OMS, 1996.

[29] OMS, 2002.

[30] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[31] Cheli M.A., Campieri M., Fini A., Montenegro M. E., Piccioni A., Pincanelli F., Ricciutello C. “Esperienze traumatiche in età evolutiva e fattori di rischio familiari: un’indagine sugli esiti nello sviluppo” in “Maltrattamento e abuso all’infanzia” – Rivista interdisciplinare Vol. 14 n. 3 Novembre 2012. Franco Angeli, Milano, 2012.

[32] Bronfenbrenner U. “Ecologia dello sviluppo umano”, Il Mulino, Bologna, 2002.

[33] DSM-5, 2013.

[34] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[35] Rutter, 1990.

[36] Montecchi F. op. cit. pag. 35.

[37] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[38] Luberti R. “Abuso sessuale intrafamiliare su minori” in R. Luberti, D. Bianchi, “…E poi disse che avevo sognato”, Cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Firenze), 1997.

[39] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[40] American SPCC, 2017; Child protection register and plan statistics for all UK nations for 2017.

[41] Luberti R. “Abuso sessuale intrafamiliare su minori” in R. Luberti, D. Bianchi, “…E poi disse che avevo sognato”, Cultura della pace, San Domenico di Fiesole (Firenze), 1997, pag. 17.

[42] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[43] Alterio S. “L’abuso infantile. Definizioni e linee d’intervento in Gran Bretagna.”, Armando Editore, Roma, 2005.

[44] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[45] Cass. Pen. 21 marzo 2015, n.11675.

[46] Cass., Sez. un., sent. 31 maggio 2018 -dep. 15 novembre 2018- n. 51815, Est. Andronio, Pres. Carcano, ric. M..

[47] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[48] Wolak e Finkelhor, 2016.

[49] Thorn, 2018.

[50] Gillani & Massod, 2015.

[51] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[52] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[53] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[54] APA, 2013.

[55] Seto, 2008.

[56] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[57] Tomak et al., 2009.

[58] Langevin, 2006.

[59] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[60] Telefono Azzurro, 2017.

[61] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[62] Telefono Azzurro, 2017.

[63] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[64] Manuale 114, Emergenza Infanzia – Telefono Azzurro, Dipartimento per le politiche della famiglia, giugno 2019.

[65] Dati OMS e ILO, UNICEF, 2019.

[66] Dati OMS e ILO, UNICEF, 2019.

[67] Dati OMS e ILO, UNICEF, 2019.

 

[68] Dati OMS e ILO, UNICEF, 2019.

[69] Dati OMS e ILO, UNICEF, 2019.

[70] Dati OMS e ILO, UNICEF, 2019.

[71] Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza – CISMAI – Fondazione Terre des Hommes Italia, 2015.

[72] Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza – CISMAI – Fondazione Terre des Hommes Italia, 2015.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here