Il diritto all’oblio e l’eterno presente di internet Cassazione, Sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525 (S. Ciliberti)

 

IL DIRITTO ALL’OBLIO E L’ETERNO PRESENTE DI INTERNET

Cassazione, Sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525

Salvatore Ciliberti

 

 

Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte offre finalmente una lettura della normativa in materia di  trattamento dei dati personali, conforme alla ratio della disciplina nazionale (prima l. 675/1996 ed ora d.lgs. 196/2003) e della disciplina comunitaria che l’ha informata (direttiva 95/46/CE), seppur con dei punti in cui mostra di cedere ad una visione del fenomeno non corretta.

La succitata normativa è volta, infatti, a disciplinare l circolazione dei dati e non certo a riconoscere nuove sfere di dominio esclusivo, cui sembrano alludere espressioni quali “privacy” e “riservatezza”.

Vero è che il legislatore comunitario e quello nazionale di conseguenza hanno riconosciuto che nella società moderno il dato personale è considerato un bene circolante, che in quanto tale è economicamente rilevante per chi opera sul mercato.

Non a caso, come anche si legge nella sentenza in commento, Il sistema introdotto con il D.Lgs. n. 196 del 2003, informato al prioritario rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e della dignità della persona (e in particolare della riservatezza e del diritto alla protezione dei dati personali nonchè dell’identità personale o morale del soggetto cui gli stessi appartengono), è caratterizzato dalla necessaria rispondenza del trattamento dei dati personali a criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza allo scopo (quest’ ultimo costituendo un vero e proprio limite intrinseco del trattamento lecito dei dati personali), che trova riscontro nella compartecipazione dell’interessato nell’utilizzazione dei propri dati personali, a quest’ultimo spettando il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonchè di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorchè pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7), a tutela della proiezione dinamica dei propri dati personali e del rispetto della propria attuale identità personale o morale.

Il trattamento dei dati personali deve, dunque, conformarsi ai principi ricordati ed esser contemperato con i diritti dell’interessato, la cui persona è, per cosi dire, definita dal modo in cui i dati sono comunicati all’esterno. In tal senso efficace è la figura dell’”immagine sociale” dell’interessato che può esser definita in negativo da un uso non conforme a verità o non piu’ rispondente all’attualità (come nel caso di specie).

Da ciò discende, secondo il ragionamento condotto dal giudice di legittimità, che deve riconoscersi al soggetto, cui appartengono i dati personali oggetto di trattamento ivi contenuti, il diritto all’oblio, e cioè al relativo controllo a tutela della propria immagine sociale, che anche quando trattasi di notizia vera, e a fortiori se di cronaca, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei medesimi, e se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione.

Il diritto alla rettifica delle informazioni personali ovvero alla cancellazione (c.d. diritto all’oblio) necessita di una tutela tanto maggiore nell’ipotesi di dati pubblicati nella rete internet, quale strumento potenzialmente permanente, che permette con facilità di accedere a dati pubblicati anche molto tempo addietro.

Al proposito la Suprema Corte ritiene che la rettifica di una notizia di cronaca risalente al passato non collida col diritto di cronaca, ma vero lo rafforzi, offrendo anche al cittadino-utente la possibilità di ottenere un informazione completa ed attuale.

 Interessante sembra anche il riferimento alla responsabilità nel trattamento dei dati personali che ricadrebbe sul titolare del trattamento (la R.C.S nel caso di specie) e non sul motore di ricerca, che si limita a offrire ospitalità sui propri server a siti internet gestiti dai relativi titolari in piena autonomia, i quali negli stessi immettono e memorizzano le informazioni oggetto di trattamento (cfr. Trib. Milano, 24/3/2011).

I Giudici della Cassazione non sembrano. però. tener conto che lo stesso Google è stato condannato, sempre dal Tribunale di Milano ( sent. 1792/2010) con la nota sentenza Google-Vividown per non aver  correttamente informato i propri utenti circa le condizioni da rispettare per la pubblicazione di dati concernenti terze parti.

E’ chiaro che non si può pretendere che il gestore del motore di ricerca abbia il controllo completo dei dati caricati nel web, ma forse si potrebbe chiedere l’adozione di nuove metodologie che limitino l’indicizzazione delle notizie immesse oltre un certo tempo.

Si garantirebbe, comunque, il diritto all’informazione poiché le notizie se attuali verrebbero ripubblicate ed aggiornate; dall’altro si tutelerebbe il diritto degli interessati a non vivere in un eterno presente e ad esser conosciuti per quello che si è o si fa e non per ciò che del passato è divenuto irrilevante.

 

 

Cassazione, Sez. III, 5 aprile 2012, n. 5525

 

Svolgimento del processo

Con sentenza del 6/4/2010 il Tribunale di Milano respingeva l’opposizione proposta dal sig. M.T. nei confronti del provvedimento del Garante per la protezione dei beni personali di rigetto dell’istanza di “blocco dei dati personali che lo riguardavano contenuti nell’articolo intitolato Arrestato per corruzione M.T., psi ex presidente della municipalizzata di Seregno pubblicato sul (OMISSIS) del (OMISSIS)”, ora “consultabile nell’archivio storico del (OMISSIS), anche in versione informatica, mediante accesso al sito (OMISSIS)”, in ordine al quale aveva chiesto la “rimozione dei dati giudiziari”.

Avverso la suindicata pronunzia ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, comma 13, il M. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico complesso motivo, illustrato da memoria.

Resistono con separati controricorsi il Garante per la protezione dei beni personali e la società Rcs Quotidiani s.p.a., che hanno entrambi presentato anche memoria.

Con unico complesso motivo il ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 2, 7, 11, 99, 102, 150 e 152, artt. 3, 5, 7 del Codice di deontologia e buona condotta per i trattamenti di dati personali per scopi storici (G.U. n. 50 del 5 aprile 2001), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che il giudice abbia rigettato la domanda di “spostamento di un articolo pubblicato molti anni prima in un’area di un sito web non indicizzabile dai motori di ricerca”, erroneamente argomentando dai rilievi che “l’articolo di cui si discute non può essere tecnicamente inteso come una nuova pubblicazione” e che “la ricerca effettuata attraverso i comuni motori – non direttamente legata all’articolo del (OMISSIS) – da, in realtà, contezza degli esiti processualmente favorevoli”.

Lamenta che l’articolo in questione “non reca, in sè, la notizia – distinta e successiva – che l’inchiesta giudiziaria che aveva condotto all’arresto del ricorrente si sia poi conclusa con il proscioglimento del medesimo, sicchè, ancora oggi, il sig. M. è soggetto allo stigma derivante dalla continua riproposizione di una notizia che, al momento della sua pubblicazione era senz’altro vera ed attuale, ma che oggi, a distanza di un così grande lasso di tempo ed in ragione delle sopravvenute vicende favorevoli, getta un intollerabile alone di discredito sulla persona del ricorrente, vittima di una vera a propria gogna mediatica”.

Si duole che, movendo dalla considerazione che “l’inserimento di una sorta di sequel nell’articolo contenuto in archivio… farebbe venir meno il valore di documento del testo stesso, vanificandone così la funzione storico-documentaristica”, il giudice di merito non abbia considerato che relativamente ad un “trattamento svolto per finalità storico-archivistiche, normate all’art. 97 e ss. del medesimo T.U.” ai sensi dell’art. 7 l’interessato ha diritto all’aggiornamento, alla rettificazione ovvero alla integrazione dei dati che lo riguardano.

Lamenta che, escludendo la sussistenza di “una normativa” quand’anche di “rango secondario ponente in capo all’editore un onere di aggiornamento degli articoli in archivio”, il giudice è erroneamente pervenuto a rigettare anche la domanda di “integrazione dell’articolo in questione con le notizie inerenti gli sviluppi successivi della vicenda narrata, con apposite modalità tecniche, anche non modificative della struttura originaria dello scritto”, ritenendo inconfigurabile un suo interesse al riguardo.

Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

Atteso che ogni libertà civile trova il proprio limite nell’altrui libertà e nell’interesse pubblico idoneo a fondare l’eventuale sacrificio dell’interesse del singolo, deve anzitutto osservarsi che la tutela del diritto alla riservatezza va contemperata in particolare con il diritto di ed alla informazione, nonchè con i diritti di cronaca, di critica, di satira e di caricatura, questi ultimi trovanti a loro volta limite nel diritto all’identità personale o morale del soggetto cui l’informazione si riferisce.

Il diritto alla riservatezza, che tutela il soggetto dalla curiosità pubblica (in ciò distinguendosi dal diritto al segreto, il quale protegge dalla curiosità privata) essendo volto a tutelare l’esigenza che quand’anche rispondenti a verità i fatti della vita privata non vengano divulgati, sin dall’emanazione della L. n. 675 del 1996 (poi abrogata e sostituita dal D.Lgs. n. 196 del 2003) ha visto ampliarsi il proprio contenuto venendo a compendiarsi anche del diritto alla protezione dei dati personali (cfr. Cass., 24/4/2008, n. 10690), il cui trattamento è soggetto a particolari condizioni (cfr.

Cass., 25/5/2000, n. 6877).

Con il D.Lgs. n. 196 del 2003, il legislatore ha introdotto un sistema informato al prioritario rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e della dignità della persona, e in particolare della riservatezza e del diritto alla protezione dei dati personali nonchè dell’identità personale o morale del soggetto (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 2).

In tale quadro, imprescindibile rilievo assume il bilanciamento tra contrapposti diritti e libertà fondamentali, dovendo al riguardo tenersi conto del rango di diritto fondamentale assunto dal diritto alla protezione dei dati personali, tutelato agli artt. 21 e 2 Cost., nonchè all’art. 8 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., quale diritto a mantenere il controllo sulle proprie informazioni che, spettando a “chiunque” (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 1) e ad “ogni persona” (art. 8 Carta), nei diversi contesti ed ambienti di vita, “concorre a delineare l’assetto di una società rispettosa dell’altro e della sua dignità in condizioni di eguaglianza” (così Cass., 4/1/2011, n. 186).

Il D.Lgs. n. 196 del 2003, ha pertanto sancito il passaggio da una concezione statica a una concezione dinamica della tutela della riservatezza, tesa al controllo dell’utilizzo e del destino dei dati.

L’interessato è divenuto compartecipe nell’utilizzazione dei propri dati personali.

I dati personali oggetto di trattamento debbono essere: a) trattati in modo lecito e secondo correttezza; b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi; c) esatti e, se necessario, aggiornati; d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati; e) conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati.

La liceità del trattamento trova fondamento anche nella finalità del medesimo, quest’ultima costituendo un vero e proprio limite intrinseco del trattamento lecito dei dati personali, che fonda l’attribuzione all’interessato del potere di relativo controllo (tanto con riferimento alle finalità originarie che ai successivi impieghi), con facoltà di orientarne la selezione, la conservazione e l’utilizzazione.

L’interessato ha diritto a che l’informazione oggetto di trattamento risponda ai criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza allo scopo, esattezza e coerenza con la sua attuale ed effettiva identità personale o morale (c.d. principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza) (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11). Gli è pertanto attribuito il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonchè di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorchè pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7).

Al di là delle specifiche fonti normative, è in ogni caso il principio di correttezza (quale generale principio di solidarietà sociale – che trova applicazione anche in tema di responsabilità extracontrattuale – in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonchè volto alla salvaguardia dell’utilità altrui – nei limiti dell’apprezzabile sacrificio -, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi: cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651;

Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 30/10/2007, n. 22860; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056. Da ultimo cfr. Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., 19/8/2011, n. 17685) a fondare in termini generali l’esigenza del bilanciamento in concreto degli interessi, e, conseguentemente, il diritto dell’interessato ad opporsi al trattamento, quand’anche lecito, dei propri dati.

Se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (artt. 21 e 2 Cost.), al soggetto cui i dati pertengono è correlativamente attribuito il diritto all’oblio (v. Cass., 9/4/1998, n. 3679), e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati.

Atteso che il trattamento dei dati personali può avere ad oggetto anche dati pubblici o pubblicati (v. Cass., 25/6/2004, n. 11864), il diritto all’oblio salvaguarda in realtà la proiezione sociale dell’identità personale, l’esigenza del soggetto di essere tutelato dalla divulgazione di informazioni (potenzialmente) lesive in ragione della perdita (stante il lasso di tempo intercorso dall’accadimento del fatto che costituisce l’oggetto) di attualità delle stesse, sicchè il relativo trattamento viene a risultare non più giustificato ed anzi suscettibile di ostacolare il soggetto nell’esplicazione e nel godimento della propria personalità.

Il soggetto cui l’informazione oggetto di trattamento si riferisce ha in particolare diritto al rispetto della propria identità personale o morale, a non vedere cioè “travisato o alterato all’esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale” (v. Cass., 22/6/1985, n. 7769), e pertanto alla verità della propria immagine nel momento storico attuale.

Rispetto all’interesse del soggetto a non vedere ulteriormente divulgate notizie di cronaca che lo riguardano si pone peraltro l’ipotesi che sussista o subentri l’interesse pubblico alla relativa conoscenza o divulgazione per particolari esigenze di carattere storico, didattico, culturale o più in generale deponenti per il persistente interesse sociale riguardo ad esse.

Un fatto di cronaca può, a tale stregua, assumere rilevanza quale fatto storico, il che può giustificare la permanenza del dato mediante la conservazione in archivi altri e diversi (es., archivio storico) da quello in cui esso è stato originariamente collocato.

Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 1, lett. b), i dati raccolti e trattati per una determinata finalità possono essere in effetti successivamente utilizzati per altri scopi, con la prima compatibili.

Anche in tale ipotesi essi debbono essere peraltro trattati in modo lecito e secondo correttezza (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 1 lett. c),) nonchè conservati in forma che consenta l’identificazione del soggetto cui gli stessi pertengono per un periodo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti e trattati (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 1 lett. e)).

Atteso che come sopra indicato il principio di finalità costituisce un vero e proprio limite intrinseco del trattamento lecito dei dati personali, emerge allora la necessità, a salvaguardia dell’attuale identità sociale del soggetto cui la stessa afferisce, di garantire al medesimo la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia già di cronaca che lo riguarda, e cioè il collegamento della notizia ad altre informazioni successivamente pubblicate concernenti l’evoluzione della vicenda, che possano completare o financo radicalmente mutare il quadro evincentesi dalla notizia originaria, a fortiori se trattasi di fatti oggetto di vicenda giudiziaria, che costituisce anzi emblematico e paradigmatico esempio al riguardo.

Si pone peraltro in proposito la questione di delineare il quomodo della tutela, le modalità di relativa attuazione.

Va al riguardo altresì considerato che la notizia, sia essa collocata o meno in un archivio, può da soggetto che effettua il trattamento essere memorizzata anche nella rete internet.

Deve allora prodromicamente distinguersi tra archivio e memoria della rete internet.

Mentre l’archivio si caratterizza per essere ordinato secondo criteri determinati, con informazioni intercorrelate volte ad agevolarne l’accesso e a consentirne la consultazione, la rete internet costituisce in realtà un ente ove le informazioni non sono archiviate ma solo memorizzate.

Esso è dotato di una memoria illimitata e senza tempo, emblematico essendo al riguardo il comune riferimento al “mare di internet”, all'”oceano di memoria” in cui gli internauti “navigano”.

La memoria della rete internet non è un archivio, ma un deposito di archivi.

Nella rete internet le informazioni non sono in realtà organizzate e strutturate, ma risultano isolate, poste tutte al medesimo livello (“appiattite”), senza una valutazione del relativo peso, e prive di contestualizzazione, prive di collegamento con altre informazioni pubblicate (come segnalato anche in dottrina, lo stesso pagerank indica quando una pagina è collegata da link, non a quali informazioni essa debba essere correlata, nè fornisce alcun dato sulla qualità dell’informazione).

Si pone allora l’esigenza di attribuzione della fonte dell’informazione ad un soggetto, della relativa affidabilità, della qualità e della correttezza dell’informazione.

Al riguardo, a parte il rilievo che come osservato anche in dottrina sul piano pratico la pur possibile attività di cancellazione può essere ad esempio chiesta al motore di ricerca Google la rimozione di una pagina ( (OMISSIS)) o di un intero URL ((OMISSIS)) non è comunemente posta in essere, non può invero nemmeno prescindersi dalla considerazione della circostanza della sussistenza di siti che memorizzano i dati scomparsi da altri siti (come, ad es., (OMISSIS), il quale presta un servizio denominato Way back machine).

Gli archivi sono dunque quelli dei singoli utenti che accedono alla rete, dei titolari dei siti, che costituiscono invero la fonte dell’informazione (c.d. siti sorgente).

Il motore di ricerca è infatti un mero intermediario telematico, che offre un sistema automatico di reperimento di dati e informazioni attraverso parole chiave, un mero database che indicizza i testi sulla rete e offre agli utenti un accesso per la relativa consultazione.

Esso è un mero fornitore del servizio di fruizione della rete, limitandosi a rendere accessibili sul sito web i dati dei c.d. siti sorgente, assolvendo ad un’attività di mero trasporto delle informazioni (ad eccezione dell’ipotesi in cui compia un’attività di trasformazione delle medesime, a tale stregua divenendone anch’esso produttore diretto, con conseguente assoggettamento a responsabilità in caso di illecito D.Lgs. n. 70 del 2003, ex art. 14 e ss., fonte di recepimento della Direttiva 2000/31/CE).

In particolare, come posto in rilievo nella giurisprudenza di merito Google è notoriamente un motore di ricerca, che si limita a offrire ospitalità sui propri server a siti internet gestiti dai relativi titolari in piena autonomia, i quali negli stessi immettono e memorizzano le informazioni oggetto di trattamento (cfr. Trib.

Milano, 24/3/2011).

Al riguardo il motore di ricerca non svolge dunque un ruolo attivo (avendo peraltro il potere-dovere di impedirne la indicizzazione ed il posizionamento una volta venuto a conoscenza del contenuto illecito delle medesime contenute nei siti sorgente).

Il trascorrere del tempo assume d’altro canto rilievo con riferimento sia agli archivi del soggetto che accede alla rete internet sia alla memoria di quest’ultima.

Decisivo si appalesa al riguardo l’interesse pubblico alla conoscenza della notizia, sia essa di cronaca o storica.

A fronte dell’esigenza di garantire e mantenere la memoria dell’informazione si pone infatti, come detto, il diritto all’oblio del soggetto cui l’informazione si riferisce.

Se del dato è consentita la conservazione per finalità anche diversa da quella che ne ha originariamente giustificato il trattamento, con passaggio da un archivio ad un altro, nonchè ammessa la memorizzazione (anche) nella rete di internet (es., pubblicazione on line degli archivi storici dei giornali), per altro verso al soggetto cui esso pertiene spetta un diritto di controllo a tutela della proiezione dinamica dei propri dati e della propria immagine sociale, che può tradursi, anche quando trattasi di notizia vera – e a fortiori se di cronaca – nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento della notizia, e se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione.

Ai fini della lecita a corretta utilizzazione dei dati è dunque anche in tal caso necessario che sussista una stretta correlazione temporale tra l’identificabilità del titolare dei dati e la finalità del relativo trattamento.

La finalità del trattamento condiziona la persistente identificabilità del soggetto titolare dei dati ma è a sua volta normativamente astretta dai rigorosi limiti temporali per i quali è giustificata (“per un periodo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati”: D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 11, comma 1, lett. e)).

Al riguardo, con riferimento alla rete internet non si pone allora – diversamente da quanto affermato nell’impugnata sentenza- un problema di pubblicazione o di ripubblicazione dell’informazione, quanto bensì di permanenza della medesima nella memoria della rete internet e, a monte, nell’archivio del titolare del sito sorgente.

Se il passaggio dei dati all’archivio storico è senz’altro ammissibile, ai fini della liceità e correttezza del relativo trattamento e della relativa diffusione a mezzo della rete internet è indefettibilmente necessario che l’informazione e il dato trattato risultino debitamente integrati e aggiornati.

Anche in tal caso i dati debbono risultare “esatti” e “aggiornati”, in relazione alla finalità del loro trattamento. A fortiori in caso di relativo inserimento in un archivio storico che come nella specie venga memorizzato pure nella rete di internet la notizia non può continuare a risultare isolatamente trattata e non contestualizzata in relazione ai successivi sviluppi della medesima.

Ciò al fine di tutelare e rispettare la proiezione sociale dell’identità personale del soggetto, che come nel caso – giusta quanto posto in rilievo dal giudice del merito nell’impugnata sentenza (v. oltre) – costituisce invero proprio o essenzialmente lo scopo che fonda l’interesse pubblico, a sua volta a base della finalità del trattamento, alla persistente conoscenza della notizia.

Se pertanto come nella specie l’interesse pubblico alla persistente conoscenza di un fatto avvenuto in epoca (di molto) anteriore trova giustificazione nell’attività (nel caso, politica) svolta dal soggetto titolare dei dati, e tale vicenda ha registrato una successiva evoluzione, dalla informazione in ordine a quest’ultima non può invero prescindersi, giacchè.altrimenti la notizia, originariamente compieta e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera.

Se vera, esatta ed aggiornata essa era al momento del relativo trattamento quale notizia di cronaca, e come tale ha costituito oggetto di trattamento, il suo successivo spostamento in altro archivio di diverso scopo (nel caso, archivio storico) con memorizzazione anche nella rete internet deve essere allora realizzato con modalità tali da consentire alla medesima di continuare a mantenere i suindicati caratteri di verità ed esattezza, e conseguentemente di liceità e correttezza, mediante il relativo aggiornamento e contestualizzazione.

Solo in tal modo essa risulta infatti non violativa sia del diritto all’identità personale o morale del titolare, nella sua proiezione sociale, del dato oggetto di informazione e di trattamento, sia dello stesso diritto del cittadino utente a ricevere una completa e corretta informazione.

Anche laddove come nella specie non si ponga una questione di tutela contro la diffamazione o di protezione dell’immagine o dell’onore, sussiste allora in ogni caso l’esigenza di salvaguardare il diritto del soggetto al riconoscimento e godimento della propria attuale identità personale o morale.

Orbene, è il titolare del sito (nel caso, la controricorrente società Rcs Quotidiani s.p.a. ), e non già il motore di ricerca (nel caso, Google), a dover provvedere al raggiungimento del suindicato obiettivo.

Senz’altro infondati sono allora l’assunto della società Rcs Quotidiani s.p.a. secondo cui la domanda “rivolta ai convenuti in tal senso è… palesemente mal indirizzata” e l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza che “la domanda non pare correttamente posta sotto il profilo soggettivo, non avendo parte ricorrente provveduto a citare quale legittimato passivo la società di gestione del motore di ricerca”, e pertanto nella specie Google il giudice del merito ha al riguardo poi concluso che “peraltro, l’infondatezza nel merito di tale argomentazione (oltre che l’assenza di qualsivoglia richiesta in tal senso ad opera dei contraddittori) induceva il giudicante a ritenere il profilo processuale evidenziato assorbito”.

All’interessato odierno resistente va dunque riconosciuto il diritto di ottenere l’integrazione ovvero l’aggiornamento della notizia in argomento a lui relativa (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7, comma 3) (cfr. Cass., Sez. Un. penali, 22/9/2011, n. 34476).

Così come la rettifica è finalizzata a restaurare l’ordine del sistema informativo alterato dalla notizia non vera (che non produce nessuna nuova informazione), del pari l’integrazione e l’aggiornamento sono invero volti a ripristinare l’ordine del sistema alterato dalla notizia (storicamente o altrimenti) parziale.

L’aggiornamento ha in particolare riguardo all’inserimento di notizie successive o nuove rispetto a quelle esistenti al momento iniziale del trattamento, ed è volto a ripristinare la completezza e pertanto la verità della notizia, non più tale in ragione dell’evoluzione nel tempo della vicenda.

Orbene, atteso che non ricorrendo un’ipotesi di diffamazione o lesione dell’onore e della reputazione non viene nel caso in rilievo il rimedio della rettifica; e considerato per altro verso che, stante la sussistenza di persistente interesse pubblico alla conoscenza della ormai “storica” notizia in argomento ravvisata (diversamente da quanto sostenuto dall’odierno ricorrente) dal giudice di merito in considerazione della circostanza dell’essere l’odierno ricorrente “un possibile candidato politico in una delle ultime tornate elettorali” nonchè “uno dei candidati in pectore per cariche, seppur non politiche, di rilievo pubblico”, se non appare ammissibile farsi luogo al prospettato spostamento della notizia di cronaca di cui trattasi in area non indicizzabile dai motori di ricerca, all’odierno ricorrente (che ha rinunziato all’originaria pretesa di blocco dei dati personali che lo riguardano) deve per converso senz’altro riconoscersi il diritto, a tutela della sua attuale identità personale o morale, al pure domandato (tempestivamente ed idoneamente in sede di ricorso introduttivo del giudizio avanti al Tribunale di Milano, non risultando d’altro canto dagli odierni controricorrenti nemmeno proposto ricorso incidentale con denunzia di errar in procedendo ex art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) aggiornamento della notizia di cronaca de qua (pacificamente superato essendo d’altro canto rimasto l’originario improprio riferimento operato dal ricorrente ai “dati giudiziarii”).

Appare al riguardo invero necessaria una misura che consenta l’effettiva fruizione della notizia aggiornata, non potendo (diversamente da quanto affermato dal Garante nella memoria) considerarsi in proposito sufficiente la mera generica possibilità di rinvenire all’interno del “mare di internet” ulteriori notizie concernenti il caso di specie, ma richiedendosi la predisposizione di sistema idoneo a segnalare (nel corpo o a margine) la sussistenza nel caso di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso sia, consentendone il rapido ed agevole accesso ai fini del relativo adeguato approfondimento.

In caso di disaccordo tra le parti, spetta allora al giudice del merito individuare ed indicare le modalità da adottarsi in concreto per il conseguimento delle indicate finalità da parte del titolare dell’archivio e del sito web, salva ed impregiudicata l’eventuale necessità per il medesimo di rivolgersi al gestore del motore di ricerca al fine di porre in essere le procedure tecnico- amministrative per la relativa attuazione su quest’ultimo.

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati nell’impugnata sentenza.

In particolare là dove il giudice di merito afferma che “l’articolo di stampa in oggetto è pacificamente privo di carattere diffamatorio; le notizie potenzialmente lesive pubblicate risultano infatti scriminate, poichè costituiscono concreto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria e di critica politica” sicchè “ne discende quale ineludibile corollario che l’inserimento del detto articolo storico del (OMISSIS) è del tutto lecito”, non potendo “essere correttamente vantato il diritto all’oblio da parte del ricorrente” in quanto “nel caso di specie non si tratta di una nuova ed ulteriore veicolazione della vecchia notizia, ma del medesimo articolo, esaminabile, non già perchè nuovamente ripubblicato ovvero citato in un diverso articolo di stampa pubblicato su un numero corrente del (OMISSIS), ma solo attraverso l’accesso all’archivio del giornale, quale componente dell’archivio stesso”.

Ancora, allorquando esso rileva “l’intrinseca contraddittorietà logica sussistente tra la richiesta applicazione del diritto ad essere dimenticato e l’ineludibile funzione – espressione della stessa ragione d’essere di una emeroteca – di offrire memoria storica delle vicende salienti di un’epoca, attraverso documenti redatti esercitando il diritto di cronaca giornalistica, non comprimibile, se non nei limiti di legge”. Ritiene non sostenibile “che ad ogni accesso ad un archivio storico corrisponda una nuova pubblicazione a mezzo stampa della notizia… non potendosi far discendere dalle concrete modalità di accesso alla fonte storica una differente autonoma valenza della stessa”. Sottolinea che la “medesima difesa stigmatizzava inoltre che, digitando il nome del proprio assistito su Google, sulla schermata usciva in prima posizione proprio l’articolo censurato, privo di indicazioni sui favorevoli sviluppi della vicenda giudiziaria che lo aveva colpito”. Esclude che dal “mancato aggiornamento” delle notizie a suo tempo pubblicate possa all’interessato derivare l'”ingiustificata lesione all’onore e alla reputazione”. Osserva che “non potrebbe apportarsi l’aggiornamento richiesto mediante l’inserimento di una sorta di sequel nell’articolo contenuto in archivio” in quanto “l’alterazione del testo farebbe venir meno il valore di documento del testo stesso, vanificandone così la funzione storico-documentaristica”. Afferma non sussistere “alcuna fonte normativa fondante in capo all’autore – ovvero all’editore – un onere di aggiornamento delle notizie negative pubblicate a carico di un determinato soggetto, nemmeno per quanto specificamente riguarda le notizie di cronaca giudiziaria”. Sostiene che la “richiesta di condannare parte resistente all’inserimento di un banner, sorta di bandierina che richiami a lato dell’articolo d’archivio un diverso documento da cui emerga l’esito positivo dei processi celebrati a carico del M…. è una richiesta che dovrebbe eventualmente essere rivolta non a parte resistente, ma alla società responsabile del motore di ricerca, cui competono la scelta e l’eventuale modifica dei criteri di risposta alle stringhe di ricerca digitale dall’utente”. Perviene ad escludere la configurabilità in capo al M. dell'”invocato diritto all’oblio”, essendo il medesimo “soggetto che svolge attività di rilievo pubblico, contiguo ad ambienti politico imprenditoriale, tanto da risultare provato per sua espressa ammissione in sede di udienza di essere stato indicato quale possibile candidato politico in una delle ultime tornate elettorali”, nonchè “uno dei candidati in pectore per cariche, seppur non politiche di rilievo pubblico”, nella ravvisata sussistenza di “un persistente interesse pubblico all’apprendimento di notizie relative alla storia personale, anche giudiziaria, dell’interessato”.

Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione, con rinvio al Tribunale di Milano che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame, facendo applicazione dei seguenti principi:

– Il sistema introdotto con il D.Lgs. n. 196 del 2003, informato al prioritario rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e della dignità della persona (e in particolare della riservatezza e del diritto alla protezione dei dati personali nonchè dell’identità personale o morale del soggetto cui gli stessi pertengono), è caratterizzato dalla necessaria rispondenza del trattamento dei dati personali a criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza allo scopo (quest’ultimo costituendo un vero e proprio limite intrinseco del trattamento lecito dei dati personali), che trova riscontro nella compartecipazione dell’interessato nell’utilizzazione dei propri dati personali, a quest’ultimo spettando il diritto di conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonchè di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorchè pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, ovvero la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7), a tutela della proiezione dinamica dei propri dati personali e del rispetto della propria attuale identità personale o morale.

– Anche in caso di memorizzazione nella rete internet, mero deposito di archivi dei singoli utenti che accedono alla rete e cioè dei titolari dei siti costituenti la fonte dell’informazione (c.d. siti sorgente), deve riconoscersi al soggetto cui pertengono i dati personali oggetto di trattamento ivi contenuti il diritto all’oblio, e cioè al relativo controllo a tutela della propria immagine sociale, che anche quando trattasi di notizia vera, e a fortiori se di cronaca, può tradursi nella pretesa alla contestualizzazione e aggiornamento dei medesimi, e se del caso, avuto riguardo alla finalità della conservazione nell’archivio e all’interesse che la sottende, financo alla relativa cancellazione.

– In ipotesi, come nella specie, di trasferimento D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 11, comma 1, lett. b), di notizia già di cronaca (nel caso, relativa a vicenda giudiziaria di personaggio politico) nel proprio archivio storico, il titolare dell’organo di informazione (nel caso, la società Rcs Quotidiani s.p.a.) che avvalendosi di un motore di ricerca (nel caso, Google) memorizza la medesima anche nella rete internet è tenuto ad osservare i criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza dell’informazione, avuto riguardo alla finalità che ne consente il lecito trattamento, nonchè a garantire la contestualizzazione e l’aggiornamento della notizia già di cronaca oggetto di informazione e di trattamento, a tutela del diritto del soggetto cui i dati pertengono alla propria identità personale o morale nella sua proiezione sociale, nonchè a salvaguardia del diritto del cittadino utente di ricevere una completa e corretta informazione, non essendo al riguardo sufficiente la mera generica possibilità di rinvenire all’interno del “mare di internet” ulteriori notizie concernenti il caso di specie, ma richiedendosi, atteso il ravvisato persistente interesse pubblico alla conoscenza della notizia in argomento, la predisposizione di sistema idoneo a segnalare (nel corpo o a margine) la sussistenza di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso sia stato (nel caso, dei termini della intervenuta relativa definizione in via giudiziaria), consentendone il rapido ed agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo adeguato approfondimento, giusta modalità operative stabilite, in mancanza di accordo tra le parti, dal giudice di merito.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione al Tribunale di Milano, in diversa composizione.

 

 

 

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