La conciliazione, la carta costituzionale e la prassi… (M. Giarrizzo)

 

LA CONCILIAZIONE, LA CARTA COSTITUZIONALE E LA PRASSI…

Commento a ordinanza del Tribunale di Varese, sez. I civile del 09/11/2012.

 

Mauro Giarrizzo

 

 

C’era una volta un Paese che, scrollatosi l’era fascista, si diede regole certe e rigide, con la Carta Costituzionale.

La Costituzione Italiana, “GrundNorm[1]” per taluni, carta di ragionevolezza per la tutela del bilanciamento dei valori per altri[2],  è (e resta) una delle più meravigliose Costituzioni del mondo,  D.N.A. della stessa Italia Repubblicana.

Essa, è  tutela dei diritti (positivi e negativi)[3] a difesa dei valori dallo e dello Stato.

Difesa che <<…si dimostra ancora più marcata nell’applicazione ai singoli problemi della dottrina del diritto dello Stato.[4]>>

E’ il concetto di “Costituzione[5]” e di “diritto costituzionale[6]”che occorre tenere in mente per pesare[7] il valore di una norma che sia non costituzionale.

La Costituzione, per i grandi Pensatori[8], è <<l’ordinamento giuridico dello Stato[9].>>

Solo con tale dottrina del diritto, si può comprendere la fondamentale distinzione tra <<Integrazione, diritto e amministrazione[10].>>

Premesso ciò, appare molto curioso il comunicato stampa della Corte Costituzionale, organo indefettibile di una Italia Repubblicana, che  testualmente recita:<<Mediazione  civile-   La Corte Costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione.  – dal Palazzo della Consulta,24 ottobre 2012[11]”.

La curiosità resta  per il fatto che nell’ordinamento italiano, le norme espunte dalla medesima Corte Costituzionale, devono avere la declaratoria di incostituzionalità con motivazione in fatto e in diritto. Motivazione che viene depositata presso la Cancelleria dell’Organo Costituzionale, come disposto dalle norme che resistono ad ogni variazione legislativa, (legge n. 87/53[12]).

Prassi o pressione delle lobbies, (alias corporazioni che di diritto furono soppresse con decreto luogotenenziale del 1945[13]), che, a tutt’oggi, hanno  un peso specifico in taluni ambienti.

Il comunicato stampa della Corte Costituzionale,  momento di massima libertà di manifestazione del pensiero dei magistrati[14], come da sentenza della medesima Corte n.  100/1981[15],   non può assurgere a una declaratoria di illegittimità costituzionale. Declaratoria disposta dalla legge 87/53 che prescrive il deposito presso la Cancelleria della stessa Corte, con motivazioni in fatto e diritto.

Se così può essere ipotizzato, (un comunicato stampa che espunge norme incostituzionali dal sistema giuridico), i grandi  liberali quali Vittorio Emanuele Orlando[16] non hanno lasciato nulla d’insegnamento.

E il popolo sovrano che deve avere risposte chiare e concise, resta sgomento dal fatto che i Giudici, soggetti solo alla legge, si trovano in grave difficoltà nel dover interpretare un comunicato stampa.

E’ il caso del Giudice del Tribunale di Varese, Sez. I Civile[17], che pur dovendo decidere su un caso concreto, ha trovato una soluzione garantista per le parti ma non per le regole precostituite.

Il Tribunale di Varese, pur avendo appreso del comunicato stampa della Corte Costituzionale, ed avendo dato conto dell’inefficacia, nel sistema giuridico italiano, dello stesso comunicato stampa, ha ordinato la cosiddetta “mediazione delegata”.

Ma se la norma incriminata di illegittimità costituzionale, non era espunta dall’ordinamento, che a mezzo di comunicato stampa,  perché la mediazione delegata?  Non appariva obbligatoria la conciliazione disposta dal Decreto legislativo 28/2010, art. 5, c. 1, ancora, alla data dell’Ordinanza del Tribunale di Varese, in vigore?

Dunque, anche i comunicati stampa, libertà di manifestazione del pensiero della Corte Costituzionale, assurgono non di diritto ma di fatto a espulsioni di norme volute dal Legislatore Ordinario.

L’inferenza dello stesso comunicato stampa di un Organo di chiusura e garanzia della Costituzione, quale la Corte Costituzionale, rileva, dunque,  per le decisioni dei Giudici ordinari.

E i diritti? Ma <<Che cosa significa avere un diritto? Questa espressione ingannevolmente semplice è in realtà un enunciato impegnativo di cui conviene esplicitare alcune valenze. Avere un diritto significa pretendere legittimamente qualcosa. E’ la pretesa di qualcuno (di un individuo, di un gruppo) a che altri soggetti facciano o non facciano qualcosa nei suoi confronti. Non è una pretesa arbitraria e immotivata: è una pretesa che accompagna ragioni e argomenti, che si vuole “giusta”, “legittima”, “ fondata”: è una pretesa che coinvolge il comportamento di altri soggetti e presuppone (ed esprime a sua volta) una condivisa distribuzione degli oneri e dei privilegi[18].>>

E, dal punto di vista del rito civile, qual è da differenza tra la conciliazione delegata, disposta dall’art. 5 decreto legislativo 28/2010 e quella che lo stesso codice propone all’art. 185[19] c.p.c.

Il 1° comma, del suddetto articolo, dispone che il giudice istruttore, in caso di richiesta congiunta delle parti, invia al tentativo di conciliazione.

Il 2° comma, detto articolo, dichiara che il tentativo può essere rinnovato in qualunque momento dell’istruttoria.

Dall’art. 185 c.p.c.,  si ricava un principio importante: è la volontà delle parti, manifestata con impulso, cioè proposta con istanza congiunta, a poter far aprire il tentativo di conciliazione.

Il  tentativo di conciliazione, disposto dall’art. 185 c.p.c., lascia il giudice quale parte terza e imparziale.

La conciliazione delegata disposta dal comma 2° dell’art. 5 del decreto legislativo 28/2010, pone il giudice, che <<valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti,>> (così dispone la norma), nella condizione di  supremazia  tra le parti, invadendo, in modo immanente, la stessa volontà di poter scegliere.

La differenza sostanziale, (volontà manifestata dalle parti – art. 185 c.p.c. – e imposizione disposta dal giudice alla quale le parti possono anche non aderire – art. 5, comma 2°  D. Lgs 28/2010),   enunciata dalle norme in commento fanno vacillare la libera volontà delle parti,  alla quale il processo civile mira.

Dunque…oneri e privilegi sociali (poter scegliere tra libera volontà e imposizione) si infrangono e vacillano. Diritti che sotto la scure del sistema giudiziario, collassato dalla tanta polvere accumulata nel tempo, con buona pace per le garanzie della Costituzione.

La norma della conciliazione delegata, che avere una architettura ragionevole per lo smaltimento dell’arretrato giudiziario in sintonia con il 1° comma dell’articolo 5 del decreto legislativo 28/2010, non ha motivo di esistere nello stesso sistema stante le tante pronunce della medesima Corte Costituzionale che ha dichiarato che i diritto non possono essere compressi dallo stesso Stato (sentenza n. 530/89 richiamata dalla sentenza 15/91)[20].

 

 

 


[1] H. KESEN – U. CAMPAGNOLA, Diritto internazionale e Stato  sovrano, Milano 1999.

[2] L.  D’ANDREA, Ragionevolezza e legittimazione del sistema, Milano 2005.

[3] T. MARTINES, Diritto costituzionale, Milano 2005.

[4] H. KESEN, Lo stato come integrazione, Milano 2001, pag. 96.

[5] H. KESEN, op. cit., pag. 96

[6] H. KESEN, op. cit., pag. 96

[7] Termine caro a L. D’ANDREA, op. cit.

[8] Mi riferisco a SMEND, KELSEN, MARTINES, V.E. ORLANDO, per citarne solo alcuni.

[9] H. KESEN, Lo stato come integrazione, Milano 2001, pag. 96

[10] H. KESEN, Lo stato come integrazione, Milano 2001, pag. 96.

[12] Pubblicata sulla GURI n. 62 del 14-3-1953

[13]Vedasi il  Regio Decreto Luogotenenziale  9 agosto 1943, n. 721.

[14] A. PIZZORUSSO –R. ROMBOLI – A. RUGERI – A.SAITTA – G. SILVESTRI, Libertà di manifestazione del pensiero e giustizia costituzionale, Milano 2005.

[16] Sulla caduta del fascismo a causa di V.E. Orlando, mi sia consentito il rinvio a M. GIARRIZZO, La legislazione italiana nel Regno d’Italia e la provincia di Noto, Avola 2012.

[17] Il caso.it – Pubbl. 12/11/2012.

[18] P. COSTA,  Diritti,  pag. 37, in M. FIORAVANTI (a cura di), Lo Stato moderno in Europa – Istituzioni e diritto, Bari 2005.

[19] Di majo

 

 

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