Il patto di prelazione e relativi vincoli di obbligazione (I. Maione)

 

IL PATTO DI PRELAZIONE E RELATIVI VINCOLI DI OBBLIGAZIONE

Imma Maione

 

Il codice civile non regolamenta la prelazione volontaria, che si ha quando un soggetto (c.d. promittente o concedente) promette ad un altro (c.d.prelazionario) di preferirlo, a parità di condizioni, rispetto a terzi qualora in futuro decida di addivenire ad una certa contrattazione, ad esempio la vendita della propria abitazione. La promessa può essere gratuita od onerosa ed avrà allora la struttura contrattuale, mentre il vincolo attiene solo alla scelta del contraente a parità di condizioni[1].

Dal punto di vista della natura giuridica, secondo un recente orientamento giurisprudenziale, dal patto di prelazione non nasce per il promittente un obbligo a contrarre ma nascono due obblighi diversi: il primo, a carattere positivo (facere), di rendere nota al prelazionario l’intenzione di concludere il contratto a certe condizioni (c.d. denuntiatio) ed il secondo, a carattere negativo (non facere), di non stipulare il contratto stesso con terzi prima o in pendenza della denuntiatio[2]. La denuntiatio  può, pertanto, essere definita come una dichiarazione con la quale, in virtù di un patto di prelazione, l’obbligato, intenzionato a concludere con un terzo il contratto oggetto di prelazione, comunica al prelazionario le condizioni di tale accordo, invitandolo, altresì, ad esercitare il proprio diritto nel termine predefinito[3].

Viceversa, un recessivo seppur autorevole filone dottrinario ritiene che la denuntiatio si concretizzi  in una vera e propria proposta contrattuale, contenente gli elementi essenziali del futuro contratto[4], in quanto solo in questo modo il promissario potrebbe procedere ad una adeguata valutazione della convenienza a valersi del proprio diritto. Secondo questa impostazione, peraltro, sarebbe sufficiente, ai fini della conclusione del contratto oggetto di prelazione, l’accettazione della proposta contenuta nella denuntiatio da parte del prelazionario.

Segnatamemente, in linea con detta impostazione,  si rileva che il patto di prelazione, ad esempio di vendita, sarebbe, pertanto, un contratto preliminare unilaterale, con contenuto per relationem, purchè il promittente decida di vendere e quindi subordinato condizionatamente a tale volontà (si volam)[5].

Di pari avviso sembrerebbe anche la Corte di Cassazione, che ha sottolineato come «…la concretezza e serietà della denuntiatio (…) deve essere tale che la comunicazione del promittente integri una completa proposta contrattuale e che l’esercizio della prelazione si sostanzi nell’accettazione di tale proposta» [6], di fatto semplificando i problemi connessi alla conclusione del contratto.

Secondo un’altra più recente teoria la denuntiatio può anche contenere una proposta, peraltro revocabile, ma di regola essa è solo un invito ad offrire[7], atto non formale di adempimento di un obbligo di comunicazione delle condizioni per la vendita offerte dai terzi o comunque fissate dallo stesso concedente, unitamente ad un congruo termine per deliberare.

Ciò posto, considerando la denuntiatio come mera comunicazione, l’obbligato compirebbe, tramite la dichiarazione, «un atto giuridico di accertamento delle intenzioni di controparte» . In tal caso, la dichiarazione positiva del beneficiario non integrerebbe un’accettazione, cosicché ai fini della conclusione del contratto si renderebbe necessaria un’ulteriore scambio di volontà.

Ad ogni modo, alla luce di tali posizioni giuridiche, entrambe sostenute da argomentazioni di pregio, nonché in virtù delle variegate caratteristiche del patto di prelazione ed in mancanza di una regolamentazione (ad eccezione di quella prevista per le prelazioni legali), non è possibile qualificare la denuntiatio né come proposta contrattuale né, tanto meno, come mera comunicazione; pertanto, ogni valutazione andrà effettuata partendo dal caso concreto ovvero dalla volontà delle parti .

Del resto, chiarito il punto della qualificazione di tale dichiarazione, con riferimento alla forma, bisogna operare una distinzione, a seconda di quanto stabilito dalle parti: nel caso di denuntiatio-proposta, la dottrina e la giurisprudenza richiedono la stessa forma prescritta per il contratto che si perfezionerà con l’accettazione dell’avente diritto alla prelazione[8]. Nel caso, invece, in cui la denuntiatio sia una mera comunicazione, vi è  concordia nel sostenere il principio della libertà di forma.

A tal riguardo giova, peraltro, osservare che le suindicate impostazioni, entrambe condivisibili, devono essere coordinate con quanto eventualmente previsto dalle parti, le quali, infatti, potrebbero anche aver previsto una forma particolare per la denuntiatio. A tal proposito la giurisprudenza ha affermato che la denutiatio debba essere comunque «effettuata con idonei mezzi atti allo scopo della legge, cioè quello di provocare l’eventuale esercizio del diritto di prelazione»[9] .

Si discute, infine, circa la validità ed efficacia della denuntiatio, se sia di natura obbligatoria ovvero reale, come accade per i patti di prelazione inseriti negli statuti societari, nonché per i casi tassativi di prelazione legale (nei quali il legislatore ha generalmente previsto il rimedio del «riscatto»).

Ebbene, l’orientamento prevalente in dottrina e in giurisprudenza è concorde nel ritenere che alla prelazione volontaria debba essere riconosciuta un’efficacia meramente obbligatoria[10]. Sulla base di tali affermazioni, il Supremo Collegio giunge, difatti, a ritenere che la prelazione convenzionale, analogamente a quella legale, non ha natura reale ma obbligatoria e, non essendo riconducibile alla promessa di stipulare, é insuscettibile di esecuzione coattiva; inoltre, stante l’efficacia obbligatoria della stessa, il mancato esercizio del diritto di prelazione non comporta la nullità degli atti compiuti e dei negozi posti in essere ma dà diritto soltanto al risarcimento del danno.

Il che significa che, tale efficacia non può essere superata nemmeno invocando la possibilità di trascrivere (almeno per la prelazione nella vendita di beni immobili o mobili iscritti nei pubblici registri) i suddetti patti, dal momento che il nostro ordinamento, agli artt. 2643 e 2645 c.c., riconosce solo una serie tassativa di atti soggetti a trascrizione, tra i quali, appunto, non rientrano le prelazioni volontarie. Da quanto detto ne deriva che anche nel caso in cui tale patto venisse trascritto, non si potrebbe riconoscere alcuna rilevanza giuridica a tale trascrizione, che potrebbe qualificarsi al più quale forma di pubblicità notizia, rimanendo l’efficacia del patto di prelazione trascritto puramente obbligatoria[11].

Ne consegue che, in caso di inadempimento del promittente, il patto di prelazione ne comporta unicamente la responsabilità per danni, non essendo suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c. c., in quanto il bene oggetto della pattuita prelazione non può essere né trasferito al promissario del disponente che lo ha ormai alienato, né restituito dal terzo acquirente.

Sul punto, la Suprema Corte ha chiarito che «la sentenza prevista dall’art. 2932 Codice civile ha solo il compito di produrre gli effetti di un contratto già puntualmente programmato e non concluso dalle parti che si erano obbligate a stipularlo, ma certo non conferisce al giudice il potere di disporre d’autorità dei loro diritti, ovviando di suo arbitrio alla mancanza o alle lacune del programma negoziale, la cui determinazione rientra nell’esclusivo dominio dell’autonomia contrattuale (art. 1321 e 1322 Codice civile), onde in nessun caso può farsi luogo a pronunzia costitutiva quando sia necessaria, e difetti, una manifestazione di volontà strettamente riservata al privato»[12].

Giova sottolineare, altresì, che l’unica eccezione è costituita dalla prelazione che può essere prevista negli atti costitutivi e statuti delle società di capitali in favore dei soci per la vendita delle azioni (art.2355 bis c.c.) o di quote (art.2469 c.c.). Per quanto concerne le clausole di prelazione nella cessione di quote o azioni societarie (in base alle quali è prevista l’imposizione al socio che voglia alienare in tutto o in parte le proprie azioni/quote, di un obbligo di offrirle preventivamente a soggetti determinati o determinabili, ai quali è attribuita, di conseguenza, la facoltà di acquistarle secondo le modalità ed al prezzo preventivamente stabiliti), si deve operare, in particolare, una distinzione tra clausole contenute nello statuto o nell’atto costitutivo e quelle contenute nei c.d. patti parasociali, ossia oggetto unicamente di accordo tra i soci[13]. Nel primo caso, nonostante qualche voce contrastante, è riconosciuta l’efficacia reale delle clausole di prelazione, in virtù di un duplice ordine di motivi: in primis, grazie alla pubblicità ed alla conseguente conoscibilità delle suddette clausole; in secondo luogo, anche per il loro carattere organizzativo della società stessa e, pertanto, non meramente individuale[14].

Nel caso, invece, di prelazione contenuta in patti parasociali risultanti da un documento autonomo, producendo effetto solamente tra le parti contraenti al pari di qualsiasi contratto, è riconosciuta un’efficacia meramente obbligatoria: pertanto, in caso di violazione della prelazione stessa, il promissario potrà agire unicamente per il risarcimento dei danni nei confronti del socio inadempiente.

Ebbene, anche nella prelazione societaria, sia di fronte ad un rimedio di tipo reale (riscatto) previsto per la violazione del patto di prelazione statutaria, sia di fronte ad un rimedio di tipo obbligatorio (risarcimento dei danni) previsto per la violazione di meri patti parasociali, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti hanno escluso la possibilità di ricorrere al rimedio coercitivo di cui all’art. 2932 Codice civile[15] .

 

 

 


[1] Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009, 892 ss.

[2] Cassazione, n.10435/2002.

[3] P.Duvia, La denuntiatio nella prelazione volontaria, Milano, 2005.

[4] Catricalà, voce Patto di preferenza, in Enc.dir. XXXII, Milano, 1982.

[5] Cassazione, n.4116/1986.

[6] Cass., n.1407/1981.

[7] G.Gabrielli, Prelazione, EG, XXIII, 5.

[8] Sacco – De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2001, 499.

[9] Trib.Trani, 15 marzo 2002.

[10] Cassazione, n.19928/2008.

[11] Cass. 13 maggio 1982, n. 3009, in Giust. civ., 1982, I, 3085 ss., la quale afferma che «il patto di prelazione ha natura obbligatoria e di conseguenza non è soggetto a trascrizione. Tale patto, infatti, non inerisce, pur nell’ipotesi di vendita di un immobile, sulla cosa, né impegna il promittente a concludere il contratto, ma solo a preferire coeteris paribus il promissorio se si deciderà a compierlo».

[12] Cass. 23 gennaio 1975, n. 265, cit. Cfr. anche Cass. 12 aprile 1969, n. 1170, in Foro it., 1969, I, 2252.

[13] Bianca, Diritto Civile, III, Il contratto, 275.

[14] G. Vettori, L’efficacia della prelazione societaria, in Prelazione e gradimento nella circolazione di partecipazioni sociali, a cura di C. Granelli e G. Vettori, Padova, 1997, 20 ss.

[15] G. Di Rosa, La prelazione legale e volontaria, in I contratti in generale, III, 231-232.

 

 

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