ARTICOLO – IPOTESI DI NULLITA’ DEI CONTRATTI DI LOCAZIONE AD USO ABITATIVO ALLA LUCE DEGLI ULTIMI INTERVENTI GIURISPRUDENZIALI (Cass. Civ., Sez. Un., 17 settembre 2015, n. 18214; Cass. Civ., Sez. Un., 17 settembre 2015, n. 18213)
Partendo dalla definizione del negozio oggetto di analisi, si osserva che il contratto di locazione (o contratto di affitto) è il contratto con il quale un soggetto, detto locatore, si impegna a garantire il godimento di un bene a favore di un altro soggetto, detto locatario o conduttore, qualora il bene concesso in uso consista in una abitazione o altro bene immobile, il quale a sua volta è tenuto a versare periodicamente un determinato corrispettivo, detto canone, nonché a restituire nei tempi prestabiliti la cosa ricevuta in uso, avendo cura di restituirla nel medesimo stato in cui gli fu consegnata.
La locazione è un contratto di natura consensuale; il che significa che per la sua conclusione, formalmente, è sufficiente il semplice scambio reciproco della manifestazione di consenso delle parti, in ordine alla cessione in godimento di un bene mobile o immobile che sia. L’effettiva consegna del bene oggetto del contratto non è mai un elemento essenziale per il perfezionamento del contratto, che, quindi, già per il fatto dell’espressione del reciproco consenso delle parti è da intendersi valido; la consegna del bene è l’obbligazione principale che il locatore deve adempiere.
In tale contesto, occorre, tuttavia, rilevare che la regola generale imposta dal legislatore per i contratti di locazione ad uso abitativo, ai sensi dell’art.1 co.4 ex L.n.431/1998, è che “a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la stipula di validi contratti di locazione e’ richiesta la forma scritta”.
Ne deriva che la citata forma scritta, derogando al principio della libertà autonomia contrattuale, assume i profili funzionali di certezza dei rapporti giuridici da esso originati, indicando il relativo canone pattuito e garantendo la pubblicità del rapporto, onde contrastare l’evasione fiscale. A tal proposito, valga notare che il requisito della forma scritta non risponde soltanto all’esigenza di proteggere il conduttore, garantendo la stabilità del rapporto di locazione, ma risponde anche a scopi di natura superindividuale.
Ciò posto, occorre osservare fin da subito che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, la surriferita forma scritta del contratto di locazione sia richiesta ad substantiam, dovendosi leggere la norma in combinato disposto con l’art. 1418 c.c., mentre su altro versante si attesta una giurisprudenza minoritaria che, in mancanza di una espressa previsione della sanzione della nullità, ritiene che la forma scritta sia prevista ad probationem.
Ciò premesso, va detto che la fattispecie in esame è stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sentenza del 17 settembre 2015, n. 18214, ha sul punto statuito che sia necessaria la forma scritta ad substantiam, al fine di ottenere la validità del contratto di locazione, limitando, tuttavia, la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore, a titolo di nullità speciale di protezione, nella specifica ipotesi di abuso del locatore, allorquando si accerti che il proprietario – locatore si sia opposto alla scrittura del relativo contratto di locazione.
A tale conclusione deve pervenirsi, innanzitutto, sulla base di una interpretazione letterale della disposizione di cui alla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 5, che limita all’elemento caratterizzante, costituito dall'”abuso” del locatore, la necessità di un riequilibrio del rapporto mediante l’introduzione di un’ipotesi di nullità relativa, prevedendo all’uopo che “nei casi di nullita’ di cui al comma 4 “il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, puo’ richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore puo’ altresi’ richiedere, con azione proponibile dinanzi al pretore, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2. Tale azione e’ altresi’ consentita nei casi in cui il locatore ha preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 4, e nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il pretore determina il canone dovuto, ai sensi della presente legge”.
Dalla lettura del suindicato disposto normativo, si desume, pertanto, che la norma operi un espresso riferimento all’art.1, comma 4, ossia all’ipotesi di un contratto nullo per mancanza di forma scritta, che abbia dato luogo ad un rapporto di locazione di fatto.
Peraltro, in deroga al principio generale della insanabilità del contratto nullo, il surriferito art.13, co.5, riconosce al conduttore la possibilità di esperire una specifica azione finalizzata alla sanatoria del rapporto contrattuale di fatto venutosi a costituire, ma proprio il carattere eccezionale della norma, che deroga alla insanabilità del contratto nullo, ne impone un’interpretazione strettamente letterale.
In generale, difatti, il legislatore stabilisce che il contratto nullo non possa essere convalidato (art.1423 c.c.), e allorquando si tratti di nullità relative, attinenti singole clausole, esse non rendono nullo il contratto, se le citate clausole sono sostituite di diritto da norme imperative.
A titolo esemplificativo, occorre osservare che, ai sensi degli art.33 e ss. del d.lgs.n.206/2005 (Codice del consumo), si stabilisce che nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, nell’ipotesi in cui si accetta la sottoposizione a condizioni contrattuali in assenza di integrale conoscenza delle qualità del bene o servizio prestato dal professionista; le suddette clausole sono dichiarate, pertanto, nulle mentre il contratto rimane valido per il resto.
Nel caso del contratto di locazione nullo, per abuso di diritto del proprietario locatore, al contrario, non può ravvisarsi un collegamento tra il requisito di forma scritta del contratto di locazione ed obblighi di natura informativa (come avviene tra il consumatore ed il professionista), in quanto non vi sono particolari rischi connessi allo svolgimento del contratto e non è dato riscontrare quello squilibrio informativo che tipicamente caratterizza le relazioni che intercorrono tra contraenti deboli e contraenti professionali.
In definitiva, queste considerazioni consentono di escludere, pur in presenza di una generale intentio legis di tutela del conduttore, la possibilità di applicazione analogica delle norme che prevedono nullità relative.
In concreto, ciò che conta nel caso de quo è che il locatore sfrutti l’ontologica asimmetria negoziale che contraddistingue la sua posizione, ponendo in essere una inaccettabile pressione sul conduttore (una sorta di violenza morale), al fine di costringerlo a stipulare il contratto in forma verbale.
Sotto un diverso ma connesso profilo, si rileva che altra questione lungamente dibattuta in giurisprudenza attiene alla ipotesi della validità di un contratto di locazione registrato per un canone inferiore al reale.
La soluzione offerta dalla recente sentenza della Cass. Civ., Sez. Un., 17 settembre 2015, n. 18213 prevede che, nel caso di specie, si tratti di un procedimento simulatorio in forza del quale si stipula un unico contratto di locazione (registrato), cui accede, in guisa di controdichiarazione, la scrittura (coeva alla locazione, e redatta in forma contrattuale), con cui il locatore prevede di esigere un corrispettivo maggiore da occultare al fisco.
La sostituzione, attraverso il contenuto della controdichiarazione, dell’oggetto apparente (il prezzo fittizio) con quello reale (il canone effettivamente convenuto) contrasta con la norma imperativa che tale sostituzione impedisce, e pertanto lascia integra la (unica) convenzione negoziale originaria, oggetto di registrazione.
Lungo tale direttrice si prendono, così, le distanze dai diversi casi di nullità per simulazione, come contemplati dall’art.13 l.n.43171998, co.1 e 2, secondo cui “E’ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. Nei casi di nullita’ di cui al comma 1 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, puo’ chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato”.
Nel caso di cui trattasi, difatti, si realizza una sorta di simulazione relativa oggettiva parziale, e la si può scomporre secondo le seguenti modalità: a) parte locatrice e parte conduttrice convengono, con accordo simulatorio, di stipulare un contratto di locazione indicando, in seno ad esso – destinato alla registrazione – un canone inferiore a quello realmente pattuito; b) le parti redigono materialmente un contratto di locazione contenente l’indicazione di tale canone fittizio; c) le stesse parti, con controdichiarazione scritta (coeva alla stipula), convengono che il canone indicato nel contratto registrato deve essere modificato in aumento, secondo quanto indicato nella controdichiarazione stessa, avendo il locatore manifestato il proprio intento di frodare il fisco.
Ne deriva, pertanto, che l’atto negoziale avente funzione contro-dichiarativa, inserita nell’ambito del procedimento simulatorio, risulta, come già detto, insanabilmente affetto da nullità per contrarietà a norma imperativa, risultando la causa concreta di tale patto ineluttabilmente caratterizzata dalla vietata finalità di elusione fiscale.
Soltanto un nuovo accordo (del tutto teorico) di tipo novativo rispetto al precedente contratto scritto e registrato consentirà, pertanto, alle parti di modificare il precedente assetto negoziale, con conseguente, relativo assoggettamento alla corrispondente imposizione fiscale.
Avv.to Maione Immacolata