Diffamazione via facebook e twitter fra Italia e Spagna (dott.ssa C. Pezza)

 

DIFFAMAZIONE VIA FACEBOOK E TWITTER FRA ITALIA E SPAGNA

 

            La diffusione delle informazioni nel contesto contemporaneo viaggia ad una velocità sempre più elevata attraverso i social media: facebook, twitter, instagram stanno cambiando repentinamente il modo di comunicare e la rapidità del flusso di dati.

            Di conseguenza anche la legislazione e le corti di giustizia devono adeguarsi alle nuove tecnologie, e monitorare con attenzione il loro utilizzo al fine di evitare abusi sia in relazione all’ambito civile (diritto alla privacy, tutela del lavoro) che sotto il profilo penalistico. Da quest’ultimo punto di vista, la giurisprudenza ha avuto occasione di analizzare le problematiche emerse nell’utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione anche in relazione al reato di diffamazione e di diffamazione a mezzo stampa.

            Nel nostro ordinamento tali fattispecie sono regolate  ex articoli 595 e 596 del codice penale.

L’art. 595 c.p. stabilisce che “chiunque, al di fuori dei casi di cui all’art. 594 c.p., comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino ad € 1.032,00. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino ad € 2.065,00. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altra forma di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad € 516,00”. L’art. 596-bis c.p. dispone, inoltre, che “se il delitto è commesso col mezzo della stampa lo stesso trattamento sanzionatorio, diminuito in misura non eccedente un terzo, è applicato al direttore o vicedirettore responsabile, all’editore ed allo stampatore, in quanto tenuti ad esercitare sul contenuto del periodico il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati”.

            La diffamazione costituisce un reato istantaneo, che si consuma con la comunicazione con più persone; tale comunicazione deve essere lesiva della reputazione del soggetto passivo, in quanto la reputazione costituisce il bene giuridico tutelato dalla disposizione de qua; il diffamato può non essere identificabile nominativamente, purchè sia in ogni caso individuabile con una certa semplicità;  non è richiesto l’animus diffamandi, essendo sotto il profilo soggettivo sufficiente il dolo generico.

 

La posizione italiana e la diffamazione a mezzo Facebook

            Punto di snodo della questione deriva dalla mancata regolamentazione legislativa dell’ipotesi di diffamazione attraverso internet o social network, con la conseguenza che è stata la giurisprudenza di legittimità a specificare come sia il delitto di ingiuria che quello di diffamazione possano essere integrati sia mediante l’utilizzo di internet che via facebook.

            Ex plurimis, in relazione al momento consumativo del reato, la consumazione avviene nel momento della percezione del messaggio, anche ad opera di soggetti terzi rispetto al diffamante ed al diffamato (sezione quinta penale, corte di Cassazione n. 4741/2000).

            La giurisprudenza ha analizzato inoltre le problematiche derivanti dalla diffusione mediante posta elettronica. Con la sentenza del 19/02/2013, n. 8011, la corte di Cassazione si è espressa nel senso della sussistenza della comunicazione con più persone (necessaria per integrare il reato) anche qualora le espressioni diffamatorie, comunicate ad un unico interlocutore, siano destinate ad essere riferite ad almeno un’ulteriore persona, che  poi ne venga a conoscenza in concreto.

            Nel 2014, da ultimo, la Cassazione ha preso posizione riguardo la pubblicazione di post diffamatori sul profilo facebook, spostando quindi l’attenzione dal web nella sua interezza (articoli, commenti, blog, posta elettronica) al mondo dei social network.

            Già con la sentenza n. 37596/2014 la prima sezione penale della suprema corte aveva chiarito la natura di “luogo aperto al pubblico” della bacheca di facebook, ai fini della realizzazione del reato di molestia o disturbo delle persone ex art. 660 c.p.

            In relazione al reato di diffamazione, nello specifico, con la pronuncia della corte di Cassazione n. 6712/2014 viene qualificata come diffamazione aggravata, ex art. 595 comma 3 c.p., la condotta di chi posta commenti dal contenuto offensivo sul proprio account facebook. La suprema corte conferma come scrivendo un post sulla bacheca facebook[1] si realizzino sia la pubblicizzazione che la sua diffusione, a fronte della “idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dal terzo comma dell’art. 595 c.p.p.”, costituendo internet una modalità divulgativa in senso ampio, come tale inquadrabile quale “altro mezzo di pubblicità”.  Anche in questo caso non riveste importanza la mancata indentificazione mediante le generalità del diffamato, essendo il contenuto del post sufficientemente evocativo della persona cui era riferito.

            D’altronde con la pronuncia n. 12428/2014 la quinta sezione penale della Cassazione aveva confermato come, in merito al delitto di diffamazione, non occorre che il soggetto cui l’offesa è diretta venga indicato con nome e cognome, essendo sufficiente che possa individuarsi con facilità e con un ragionevole grado di certezza. Come sancito anche dalla sentenza n. 11660/2012, peraltro, il reato di diffamazione è a dolo generico, compresa la forma del dolo eventuale, richiedendosi per integrarlo la mera accettazione del rischio che si realizzino fatti diffamatori, dei quali ne abbiano conoscenza anche solo due persone.

            Non soltanto l’utilizzo di internet in generale, dunque, ma anche l’uso dei social network a fini denigratori della reputazione di altre persone può integrare l’ipotesi di diffamazione, aggravata ex art. 595, co. 3, c.p. in quanto offesa recata “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, attesa l’ampia diffusione dello strumento scelto per ledere l’onore altrui, a nulla rilevando in concreto che la bacheca del proprio profilo facebook sia in realtà “limitata”, in confronto all’intera rete del world wide web, ad una cerchia più o meno circoscritta di amici e/o conoscenti.

 

L’elaborazione giurisprudenziale spagnola in relazione al diritto all’onore leso via Twitter

            Un caso particolarmente interessante si è verificato in Spagna, dove la Audiencia Provincial[2] di Siviglia ha confermato (08/09/2015) la sentenza del Juzgado de Primera Instancia n. 22 (tribunale di primo grado) del capoluogo andaluso, condannando un avvocato ed imprenditore locale che, mediante twitter, aveva diffuso numerosi messaggi offensivi nei confronti di un giornalista e portavoce di una importante organizzazione non governativa andalusa a tutela dei consumatori.

            Secondo quanto emerge dalla ricostruzione effettuata nella sentenza (inerente le problematiche di natura civile della vicenda[3]) nulla quaestio sulla lesione del diritto all’onore, a fronte di una “reiterata e costante denigrazione dell’onore e della reputazione[4]” della persona offesa, mediante epiteti quali “imbecille” e “corrotto”. A tali esternazioni si erano inoltre accompagnati numerosi interventi, nei quali si accusava il diffamato di aver emesso fatture false per servizi mai prestati, e di aver ottenuto fondi illegalmente nell’esercizio delle sue funzioni. La corte ha ritenuto tali commenti vessatori ed offensivi, soprattutto a fronte della loro reiterazione, considerandoli prova concreta dell’intentenzione di offendere l’altrui onore. Si sottolinea in particolare l’amplissima platea di destinatari dei messaggi denigratori[5], in quanto entrambi i soggetti coinvolti rivestono ruoli di un certo rilievo nella comunità, anche alla luce del fatto che i tweet erano stati in più occasioni indirizzati agli account di alcune fra le più importanti testate giornalistiche del paese.

            Un aspetto di rilievo inerisce la particolarità delle conseguenze sanzionatorie. Oltre a una sanzione pecuniaria infatti il tribunale, in accoglimento delle richieste avanzate, ha ordinato la pubblicazione della sentenza  mediante lo stesso canale che era servito alla divulgazione dell’offesa: per trenta giorni, attraverso l’account twitter del condannato, è stata disposta la quotidiana pubblicazione del dispositivo della sentenza, con la precisazione che non sarebbe potuta avvenire nelle prime ore del mattino – in quanto notorio momento di poco traffico on line – ma in un orario compreso tra le 9:00 e le 14:00, o in alternativa fra le 17:00 e le 22:00.

            Naturalmente è stata prevista la contemporanea cancellazione di tutti i precedenti tweet considerati lesivi della reputazione pubblica della parte offesa.

            La problematica implicita connessa al limite dei 140 caratteri di ogni singolo tweet, come da regole del social network, è stata ritenuta irrilevante, in quanto la condanna può essere postata in più messaggi successivi o attraverso l’utilizzo di una particolare applicazione, già esistente, che permette l’estensione del tweet oltre la lunghezza standard.

            In realtà l’obbligo di pubblicazione a mezzo twitter non costituisce un caso isolato nell’esperienza spagnola.

E’ dell’anno 2012 un precedente intervento del tribunale di Pamplona in cui, riconosciuta natura offensiva agli interventi realizzati mediante l’abuso del proprio profilo twitter, è stata disposta la rimozione di tutti i messaggi diffamatori, nonché la pubblicazione di un tweet specifico, il cui contenuto è stato preparato dalla stessa corte. Il messaggio – in prima persona, in quanto l’account da utilizzare sarebbe stato quello della persona diffamante – recita: “Pubblico questo tweet in assolvimento della sentenza dell’11.10.2012 del Juzgado de Primera Instancia di Pamplona, che statuisce come i tweet che ho pubblicato in data 18.03.2011 ledono l’onore di […omissis…]”.

La corte ha altresì previsto che, qualora il testo fosse risultato troppo lungo, costituisse onere della condannata inviare più messaggi successivi, fino al completamento del dispositivo.

 

Dott.ssa Chiara Pezza


[1]Come noto, la bacheca di un account facebook è visibile a chiunque sia amico di chi posta il commento nonché –  a seconda delle impostazioni della privacy che si siano scelte – anche ad una platea più ampia, come ad esempio gli “amici degli amici”.

[2]La Audiencia Provincial è un organo giurisdizionale di secondo grado del sistema spagnolo, con competenze sia civili che penali, radicata in ogni capoluogo di provincia, territorio sul quale esercita la propria giurisdizione.

[3]Violazione della Ley Organica 1/82 del 5 maggio sulla protezione civile del diritto all’onore, all’intimità ed all’immagine.

[4]Tutte le traduzioni dallo spagnolo sono a cura dell’autrice.

[5]La rete sociale twitter risulterebbe infatti connotata, secondo la corte, da una “evidente trascendenza pubblica”.

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