DIRITTO ALL’OBLIO: QUANDO GOOGLE DEVE CANCELLARE LE NOTIZIE RELATIVE A FATTI DI CRONACA (Avv. Simona Aduasio)
Nota a sentenza Tribunale di Roma del 24.11.2015
Avv. Simona Aduasio
La sentenza del Tribunale di Roma del 24 novembre 2015 ha deciso un caso riguardante il “diritto all’oblio” (o “right to be forgotten”). Si tratta, secondo la definizione datane dalla sentenza della Cassazione n. 5525/2012, del diritto «a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino oramai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati».
Dinanzi al Tribunale di Roma veniva infatti convenuta la società Google Inc. da parte di un soggetto, il quale lamentava la presenza sul motore di ricerca di 14 links risultanti da una ricerca a proprio nome e riportanti una risalente vicenda giudiziaria nella quale era rimasto coinvolto, senza essere condannato.
Il ricorso era pertanto volto ad ottenere da Google la cd. “deindicizzazione”, cioè la rimozione dei links dai risultati del motore di ricerca, nonché la condanna al risarcimento del danno derivante dall’illegittimo trattamento dei dati personali.
La sentenza in commento ripercorre le principali tappe della giurisprudenza europea e nazionale in tema di diritto all’oblio, dopo averlo configurato quale peculiare espressione del diritto alla riservatezza (privacy) e del legittimo interesse di ciascuno a non rimanere indeterminatamente esposto ad una rappresentazione non più attuale della propria persona, derivante dalla reiterata pubblicazione (o dal permanere dell’indicizzazione sui motori di ricerca) di una notizia, con pregiudizio alla propria reputazione e riservatezza.
In particolare, viene richiamata la sentenza sul caso Google Spain pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione del 13 maggio 2014 nella causa C-131/12, sentenza Costeja), che evidenzia come il diritto al trattamento dei dati del soggetto coinvolto sussiste fintanto che, nel giudizio di bilanciamento tra contrapposti interessi, il diritto di cronaca e l’interesse del pubblico alla conoscenza dei fatti acquisibili tramite i links risultino prevalenti sul diritto all’oblio.
Tale giudizio di bilanciamento tiene pertanto conto non solo dei diritti al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati di carattere personale (previsti rispettivamente dagli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), ma altresì della natura dell’informazione contenuta nei links e del suo carattere sensibile per la vita privata della persona interessata, nonché dell’interesse del pubblico a disporre di tale informazione.
Se, invero, generalmente i predetti diritti fondamentali prevalgono sull’interesse del pubblico e anche sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, così non è qualora il soggetto interessato dai links rivesta un ruolo di rilievo pubblico tale da giustificare un’ingerenza negli stessi diritti al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali.
Nel recepire le linee guida predisposte nel 2014 dal Gruppo di lavoro ex art. 29 della Direttiva 95/46/CE (“WP29”) sulla protezione dei dati personali, il Garante Privacy ha evidenziato, nella decisione n. 153 del 12 marzo 2015, che il diritto all’oblio, «anche ove sussista il suo principale elemento costitutivo, ovvero il trascorrere del tempo, incontra un limite quando le informazioni in questione sono riferite al ruolo che l’interessato riveste nella vita pubblica con conseguente prevalenza dell’interesse della collettività ad accedere alle stesse rispetto al diritto dell’interessato alla protezione dei dati».
Sulla scorta della giurisprudenza europea e nazionale in materia di trattamento dei dati personali, il Tribunale di Roma ha pertanto respinto la domanda per due principali ragioni: l’insussistenza del presupposto del trascorrere del tempo e il ruolo pubblico rivestito dal ricorrente.
Il trascorrere del tempo, quale elemento costitutivo del diritto all’oblio, non poteva invero ritenersi sussistente nel caso di specie, trattandosi di informazioni riguardanti fatti risalenti al 2012-2013, pertanto ancora attuali.
In secondo luogo, doveva considerarsi il ruolo pubblico rivestito dal ricorrente, in quanto iscritto in un albo professionale. Secondo le citate linee guida del WP29 infatti, il “ruolo pubblico” è attribuibile non soltanto ai politici, ma anche agli alti funzionari pubblici, agli uomini d’affari e agli iscritti in albi professionali.
Avv. Simona Aduasio