Gli effetti della sentenza Grilli alla luce della Cassazione e dei nuovi orientamenti giurisprudenziali.

Nota a cura dell’avv. Antonio Torre

(Breve) Premessa storica: cenni introduttivi e osservazioni preliminari.
Gli istituti classici del diritto privato, ovverosia la separazione e il divorzio ne presuppongono quantomeno un altro di fondamentale importanza, che ne giustifica la loro esistenza: il matrimonio.
La legge, infatti, non fornisce una definizione precisa di matrimonio, ma dalle stesse considerazioni ed elaborazioni dottrinali, si deduce che esso riguarda il vincolo di vita e di amore fra due persone di sesso diverso, avente carattere di stabilità (1).
Inoltre nella nostra tradizione storico – culturale e costituzionale, la definizione di matrimonio e quella di famiglia vengono a coincidere: infatti l’articolo 29 della Costituzione prende in considerazione il matrimonio come “fondamento della famiglia (2)”.
Quest’ultima “coincidenza” rappresenta peraltro l’esito di un lungo processo storico. La famiglia romana, ad esempio, non era di certo fondata sul matrimonio, ma piuttosto sulla patria potestas (3).
Se volessimo per un attimo tracciare i lineamenti giuridici dell’istituto matrimoniale nel diritto romano classico, finiremo con lo scontrarci con le più gravi incertezze e posizioni di contrasto tra gli interpreti (4).
Quel che emerge dai testi degli autori romani rivela come il matrimonio fosse un fenomeno disciplinato più da norme della morale e del costume che da norme giuridiche, vista la mancanza di particolari formalismi per la celebrazione, e una completa libertà di divorziare (5).
Nel diritto classico infatti, per poter sciogliere il matrimonio, non era necessario rispettare alcuna forma speciale, bastava solo che i coniugi manifestassero espressamente la loro volontà.
Tuttavia è con l’avvento del Cristianesimo che inizia a farsi strada la concezione della perpetuità del vincolo matrimoniale e, solo con l’imperatore Costantino si dà un primo colpo a quella che è la libertà di scioglimento del matrimonio, prevedendo che il divorzio non è lecito se non sia giustificato da motivi gravi e precisi (6).
Si parla di divortium imperfectum, ovvero la possibilità di un divorzio che tuttavia limitava la possibilità di nuove nozze, come a dire che ponesse fine al rapporto ma non agli effetti del vincolo coniugale.
Nei secoli e nelle legislazioni imperiali che si sono susseguite si assiste da una parte a ripristini e dall’altra a nuove limitazioni all’istituto (7).
Nel corso dei secoli si assiste tuttavia alla cosiddetta “giuridificazione” del matrimonio (8), vale a dire la sua progressiva attrazione nell’ambito dei fenomeni regolati dal diritto.
In un primo momento è al diritto canonico che si deve l’elaborazione del complesso di regole di disciplina del matrimonio. Punti capitali erano quello del matrimonio come chiave della famiglia e l’indissolubilità di tale vincolo (9).
Si assiste così ad una soppressione del divorzio, inteso come revoca del vincolo matrimoniale per il venir meno del consenso iniziale di uno o di entrambi i coniugi.
Con il Concilio di Trento (1563), il processo di giuridificazione giunge all’apice con la definizione delle forme legali necessarie per la celebrazione di un matrimonio valido (10).
Si riafferma in questa sede la sacramentalità e l’origine divina del matrimonio, la sua natura monogamica e, purché consumato, l’indissolubilità. La Chiesa intendeva opporre una resistenza al divorzio impossibile da vincere (11).
Dunque per un’intera fase storica il matrimonio (inteso sia come atto che come rapporto) è regolato dal diritto della Chiesa, e solo in epoca moderna lo Stato viene a rivendicare a sé il potere di regolare questo importante fenomeno sociale.
Se da un lato dobbiamo alla rivoluzione francese la definitiva attrazione del matrimonio nell’ambito del diritto civile, la compiuta definizione della sua disciplina giuridica si deve al code civil francese del 1804 (12).
Il code Napoléon accolse peraltro l’istituto del divorzio in modo netto, prevedendo lo scioglimento del matrimonio anche per il solo mutuo consenso dei coniugi (13).
In Italia questo processo di “laicizzazione” del matrimonio si è compiuto con la codificazione del 1865 secondo la quale il matrimonio civile costituisce l’unica forma di matrimonio valido per tutti i cittadini (14).
La materia del Diritto di Famiglia a partire dalla storica riforma avvenuta nel 1975 (15), per anni, è rimasta sempre uguale a sé stessa. Dalla riforma anticipata dall’introduzione nel 1970 del divorzio (16), poco è cambiato almeno fino al 2012.
Quasi quarant’anni di sostanziale staticità nella gestione dei conflitti tra coniugi, fino al 10 maggio 2017 (17), quando la Cassazione ha stravolto le regole sulla determinazione e quantificazione dell’assegno divorzile.
Dal 1975 dobbiamo poi arrivare ai giorni nostri, quando, nel 2004 sono state approvate le norme in materia di procreazione assistita (18); nel 2006 sono state adottate le norme sull’affidamento del figlio che hanno stabilito, come regola, l’affidamento condiviso (al posto di quello esclusivo) (19).
Nel 2012 è arrivata l’equiparazione dei figli naturali con quelli legittimi (ora chiamati rispettivamente «figli nati fuori il matrimonio» e «figli nati dentro il matrimonio») (20), mentre nel 2014 è stata introdotta la possibilità di separarsi o di divorziare davanti al sindaco o con un accordo firmato dai rispettivi avvocati (negoziazione assistita) (21).
Infine, nel 2015, è stato approvato il cosiddetto divorzio breve che riduce a più di un terzo i tempi per passare dalla separazione al divorzio: se, in precedenza, erano necessari 3 anni, oggi il termine si riduce a 6 mesi (se la separazione è stata consensuale) e a 1 anno dalla prima udienza del tentativo di conciliazione (se la separazione è stata giudiziale) (22).

La (rivoluzionaria) sentenza “Grilli” della Cassazione sull’assegno di divorzio.
Come è notorio agli addetti ai lavori, se nulla è cambiato rispetto al passato per quanto concerne l’assegno di mantenimento (la cui ratio resta ancora quello di garantire all’ex coniuge il medesimo tenore di vita che aveva durante la convivenza, con una sostanziale divisione dei redditi tra i due coniugi), dalla data (epocale) del 10 maggio del 2017, le cose cambiano radicalmente, quando si pone in essere la procedura divorzile. Col divorzio, infatti, cessa ogni legame tra i coniugi e ciascuno dei due deve iniziare a badare a sé stesso (23).
Questo significa che il coniuge con il reddito più elevato non è più tenuto a garantire all’ex – come invece è tutt’ora obbligatorio subito dopo la separazione – lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, ma solo l’autosufficienza economica.
Cambia sostanzialmente il criterio: non più il tenore di vita ma l’autosufficienza economica.
Autosufficienza che consiste nel minimo per sopravvivere e sempre che lo stesso coniuge non sia in grado, per età e condizioni di salute, a procurarselo da solo.
Pertanto, la ratio dell’assegno di divorzio – ed è qui la grande differenza con quello di mantenimento – è garantire all’ex moglie l’autosufficienza economica (ossia mantenersi da sola).
Il che non significa necessariamente (come una volta) essere benestante qualora il marito lo sia; vuol dire solo «poter badare a se stessa».
Ben si potrà quindi avere una situazione in cui, a fronte di un uomo con un reddito di 10 mila euro al mese per attività imprenditoriale, la donna riceve un mantenimento di solo mille euro al mese. Dall’altro lato, se la donna ha già un proprio reddito minimo o altre forme di ricchezza (mobili o immobiliari) o dispone di aiuti da parte dell’ex famiglia, non ha diritto all’assegno di divorzio (24).
Tanto per esemplificare, in una coppia dove l’uomo guadagna 5 mila euro al mese e la moglie mille, se in passato alla donna sarebbe spettato un assegno di circa 1.500/2.000 euro mensili, oggi non le tocca più nulla.
L’ex coniuge che rivendica il mantenimento non deve però solo dimostrare di avere un reddito insufficiente a vivere, ma anche di non essere nelle condizioni di procurarselo, avendo ad esempio superato l’età per reimmettersi sul mercato del lavoro o per non essere nelle condizioni fisiche di cercare un impiego (25).
La conseguenza è che, allo stato attuale, possono ottenere l’assegno divorzile solo le donne che: sono state casalinghe per tutto l’arco del matrimonio e ormai hanno raggiunto i 50 anni, età “limite” – secondo la Cassazione – oltre la quale è difficile immettersi nel mercato del lavoro; per ragioni di salute non possono lavorare (26).
La Cassazione ha infatti escluso il mantenimento anche per la donna disoccupata, se giovane (27) e con un bagaglio formativo tale da consentirle di cercare un posto di lavoro.
Non spetta quindi l’assegno di divorzio alla ex moglie che si rifiuta di cercare un lavoro. Il fatto di versare in stato di disoccupazione e in precarie condizioni economiche non è più una giustificante se le condizioni fisiche, mentali e la formazione della donna le consentono di cercare occupazioni (28).
Sotto l’aspetto processuale, quello cosiddetto dell’onere della prova, l’ex moglie, che rivendica l’assegno di divorzio, deve dimostrare il mancato reperimento di un’entrata economica frutto della propria individuale attività lavorativa (29).
In pratica, è lei che deve dar prova di una «disoccupazione incolpevole». Ed è incolpevole tutto ciò che non dipende dalla volontà del coniuge quando questi si è dato animo di cercare un lavoro e che le sue proposte non sono state accettate (30).
La Cassazione ha chiarito che il criterio di calcolo dell’assegno di mantenimento resta invariato per quanto riguarda la separazione.
In questo caso l’ex coniuge più benestante deve garantire all’altro – sempre che non abbia subito l’addebito – lo stesso tenore di vita che aveva durante la vita coniugale. Nel caso però di matrimonio lampo, durato pochi mesi, il giudice può escludere del tutto il mantenimento (31).
La Cassazione ha chiarito anche che per i figli resta l’obbligo di versare il mantenimento garantendo loro lo stesso tenore di vita che avevano quando stavano con entrambi i genitori. Per loro quindi nulla cambia (32).
Dopo il divorzio, all’ex moglie non spetta più l’assegno di mantenimento se è autonoma e autosufficiente, a prescindere dal tenore di vita di cui ha goduto quando era ancora sposata.
Il punto però è che ancora pochi tribunali hanno capito come capire se la moglie è autonoma e indipendente.
Secondo il tribunale di Milano è autosufficiente la donna che riesce a procurarsi almeno mille euro al mese (33); tale è infatti la soglia di reddito sotto la quale spetta il gratuito patrocinio.
La Cassazione ha però messo in guardia: nessun automatismo nella determinazione dell’indipendenza economica, bisogna valutare le situazioni concrete e reali (34).
Tale parametro va valutato con la «necessaria elasticità e la considerazione dei bisogni del richiedente l’assegno, considerato come persona singola e non come ex coniuge, ma pur sempre inserita nel contesto sociale (35)».
Per determinare la soglia dell’indipendenza economica – secondo quanto affermato dalla Suprema Corte – occorre aver riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità.
È il giudice, secondo la propria coscienza, a dover interpretare questi parametri così generici.
Insomma, chi si aspettava di leggere un importo preciso, come invece avevano fatto i giudici di Milano, è rimasto sicuramente deluso.
Anzi, sembrerebbe quasi che la Cassazione voglia proprio evitare definizioni nette come è avvenuto nel capoluogo lombardo.
Ma è anche vero che a nulla vale la svolta contenuta nella sentenza dello scorso anno se ai giudici viene di nuovo data la libertà di definire quando la donna possa essere indipendente e quando non lo è, perché in un campo così libero c’è il rischio che si torni ai medesimi criteri di un tempo (36).
Per entrare più nel dettaglio e capire se e quando la moglie è autosufficiente – e come tale non può accampare pretese economiche – bisogna considerare i seguenti fattori: il possesso di redditi di lavoro autonomo o dipendente; il possesso di altri redditi di natura mobiliare (ad esempio investimenti o quote societarie) o immobiliari (ad esempio l’affitto di fondi rustici o di appartamenti) (37); così il coniuge che percepisce un canone di affitto da un immobile di sua proprietà, dato in locazione, potrebbe non aver diritto al mantenimento se tale importo gli garantisce l’autosufficienza; le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; la disponibilità di una casa di abitazione: così, se il giudice assegna la casa familiare alla donna e il marito viene costretto ad andare via, il mantenimento viene ridotto in proporzione al risparmio di spesa che da tale situazione l’ex moglie ottiene (38).
Ancora.
È ormai costante anche la giurisprudenza secondo cui perde il diritto all’assegno di mantenimento o a quello divorzile l’ex coniuge che va a vivere stabilmente con un’altra persona iniziando una vita di coppia basata sugli stessi principi del matrimonio (cosiddetta convivenza more uxorio, ossia la tradizionale coppia di fatto) (39).
Di recente la Corte di Appello di Roma ha stabilito che, se la moglie è autosufficiente non va mantenuta sin dal momento della separazione. E non importa se il reddito del marito è significativamente più elevato (40).
Conta la capacità dei coniugi, dopo la cessazione dell’unione, di badare a se stessi con i propri mezzi: capacità che, se sussistente, esclude il diritto a percepire qualsiasi assegno da parte dell’ex più ricco.

Conclusioni.
Se volessimo tracciare il cosiddetto “punto della situazione”, e di conseguenza gettare uno sguardo d’insieme alle vicende e alle riforme che hanno toccato nel corso degli anni gli istituti della separazione e del divorzio, è facile intuire come il diritto, soprattutto quando si tratta di disciplinare le relazioni familiari, soggiace all’influsso del tempo, al mutamento dei costumi e della società. Le norme, le leggi e gli istituti non possono sottrarsi a quella che potremo definire la regola del divenire (41).
Nei centocinquanta anni che ci separano dall’entrata in vigore del primo codice dell’Italia unificata, la famiglia ha subito radicali trasformazioni. A far data dall’introduzione del divorzio (1970), che ha segnato la nascita di una nuova stagione nella cultura giuridica italiana, si è progressivamente accresciuta la concezione privatistica dei rapporti familiari (42).
A distanza di pochi anni e promossa da numerosi interventi della Corte Costituzionale è intervenuta la riforma del 1975, con l’affermazione anche a livello di legge primaria del principio di uguaglianza tra i coniugi, ponendo a fondamento del matrimonio il loro reciproco e perdurante consenso. Il legislatore attua dunque un’epocale riforma per riportare il diritto della famiglia in linea con le istanze della società e con i cambiamenti che erano intervenuti dall’epoca dell’introduzione del codice civile del 1942 (43).
E le recenti riforme si inseriscono perfettamente nel solco di un fenomeno più generale che interessa la giustizia civile in risposta ad istanze avanzate da più parti. I nuovi contatti di separazione e divorzio ribadiscono la sostanziale rilevanza dell’autonomia privata come strumento di regolazione non solo della vita in comune ma anche degli effetti della crisi, segnando un’ulteriore tappa nella contrattualizzazione delle relazioni familiari che la giurisprudenza teorica e pratica ha più volte rilevato (44).
Tuttavia i nuovi modelli degiurisdizionalizzati per la composizione della crisi coniugale, non hanno ancora trovato nella prassi applicativa un utilizzo diffuso.
Infatti è evidente come da un lato il Governo intendesse svincolare separazione e divorzio (senza figli minori o comunque bisognosi di particolari tutele) da un necessario controllo giudiziale (un intervento sicuramente molto incisivo ma al passo con i tempi e con le esigenze della cosiddetta “macchina della giustizia”), ma in realtà ad essere abolita è stata la sola udienza davanti al Presidente del tribunale, per essere “sostituita”, potremo dire, dal necessario “filtro” del pubblico ministero (che nelle ipotesi di coppie senza figli appare ancora più ridondante) (45).
Come si è sottolineato, la riforma del “divorzio breve” conserva l’impianto tradizionale del divorzio italiano basato sul duplice passaggio della separazione legale prima, e del divorzio poi.
Nello stesso tempo, la drastica riduzione dei tempi richiesti per ottenere il divorzio, mette in luce le difficoltà e le contraddizioni dell’impianto tradizionale. Il secondo passaggio giudiziale, a distanza di soli sei mesi dal primo, appare un rito inutile e ripetitivo.
La riforma del diritto della famiglia dunque, non sembra aver trovato una vera e propria conclusione nemmeno nella legge n. 55/2015.
Dunque i tempi, anche sulla scia di ordinamenti non troppo lontani dal nostro, sono ormai maturi per una riforma completa ed organica del diritto della famiglia, anche se la strada da percorrere è ancora molta e le recenti modalità frammentarie scelte dall’attuale legislatore per disciplinare un momento tanto delicato, quale quello della crisi coniugale, non soddisfano in modo pieno le esigenze di una materia così complessa.

1. SANTOSUOSSO, voce Scioglimento del matrimonio, (dir. Vig.), in Enc. Dir., XLI, Giuffrè, 1989.
2. Art. 29 comma 1 Cost. Italiana: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
3. FRANCESCA BERTOLLI, Continuità e Discontinuità nel Diritto della Crisi Coniugale dal d.l. n. 132/2014 sulla Negoziazione Assistita alla legge n. 55/2015 sul “Divorzio Breve”, UNIVERSITÀ DI PISA, A.A. 2014-2015.
4. MARONGIU, voce Divorzio, (storia dell’istituto), in Enc. Dir., XIII, Giuffrè, 1964.
5. VOLTERRA, voce Famiglia, (dir. Rom.), in Enc. Dir., XVI, Giuffrè, 1967.
6. FRANCESCA BERTOLLI, Continuità e Discontinuità nel Diritto della Crisi Coniugale dal d.l. n. 132/2014 sulla Negoziazione Assistita alla legge n. 55/2015 sul “Divorzio Breve”, UNIVERSITÀ DI PISA, A.A. 2014-2015.

7. Per una ricostruzione completa, MARONGIU, voce Divorzio, (storia dell’istituto), in Enc. Dir., XIII, Giuffrè, 1964.
8.FERRANDO, Matrimonio e famiglia, in Tratt. Zatti, I, 1, Milano, Giuffrè, 2011, 281 ss.
9. AA.VV., La crisi familiare, in Trattato di Diritto Privato, diretto da BESSONE, Torino, Giappichelli, 2013.
10. FRANCESCA BERTOLLI, Continuità e Discontinuità nel Diritto della Crisi Coniugale dal d.l. n. 132/2014 sulla Negoziazione Assistita alla legge n. 55/2015 sul “Divorzio Breve”, UNIVERSITÀ DI PISA, A.A. 2014-2015.
11. BESSONE, ROPPO, Il diritto di famiglia, evoluzione storica, principi costituzionali, prospettive di riforma, Genova, Ecig, 1975.
12. BONILINI, Le cause del divorzio in generale, in BONILINI TOMMASEO, Lo scioglimento del matrimonio, in Commentario fondato da Schlesinger, diretto da BUSNELLI, Milano, Giuffrè, 2004.
13. GRAZIADEI, voce Divorzio, (dir. Straniero), in Enc. Dir., XIII, Giuffrè, 1694.
14. Si legge nella Relazione al Progetto del I libro del codice civile del ministro Guardasigilli Pisanelli: “il principio libera Chiesa in libero Stato, che costituisce ormai un assioma del nostro diritto pubblico, ci conduce a riconoscere nello Stato il diritto di regolare il matrimonio per le sue relazioni civili. Il matrimonio, che è il fondamento della famiglia, e perciò un’altra istituzione sociale, deve cedere sotto le prescrizioni dello Stato.” Passaggi dei lavori parlamentari si possono leggere in BESSONE e ROPPO, Il diritto di famiglia, evoluzione storica, principi costituzionali, prospettive di riforma, Genova, Ecig, 1975, 55 ss.
15. Legge n. 151/1975; Legge n. 39/1975.
16. Legge n. 898/1970.
17. Cass. sent. n. 11504/17 del 10.05.2017.
18. L. n. 40/2004 ha concesso alle coppie di maggiorenni di sesso diverso di accedere alle tecniche di fecondazione, purché in età potenzialmente fertile, con esclusione della fecondazione eterodossa.
19. L. n. 54/2006.
20. L n. 2019/2012 e D.lgs. n. 54/2014.
21. DL n. 132/2014.
22. L. n. 55/2015.
23. BESSONE, ROPPO, Il diritto di famiglia, evoluzione storica, principi costituzionali, prospettive di riforma, Genova, Ecig, 1975.

24. www.altalex.it.
25. www.laleggepertutti.it.
26. www.dirittoitalia.it.
27. “Donna giovane e nel pieno delle sue energie”.
28. Cassazione, sentenza n. 11870/2015.
29. www.laleggepertutti.it.
30. Cass. ord. n. 25697/2017.
31. www.laleggepertutti.it.
32. Cass. sent. n. 3922/2018.
33. Trib. Milano, ord. del 22.05.2017.
34. Cass. sent. n. 3015/18 del 7.02.2018.
35. www.laleggepertutti.it.
36. RIMINI, I patti in vista del divorzio: spunti di riflessione e una proposta dopo l’introduzione della negoziazione assistita per la soluzione delle controversie familiari, in Il diritto di famiglia e delle persone, 1/2015.
37. www.laleggepertutti.it.
38. www.juscivile.it.
39. RIMINI, L’accertamento del reddito e del patrimonio delle parti nei giudizi di separazione e di divorzio; proposta per un modello di disclosure, in Famiglia e diritto, 2011.
40. www.servizidemografici.interno.it.

41. FRANCESCA BERTOLLI, Continuità e Discontinuità nel Diritto della Crisi Coniugale dal d.l. n. 132/2014 sulla Negoziazione Assistita alla legge n. 55/2015 sul “Divorzio Breve”, UNIVERSITÀ DI PISA, A.A. 2014-2015.
42. JEMOLO, voce Divorzio (ordinamento italiano), in Enc. Dir, XIII, Giuffrè, 1964.
43. PALADINI, Lo scioglimento della comunione legale e la divisione dei beni, in AA.VV., Trattato di diritto privato, diretto da BESSONE, IV, Torino, Giappichelli, 1999.
44. RANCESCA BERTOLLI, Continuità e Discontinuità nel Diritto della Crisi Coniugale dal d.l. n. 132/2014 sulla Negoziazione Assistita alla legge n. 55/2015 sul “Divorzio Breve”, UNIVERSITÀ DI PISA, A.A. 2014-2015.
45. FRANCESCA BERTOLLI, Continuità e Discontinuità nel Diritto della Crisi Coniugale dal d.l. n. 132/2014 sulla Negoziazione Assistita alla legge n. 55/2015 sul “Divorzio Breve”, UNIVERSITÀ DI PISA, A.A. 2014-2015.