LE CONDOTTE EXTRALAVORATIVE E IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

Commento alla sentenza n. 428/2019 Corte di Cassazione a cura dell’Avv. Chiara D’Antò

Con la sentenza n. 428 del 10 gennaio 2019, la Corte di Cassazione ha affermato che alcune condotte extralavorative – relative non solo alla vita privata in senso stretto, ma anche a tutti gli ulteriori ambiti nei quali si esplica la personalità del lavoratore – possono assumere rilievo ai fini della configurabilità del licenziamento per giusta causa.
Infatti, il vincolo fiduciario può essere leso anche da una condotta estranea al rapporto lavorativo in atto, a condizione che, si tratti di comportamenti appresi dal datore di lavoro dopo la conclusione del contratto e non compatibili con il grado di affidamento richiesto dalle mansioni assegnate e dal ruolo rivestito dal dipendente nell’organizzazione aziendale.
Ed invero, con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha giudicato legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per fatti commessi durante un precedente rapporto lavorativo con la medesima società di riscossione dei tributi, consistenti nell’abusivo accesso al sistema informatico e in varie problematiche patrimoniali (in parte poi posti alla base di un primo recesso oggetto di transazione novativa), ma della cui complessiva portata il datore di lavoro era venuto a conoscenza solo dopo la seconda assunzione.
La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello che aveva riconosciuto l’importanza e l’incidenza delle condotte tenute prima dell’inizio del nuovo rapporto di lavoro, tali da condizionare ed essere considerate idonee a rendere il licenziamento del tutto legittimo e farlo quindi rientrare nella categoria del licenziamento per giusta causa.
Il ragionamento giuridico della Corte fonda le proprie mosse dal principio generale secondo il quale vi è giusta causa di licenziamento ogni volta che viene leso il vincolo fiduciario proprio del rapporto lavorativo, vincolo peraltro considerato come “fattore condizionante”. Il riconoscimento di tale valore condizionante porta la Suprema Corte ad affermare che la fiducia può essere lesa non solo con i tipici inadempimenti contrattuali, ma anche con condotte extralavorative, che, sebbene non riguardanti direttamente l’esecuzione della prestazione lavorativa stessa, sono comunque da considerare incidenti nel rapporto lavorativo qualora costituiscano una diminutio della funzionalità del rapporto e dell’esatto adempimento della prestazione lavorativa.
Secondo la Corte infatti, pur non potendosi configurare un illecito disciplinare tipico, che presuppone l’inadempimento degli obblighi scaturenti dal contratto, può essere comunque ravvisata una giusta causa di licenziamento, ex art. 2119 c.c., quella condotta che, sebbene estranea al rapporto lavorativo, risulti incompatibile con la conservazione del vincolo fiduciario e, dunque, del rapporto lavorativo stesso.
La Corte conclude affermando che non si può sostenere che la rilevanza delle condotte extralavorative antecedenti all’instaurazione del rapporto dovrebbe essere limitata ai fatti integranti la fattispecie di reato e riconosciuta solo in presenza di una sentenza passata in giudicato che abbia accertato la responsabilità del dipendente, trovando applicazione l’orientamento, consolidato nella giurisprudenza secondo cui «il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva sancito dall’art. 27 Cost., comma 2, concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa altresì integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna; tuttavia, il giudice davanti al quale sia impugnato un licenziamento disciplinare intimato per giusta causa a seguito del rinvio a giudizio del lavoratore con l’imputazione di gravi reati potenzialmente incidenti sul rapporto fiduciario – ancorchè non commessi nello svolgimento del rapporto – deve accertare l’effettiva sussistenza dei fatti riconducibili alla contestazione, idonei ad evidenziare, per i loro profili soggettivi ed oggettivi, l’adeguato fondamento di una sanzione disciplinare espulsiva, mentre non può ritenere integrata la giusta causa di licenziamento sulla base del solo fatto oggettivo del rinvio a giudizio del lavoratore e di una ritenuta incidenza di quest’ultimo sul rapporto fiduciario e sull’immagine dell’azienda» (Cass. n. 18513/2016 che richiama Cass. n. 29825/2008).

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