Guida in stato di ebbrezza e sequestro del veicolo: spazio al favor rei Cassazione, Sez. IV, 16 novembre 2010, n. 40523

 

GUIDA IN STATO DI EBBREZZA E SEQUESTRO DEL VEICOLO: SPAZIO AL FAVOR REI

Cassazione, Sez. IV, 16 novembre 2010, n. 40523

 

1. Appare doversi ritenere che, quanto alla confisca, si sia ora in presenza di una sanzione amministrativa accessoria e non di una pena accessoria

2. La ennesima legge di riforma del Codice della Strada non ha dettato alcuna disciplina transitoria in relazione ai sequestri disposti ed eseguiti sotto il vigore della precedente disciplina; ha, contraddittoriamente, rafforzato le sanzioni penali tipiche per l’illecito in questione (arresto ed ammenda, confermando la natura penale dell’illecito), ma ha riqualificato come amministrativa la sola natura della confisca. Non si tratta, quindi, di una “depenalizzazione” dell’illecito, ma della depenalizzazione solo della sanzione accessoria, tanto evocando i principi stabiliti dall’art. 2, 4° c., c.p. ed 1 L. n. 689/1981.

3. Non si è trasformato un illecito penale in illecito amministrativo, ma si è trasformata in amministrativa solo una sanzione accessoria, precedentemente penale, non iscrivibile al novero all’apparato sanzionatorio tipico dell’art. 17 c.p.. In siffatto contesto deve ritenersi, per il principio del favor rei, applicabile la nuova disciplina di tale sanzione accessoria, il trattamento amministrativo (anziché penale) essendo, per definizione, più favorevole per l’imputato.

4. Deve ritenersi che (…) debba trovare applicazione il principio della perpetuatio iurisdictionis, sicché, per i procedimenti già iniziati sotto il vigore della pregressa legge (nella specie, la richiesta di decreto penale e la sua emissione sono intervenuti ben prima della sopravvenuta legge di riforma del 29 luglio 2010), è tuttora dato al giudice penale (senza investire l’autorità amministrativa) delibare a tali fini la fattispecie, tenuto conto, peraltro, del generale principio della competenza del giudice penale ad infliggere anche le sanzioni amministrative conseguenti alla commissione di un reato, come pacificamente avviene per la sospensione o revoca della patente di guida

 

 

Cassazione, Sez. IV, 16 novembre 2010, n. 40523

(Pres. Marzano – Rel. Maisano)

 

 

Svolgimento del procedimento

1. Il 30 dicembre 2009 R. G., indagato per il reato di cui all’art. 186, 2° comma, lett. c), C. d. S. proponeva, per mezzo del difensore, istanza di restituzione di un’autovettura a lui sequestrata.

Rappresentava che il 19 dicembre precedente il P.M. aveva richiesto decreto penale di condanna e contestuale statuizione di confisca del veicolo e rilevava che la norma incriminatrice prevedeva che tale statuizione poteva essere resa con sentenza di condanna e tale non poteva ritenersi il decreto penale di condanna. Soggiungeva che il disposto dell’art. 460, 2° comma, c.p.p. “si riferisce esclusivamente alle ipotesi generali di confisca obbligatoria previste dall’art. 240, c. 2, c.p., e non si estende alle ipotesi di confisca obbligatoria previste da leggi speciali”.

Il G.I.P., con provvedimento del 25 aprile 2010 rigettava l’istanza osservando che “il tenore letterale della norma (incriminatrice) non lascia spazio ad interpretazioni diverse laddove statuisce ‘è sempre disposta’ la confisca e richiama il 2° c. dell’art. 240, cpv. c.p., che prevede appunto casi di confisca obbligatoria …; l’art. 460, 2° c., c.p.p. prevede espressamente che con il decreto penale possa essere applicata la confisca” obbligatoria nei casi previsti dal 2° c. dell’art. 240 c.p., richiamo da intendersi riferito a tutti i casi di confisca obbligatoria …”.

1.1. L’indagato proponeva appello al Tribunale di riesame di Modena, il quale, con ordinanza del 22 febbraio 2010, rigettava il gravame.

Ritenevano i giudici del riesame “di aderire all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nelle sentenze n. 13831/2009 e n. 43501/2009 che interpretano il richiamo contenuto nell’art. 186, comma 2, lettera c), quinto periodo, C. d. S., … non come riferimento alla natura e alle caratteristiche delle cose ivi elencate, ma nel senso della previsione della obbligatorietà della confisca per il veicolo condotto da soggetto in stato di ebbrezza qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro …”. Condividevano l’orientamento del primo giudice, secondo cui, “nel caso di irrogazione di condanna nelle forme previste dagli artt. 459 e ss. c.p.p., le espressioni ‘sentenza di condanna’ devono essere interpretate come comprensive anche del decreto penale. Nel caso di specie rileva, dunque, una misura di sicurezza patrimoniale che diventa obbligatoria per la pericolosità assunta dal bene in rapporto allo specifico soggetto trovato in grave stato di ebbrezza…”.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso l’indagato, per mezzo del difensore, denunciando, con unico motivo, vizi di violazione di legge in relazione agli artt. 186, 2° c., C. d. S., 460, 2° c., c.p.p., e 240 c.p..

Deduce, in sintesi, che:

– la equiparazione ritenuta dai giudici del merito, quanto alla sentenza di condanna comprensiva anche del decreto penale di condanna, è “giuridicamente scorretta in quanto sentenza e decreto sono provvedimenti tra loro nettamente distinti come risulta dall’art. 125 c.p.p. e dall’intero sistema del nostro codice …”;

– “l’art. 186, comma 2, lett. c), C. d. S., non facendo menzione alcuna del decreto penale di condanna, riporta, altresì la sentenza di patteggiamento che, contrariamente al decreto penale, è ex lege (art. 445, c. 1) ‘equiparata ad una sentenza di condanna’: ciò significa chiaramente che l’espressione ‘senten

za di condanna’ si riferisce esclusivamente ai provvedimenti emessi ai sensi degli artt. 533 e ss. c.p.p.”; la ritenuta equiparazione “determina … un’estensione analogica del campo di applicazione della confisca riferibile non alla legge, ma all’operazione interpretativa del giudice…”;

– quanto alla ritenuta confiscabilità del veicolo secondo le ragioni espresse dai giudici del merito, deve, di contro, rilevarsi che, come già altra volta ritenuto da questa Suprema Corte, la norma incriminatrice in questione, “nel richiamare il secondo comma dell’art. 240 c.p., non assimila il suddetto veicolo alle cose ivi elencate, bensì esclusivamente intende rimarcare l’obbligatorietà della confisca”; sicché, anche alla stregua di richiamati arresti giurisprudenziali, “in buona sostanza,… la confisca ex art. 186, c. 2, lett. c), non è né una confisca facoltativa ex art. 240, c. 1, c.p., né una confisca obbligatoria ex art. 240, c. 2, c.p. ma, semplicemente, una confisca obbligatoria prevista da leggi speciali al pari di quella prevista dagli artt. 722 c.p., 256, c. 3, 259, c. 2, D. Lgs.vo n. 152/2006, 80-bis C. d. S. abrogato, 301 D.P.R. 23.1.1973, n. 43”, per le quali la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha ritenuto la inapplicabilità della confisca in sede di sentenza di applicazione della pena (prima delle modifiche apportate con la L. n. 134/2003) e di decreto penale di condanna;

– “la finalità principale della confisca prevista dall’art. 240 c.p. … è quella propria e tipica delle misure di sicurezza: si tratta, difatti, di una finalità preventiva”; ma, richiamando altro arresto giurisprudenziale di questa Suprema Corte ed una pronuncia della CEDU, la confisca prevista nella norma incriminatrice che qui interessa ha, in sostanza, natura di sanzione penale; essa è “assimilabile più ad una sanzione, ad una pena accessoria, che ad una misura di sicurezza prevalendo in essa non finalità preventive ma finalità repressive ed afflittive … Ed è, pertanto, conforme alla ratio legis del procedimento monitorio ritenere non confiscabile il veicolo in caso di guida in stato di ebbrezza in quanto esso, lungi dal costituire un’ipotesi di confisca ex art. 240, c. 2, c.p., integra un’ipotesi di confisca obbligatoria prevista da leggi speciali, assimilabile, peraltro da un punto di vista sostanziale, ad una pena accessoria e non ad una misura di sicurezza reale”.

Concludeva rilevando che, “essendo stato già emesso nei confronti dell’imputato il decreto penale di condanna non ancora passato in giudicato e non potendo con tale provvedimento essere disposta … la confisca del veicolo”, il provvedimento impugnato va annullato.

2.1. Il ricorrente ha poi presentato nuovi motivi, con atto dell’11 ottobre 2010.

Richiama le sopravvenute sentenze della Corte Costituzionale del 12 maggio 2010, n. 196, e delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte del 25 febbraio 2010, n. 23428. Com’è noto, con la prima è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 186, comma 2, lett. c), C. d. S., limitatamente alle parole “ai sensi dell’art. 240, secondo comma, codice penale”. Con la seconda, all’altra antecedente, si era ritenuto che “la confisca del veicolo prevista in caso di condanna per la contravvenzione di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, così come per quella di guida in stato di ebbrezza, non è una misura di sicurezza patrimoniale, bensì una sanzione penale accessoria”. Rileva che con tali pronunce è stata, quindi, riconosciuta la natura di sanzione penale accessoria alla confisca del veicolo ex art. 186 C. d. S., donde la sua “incompatibilità col decreto penale di condanna”.

Rileva, poi, che è frattanto intervenuta anche la L. 29 luglio 2010, n. 120, che ha modificato in parte qua l’art. 186, 2° c., lett. c), disponendo che “ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’art. 224-ter”. Questa ultima disposizione è stata introdotta da tale legge di riforma ed attribuisce al sequestro natura amministrativa; quindi, “diversamente da quanto previsto per le sanzioni amministrative accessorie della sospensione e della revoca della patente, alla cui irrogazione deve provvedere il giudice penale con la sentenza o con il decreto penale di condanna, il comma 2 dell’art. 224-ter riserva l’applicazione della confisca al prefetto, disponendo in tal senso la trasmissione al medesimo di copia della sentenza o del decreto di condanna divenuti irrevocabili”. Ne consegue che “la nuova norma troverà applicazione anche nei procedimenti pendenti in cui non si sia ancora adottato, da parte del giudice, alcun provvedimento definitivo: in tali casi, il sequestro preventivo adottato e/o il provvedimento di confisca se non ancora coperto da giudicato dovranno essere revocati in quanto non più di competenza dell’autorità giudiziaria penale”.

 

Motivi della decisione

 

3. Il motivo di censura esplicitato dal ricorrente nell’originario ricorso si incentra, come s’è visto, sulla prospettazione che col decreto penale di condanna non possa essere disposta la confisca della cosa sequestrata (nella specie l’autoveicolo), al riguardo rilevandosi che la confisca obbligatoria prevista dall’art. 186, 2° c., lett. c), C. d. S., al pari di quella prevista in altre leggi speciali, “si allontana dall’alveo delle misure di sicurezza per avvicinarsi e probabilmente entrare in quello delle pene accessorie”, e vertendosi nella specie, appunto, in “un’ipotesi di confisca obbligatoria prevista da leggi speciali e non di confisca ex art. 240, c. 2, c.p.”.

Giova premettere, quanto al binomio lessicale e normativo sentenza/decreto penale di condanna, che ha altra volta osservato questa Suprema Corte, quanto al dettato del precitato art. 186 C. d. S. – il quale rende obbligatoria la confisca del veicolo per l’ipotesi di reato di cui al 2° c., lett. c) – che il riferimento della norma alla “sentenza di condanna” debba essere inteso in senso più ampio, come statuizione di condanna, comprensiva dunque anche del decreto penale”; ed ha, nondimeno, ricordato che sul punto, in riferimento ad altra materia (reati in materia di rifiuti) erano intervenute pronunce di segno diverso, ivi richiamate (Sez. IV, 21 ottobre 2009, n. 43501), potendo, perciò, ritenersi sussistente al riguardo un contrasto giurisprudenziale, che, per vero, scaturiva sostanzialmente dalla individuazione della natura della confisca in subiecta materia, così come essa era delineata sotto il vigore della pregressa normativa, prima della entrata in vigore della sopravvenuta L. 29 luglio 2010, n. 120. Le intervenute e succitate sentenze delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte e della Corte Costituzionale danno contezza della fondatezza delle ragioni rappresentate dal ricorrente sulla qualificazione della confisca, sotto il vigore di quella previgente normativa, quale sanzione penale accessoria. Tanto proponeva il tema della sistematica reconductio ad unum del disposto dell’art. 460, 5° c., c.p.p., secondo cui “il decreto penale di condanna non comporta … l’applicazione di pene accessorie”, e dell’art. 186, 2° c., lett. c), C. d. S., per il quale il giudice, “con la sentenza di condanna”, dispone la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, “salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato”: donde la indubbia rilevanza del tema concernente la riconducibilità o meno al novero delle sentenze di condanna anche del decreto penale di condanna e della sistematica composizione dei due dettati normativi.

Gli è, tuttavia, che siffatta proposta questione, tenuto conto della situazione normativa previgente alla succitata legge di riforma e delle sopravvenute sentenze della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, appare del tutto inafferente al caso di specie.

Come, difatti, chiarisce lo stesso ricorrente, l’istanza di dissequestro in questione venne proposta quando non era stato emesso alcun decreto penale di condanna, essendovi solo una richiesta in tal senso del P.M.; tale richiesta non comportava, indefettibilmente, l’obbligo del giudice di accoglierla (art. 459, 3° c., c.p.p.), sicché a quel momento non era affatto proponibile la questione della possibilità o meno, per il giudice, di disporre la confisca col decreto penale di condanna: questo era stato solo richiesto, su tale richiesta il giudice non si era pronunciato, il decreto penale non era stato emesso. Prospettandosi, poi, che solo l’adozione di tale decreto penale rendeva ostativa, o caducava, la misura del sequestro, sull’assunto che esso non potesse mai sfociare in un provvedimento di confisca, ritenuto, questo, non poter costituire statuizione rendibile col decreto penale di condanna, questo, come specifica il ricorrente, venne emesso “nelle more della fissazione dell’udienza di appello (nel procedimento incidentale che occupa), in data 4.2.2010, … avverso il quale è stata presentata rituale opposizione chiedendo l’emissione del decreto di citazione a giudizio”. Posto che con la opposizione e nel conseguente giudizio l’imputato ben può far valere le dedotte questioni in ordine alla confiscabilità del veicolo disposta col decreto penale di condanna, è appunto solo in quella sede, ove il decreto penale di condanna rechi tale statuizione, che tali questioni possono essere dedotte. Peraltro, com’è noto, nel giudizio conseguente all’opposizione il giudice deve, in ogni caso, revocare il decreto penale di condanna (art. 464, 3° c., c.p.p.). In sostanza: l’istanza di restituzione della cosa sequestrata, ed a fortiori lo stesso sequestro, vennero proposta e disposto quando nessun decreto penale di condanna era stato emesso e, a seguito della richiesta del P.M. in tal senso, non necessariamente il procedimento avrebbe dovuto svolgersi nelle forme speciali previste dagli artt. 459 e ss. c.p.p.; avverso il decreto penale di condanna solo successivamente emesso è stata proposta opposizione ed è stata richiesta la emissione del decreto di citazione a giudizio, sicché il procedimento non potrà più svolgersi nella forme indicate dal rito speciale per decreto, che dovrà dal giudice in ogni caso essere revocato. In definitiva, non può affatto rilevare, allo stato, la questione se la confisca, cui il sequestro è preordinato, possa o meno essere resa col decreto penale di condanna, inizialmente insussistente, successivamente reso e sostanzialmente caducato dalla proposta opposizione. Né vale al riguardo prospettare da parte del ricorrente che “il decreto penale di condanna non è ancora passato in giudicato ed è altresì, suscettibile di rinuncia sino al termine fissato per gli incombenti di cui all’art. 491 c.p.p.”. Allo stato quel decreto penale di condanna non può più, in quanto tale, esplicare esiti definitivi, attesa la intervenuta opposizione; la eventuale rinuncia alla opposizione (non evidentemente al decreto, come appare impropriamente indicato dal ricorrente) nel termine da quest’ultimo indicato è evento del tutto ipotetico e futuribile, laddove la sussistenza dei presupposti di legge per addivenire alla statuizione richiesta dal ricorrente non può che essere attuale ed effettiva, anche sotto lo stesso profilo dell’interesse alla impugnazione.

3.1. Con i motivi aggiunti, come s’è visto, il ricorrente richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 196/2010 e la, a questa di poco precedente, sentenza delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte n. 23428/2010, nonché la intervenuta legge di riforma della disciplina di settore, n. 120/2010.

Le questioni in tal guisa prospettate introducono, in effetti, temi di non lieve momento.

Vale al riguardo osservare che, come già altra volta ritenuto da questa Suprema Corte, nonostante tale sopravvenuta normativa si presti a rilevanti dubbi interpretativi nell’unitario contesto dell’intero testo normativo, appare doversi ritenere che, quanto alla confisca, si sia ora in presenza di una sanzione amministrativa accessoria e non di una pena accessoria, come in precedenza ritenuto dalla citata sentenza delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte n. 23428 del 25 febbraio 2010 (in materia era pure intervenuta, come s’è detto, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 196 del 26 maggio 2010, che aveva dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 186, 2° c., lett. c), del Codice della Strada limitatamente alle parole “ai sensi dell’art. 240, secondo comma, del codice penale”).

Tanto induce a ritenere soprattutto il richiamo della norma novellata (come quella dell’altrettanto novellato art. 187, 1° c.), quanto al sequestro, all’art. 224-ter, introdotto con la legge di riforma, secondo cui “nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, l’agente o l’organo accertatore della violazione procede al sequestro ai sensi delle disposizioni dell’art. 213, in quanto compatibili”. Per un verso, difatti, appare generale il richiamo alle “ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo”, sicché l’art. 224-ter appare ora prefigurare una disciplina unitaria per tutte le ipotesi di reato che comportino tale sanzione. Per altro verso, ove si dovesse ritenere che la confisca in questione abbia conservato la sua originaria natura penale, ci si troverebbe di fronte ad una evidente aporia sistematica e ad una disciplina abnorme e costituzionalmente illegittima: la procedura incidentale inerente al sequestro, finalizzata alla irrogazione di una pena accessoria, sarebbe solo amministrativamente prevista e disciplinata, del tutto arbitrariamente sottratta alla giurisdizione penale, ai suoi principi ed alle sue garanzie.

La ennesima legge di riforma del Codice della Strada non ha dettato alcuna disciplina transitoria in relazione ai sequestri disposti ed eseguiti sotto il vigore della precedente disciplina; ha, contraddittoriamente, rafforzato le sanzioni penali tipiche per l’illecito in questione (arresto ed ammenda, confermando la natura penale dell’illecito), ma ha riqualificato come amministrativa la sola natura della confisca. Non si tratta, quindi, di una “depenalizzazione” dell’illecito, ma della depenalizzazione solo della sanzione accessoria, tanto evocando i principi stabiliti dall’art. 2, 4° c., c.p. ed 1 L. n. 689/1981.

Tale situazione che con la legge di riforma si è venuta a delineare è diversa da quella tipica disciplinata dalla legge, come interpretata dalla sentenza delle Sezioni Unite del 16 marzo 1994, n. 7394: non si è trasformato un illecito penale in illecito amministrativo, ma si è trasformata in amministrativa solo una sanzione accessoria, precedentemente penale, non iscrivibile al novero all’apparato sanzionatorio tipico dell’art. 17 c.p.. In siffatto contesto deve ritenersi, per il principio del favor rei, applicabile la nuova disciplina di tale sanzione accessoria, il trattamento amministrativo (anziché penale) essendo, per definizione, più favorevole per l’imputato.

Quanto al sequestro, in particolare (per quel che nella specie rileva), salvo il profilo riconducibile all’art. 321, 1° c., c.p.p., esso, come richiamato dalle norme incriminatrici (artt. 186, 187 C. d. S.), appare espressamente disciplinato solo come sequestro amministrativo. Tanto induce a ritenere il disposto in proposito degli artt. 186, 2° c., lett. c), e 187, 1° c.: “ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’art. 224-ter”; ed il richiamo non contiene espressioni “in quanto compatibili” o “salvo che …” o similari. Tale onnicomprensivo dettato della norma individua i soggetti legittimati a disporlo (l’agente o l’organo accertatore della violazione), i successivi adempimenti (la trasmissione del verbale al prefetto territorialmente competente), la opposizione al provvedimento di sequestro (che è quella di cui all’art. 205). L’applicabilità di tali disciplina e procedura nei casi disciplinati dagli artt. 186 e 187 scaturiscono dall’espresso rinvio all’art. 224-ter effettuato da tali norme incriminatrici. Da tanto anche la dottrina che sinora si è interessata della materia ha tratto la conclusione che, in ogni caso, il sequestro a fini di confisca, nelle ipotesi di cui agli artt. 186 e 187, non possa più essere disposto dal giudice penale, ma debba essere operato esclusivamente dall’autorità amministrativa.

Quanto ai sequestri disposti sotto il vigore della precedente normativa e tuttora sub iudice, in mancanza di disposizioni transitorie, v’è da considerare che essi furono legittimamente imposti secondo le regole sostanziali e procedimentali all’epoca vigenti; la loro perdurante legittimità, però, non può più essere delibata alla stregua di quei presupposti, ed in particolare alla stregua del disposto dell’art. 321, 2° c., c.p.p., dovendosi invece verificare la sussistenza o meno dei presupposti che legittimano ora la confisca amministrativa.

La novella normativa, difatti, come s’è detto, non ha abrogato l’istituto del sequestro prodromico alla confisca, ma ha solo modificato la sua qualificazione giuridica. Il sequestro venne a suo tempo legittimamente disposto secondo le regole all’epoca vigenti (tempus regit actum); la misura, quindi, rimane valida, imponendosi al giudice solo di valutare ora se l’atto compiuto sia conforme anche ai requisiti sostanziali, di natura amministrativa, allo stato richiesti.

Contrariamente a quanto ritenuto dalle prime sentenze emesse da questa Suprema Corte in materia (Sez. IV, 21 settembre 2010, n. 38561; Sez. IV, 22 settembre 2010, n. 38569; Sez. IV, 23 settembre 2010, n. 38591), deve ritenersi che anche in tale delineata situazione debba trovare applicazione il principio della perpetuatio iurisdictionis, sicché, per i procedimenti già iniziati sotto il vigore della pregressa legge (nella specie, la richiesta di decreto penale e la sua emissione sono intervenuti ben prima della sopravvenuta legge di riforma del 29 luglio 2010), è tuttora dato al giudice penale (senza investire l’autorità amministrativa) delibare a tali fini la fattispecie, tenuto conto, peraltro, del generale principio della competenza del giudice penale ad infliggere anche le sanzioni amministrative conseguenti alla commissione di un reato, come pacificamente avviene per la sospensione o revoca della patente di guida. Ed egli è in grado e deve valutare la legittimità o meno, nella sua connotazione amministrativa, dell’operato sequestro, giacché, se si ritiene, quanto alle modalità di imposizione del vincolo, che valgano le norme all’epoca vigenti, per il resto tale legittimità appare ora valutabile solo alla stregua della sussistenza o meno di elementi inducenti a ritenere la legittimità dell’operato sequestro sotto il profilo amministrativo, cioè, in sostanza, la guida in stato di ebbrezza oltre i limiti indicati dalla lett. c) del 2° comma dell’art. 186, tale condotta nel contempo realizzando l’ipotesi di reato ivi prevista; siffatto accertamento coincide, quindi, del tutto con la verifica, precedentemente operata, della sussistenza o meno del fumus commissi delicti che costituiva presupposto anche del provvedimento di cui all’art. 321, 2° c., c.p.p..

Nella specie, si dà atto nel ricorso che il sequestro venne inizialmente “eseguito di iniziativa dal personale Distaccamento di Pavullo della Polizia Stradale di Modena”, tanto assolvendo al disposto del nuovo art. 224-ter C. d. S., secondo cui “l’agente o l’organo accertatore della violazione procede al sequestro …”. Sui presupposti legittimanti il sequestro amministrativo (il provvedimento impugnato dà atto di un rilevato tasso alcolemico di 1,84-1,81 g/l) non si appuntano rilevi gravatori da parte del ricorrente.

Il proposto ricorso va, dunque, rigettato.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

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