Il passeggero non indossa la cintura di sicurezza: è responsabile (solidale) anche il conducente? Appello Firenze, sez. II, 20 febbraio 2012, n. 238

 

IL PASSEGGERO NON INDOSSA LA CINTURA DI SICUREZZA: È RESPONSABILE (SOLIDALE) ANCHE IL CONDUCENTE?

Corte di Appello di Firenze, sez. II, 20 febbraio 2012, n. 238

(Pres. – Rel. P. Occhipinti)

 

 

Fatto e diritto

L’8.7.1999, in uno scontro frontale fra una Volkswagen Golf ed una Nissan Primera, B. V., passeggera trasportata dalla Golf, riportava lesioni con postumi invalidanti permanenti. La B. citava per il risarcimento avanti al Tribunale di Pistoia il conducente della Golf su cui viaggiava, S. A., e la relativa società assicuratrice Meie Assicurazioni s.p.a. (ora Aurora Assicurazioni s.p.a.), non ritenendo satistattiva la somma di lire 11 milioni ricevuta da quest’ultima. Con sentenza del 15.6.2004 l’adito Tribunale, supposto che, per la presunzione di responsabilità concorrente dei due contrapposti conducenti (art. 2054 c.c.), la B. avesse diritto a pretendere dal convenuto solo il 50% del danno patito, e supposto che, per il mancato uso della cintura di sicurezza da parte della danneggiata, la responsabilità andasse ulteriormente ripartita nella proporzione del 20% per il S., conducente, e del 30% per la trasportata, arrivava alla conclusione che quest’ultima avesse diritto al risarcimento del solo 20% dell’intero danno; e siccome la somma ricevuta dalla società assicuratrice era “ampiamente esaustiva”, rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la B.; resiste al gravame la Meie Assicurazioni; contumace è rimasto il S..

Ciò premesso, rileva subito la Corte l’errore del primo giudice, che ha ignorato il disposto dell’art. 2055 c.c., secondo il quale, se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte ne sono responsabili in solido. Avendo, perciò, l’attrice riportato il danno a seguito di uno scontro con responsabilità solidale e presunta ex art. 2054 dei due conducenti, essa aveva ed ha diritto a pretendere l’intero risarcimento anche da uno solo di essi.

Rimane il problema della ripartizione della responsabilità nel rapporto interno fra trasportatore e trasportata, problema che il primo giudice ha creduto di risolvere con prevalenza della responsabilità della trasportata, in un rapporto di tre a due, sulla scorta di una sentenza della Cassazione (la 4993/04), in verità assai diversa da come egli l’ha intesa.

Ora, al fine di cui sopra è, intanto, da osservare che esattamente, il Tribunale ha ricollegato l’evento lesivo al fatto che l’infortunata non indossava la cinture di sicurezza. La stessa, infatti, si è ferita (trauma cranico) sbattendo la fronte contro il parabrezza della Golf. Le rimostranze dell’appellante al c.t.u., reo di essersi presa l’iniziativa di dire che la periziata viaggiava senza cintura, formalmente possono anche essere giuste, ma nella sostanza nulla tolgono al fatto che, se, per contraccolpo dell’urto, uno sbatte con la testa contro il parabrezza, per di più frantumandolo, è giocoforza dedurne che non indossava la cintura. Né serve sostenere che la cintura era indossata e che l’appellante al momento dell’incidente “era protesa in avanti nel tentativo di recuperare una sigaretta sfuggita di mano al guidatore”: se così fosse stato, essa avrebbe sbattuto non la fronte, ma la nuca o, semmai, la calotta cranica, ed in ogni caso non contro il parabrezza, ma contro qualche cosa di molto più basso.

E dunque, se la cintura non era indossata, è più colpevole il conducente, che non propose l’aut-aut, o ti metti la cintura o non si parte, o più colpevole la trasportata con una controproposta perentoria: o senza cintura o senza di me? Quando due vogliono o omettono di volere la stessa cosa, come si fa a stabilire chi dei due ha voluto o ha omesso di più, e chi meno? E’ come se le due mani che applaudono questionassero su chi applaude di più. L’omissione dell’uno ha contribuito alla produzione dell’evento esattamente come ha contribuito l’omissione dell’altro; l’attrice non sarebbe andata ad urtare il parabrezza con la fronte sia nel caso che, in mancanza di cintura,  il conducente si fosse rifiutato di trasportarla, sia nel caso che fosse stata lei a rifiutare di essere trasportata. Pertanto, il concorso di colpa della danneggiata va stabilito nel 50% rispetto al convenuto; il che vuol dire che essa ha diritto al 75% del danno complessivo. Di nessun significato giuridico l’obiezione (punto 3 dell’atto di appello) che il conducente non sarebbe legittimato ad eccepire il non uso della cintura da parte della trasportata, “dal momento che egli stesso quale conducente dell’auto (…) era tenuto a fare rispettare tale obbligo”. Seguendo un tale ragionamento, neanche l’attrice sarebbe legittimata a rimproverare alcunché al conducente, dato che l’obbligo d’indossare la cintura era suo, non meno di quanto fosse del conducente quello di fargliela indossare. E dovremmo rigettare in toto la domanda.

Infine, la quantificazione del danno. Come accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio, la D. ha riportato postumi invalidanti pari al 7% dell’integrità psicofisica, quasi interamente riferibili al danno estetico. Erroneamente la sentenza di primo grado ha ridotto al 4,5% il danno permanente in considerazione di una possibile riduzione attraverso un intervento di chirurgia plastica. Operando in tal modo, il primo giudice avrebbe dovuto liquidare almeno il danno patrimoniale corrispondente al preventivabile costo dell’intervento; comunque, è principio consolidato che il danneggiato non è tenuto a sottoporsi ad interventi chirurgici finalizzati a ridurre il danno, quando none ne è certo l’esito ed essi possono essere per la persona particolarmente sacrificanti (Cass. 6.7.2007 n. 15231). L’assunto della società assicuratrice che tale danno potrebbe essere ridotto “con un banale intervento di dermoabrasione” non trova riscontro nella c.t.u., dove si parla di intervento chirurgico “e” trattamento dermoabrasivo, con ulteriore periodo d’invalidità temporanea di 20 giorni; e il risultato migliorativo, per quanto probabile, non è garantito. Conseguentemente, il danno complessivo patito dall’appellante si determina come segue (applicazione delle tabelle del foro milanese): euro 8.226,70 per danno biologico permanente, euro 1.033,00 per danno da invalidità temporanea totale (20 giorni), euro 387,30 per danno da invalidità temporanea parziale ed euro 4.762,98 per danno morale; in totale, euro 14.405,00. Ciò con riferimento alla data del sinistro (luglio 1999). Detratto il 25% conseguente al concorso di colpa dell’infortunata, il danno risarcibile si riduce ad euro 10.803,75. Sommando rivalutazione monetaria ed interessi si può fare ascendere tale cifra (con arrotondamento) ad euro 11.200,00 alla data del 5.4.2000, quando la società assicuratrice corrispose la somma di lire 11.000.000, pari ad euro 5.681,03. Conseguentemente, il credito risarcitorio residuo, dopo la corresponsione dell’acconto, ammonta ad euro 5.319,00 (cifra arrotondata). Da tale data sono ulteriormente dovuti rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Accogliendosi in parte la domanda, merita applicazione una parziale compensazione delle spese.

 

P.Q.M.

 

La Corte, definitivamente pronunciando, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiara il diritto dell’appellante B. V. al risarcimento, nei confronti degli appellati, del 75% dei danni riportati nel sinistro per cui è causa.

Conseguentemente, condanna S. A. e la Aurora Assicurazioni s.p.a. (quale incorporante la Meie Assicurazioni s.p.a.), a pagare a B. V. la somma residua di euro 5.319,00, oltre alla rivalutazione monetaria ed agl’interessi legali sugl’importi anno  per anno rivalutati, entrambi a decorrere dal 5.4.2002.

Dichiara compensate per un quarto le spese processuali di entrambi i gradi, e condanna il S. e la Aurora Assicurazioni s.p.a. al pagamento in favore dell’appellante dei restanti tre quarti, quota che liquida come segue: per il primo grado, euro 120,00 per spese vive, euro 900,00 per diritti ed euro 1.200,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CAP secondo legge; per il secondo grado, euro 210,00 per spese vive, euro 750,00 per diritti ed euro 1.200,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CAP secondo legge. Pone le spese di consulenza tecnica d’ufficio a totale carico degli appellati, in solido, e ne ordina il rimborso se e nella misura in cui siano state anticipate dall’attrice.

 

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